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"La malevolenza costituisce pur sempre l'unica attenzione che la maggior parte degli esseri umani potrà mai ricevere da altri esseri umani."

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 02/06/2022 @ 00:28:52, in Commentario 2022, linkato 6229 volte)
In un articolo dello scorso anno pubblicato dalla Cambridge University Press, si osservava che Paesi scandinavi come la Norvegia e la Svezia stavano riposizionando la loro immagine di Paesi pacifici, partecipando attivamente alla guerra in Afghanistan. La Norvegia risulta tra i soci fondatori della NATO, perciò quell’immagine di Paese pacifico era sicuramente usurpata. L’aspetto più strano riguarda però la Svezia, che, all’ombra di un presunto status di neutralità, ha sviluppato una partnership con la NATO,  partecipando a missioni militari in Kosovo e Libia, oltre che in Afghanistan. Nell’articolo si avviava una riflessione sull’ambiguità di nozioni come “guerra umanitaria” e “peace keeping”, che hanno consentito a piccoli Stati di riciclarsi in chiave militarista.
A questo punto la questione è se esistano davvero in Europa Paesi neutrali. Svezia e Finlandia sono partner della NATO dal 1994, ma si trovano coinvolti in quel tipo di partnership anche Paesi del tutto insospettabili, come ad esempio l’Austria, il cui status di assoluta neutralità sarebbe sancito addirittura dagli accordi presi alla fine della seconda guerra mondiale. Ma l’anno scorso l’Austria ha rinnovato un accordo per precisare i suoi già pluridecennali rapporti di partnership con la NATO. La fonte della notizia non è Sputnik News ma l’insospettabile sito della NATO. La partnership con la NATO non è membership, ma, al di là della distinzione più o meno cavillosa, ha senso parlare ancora di un’Austria neutrale?
Le cose non vanno molto meglio se si va ad osservare la situazione di un altro Paese che sarebbe ufficialmente neutrale: l’Irlanda. Sebbene il suo grado di coinvolgimento in operazioni militari congiunte sia minore rispetto a quello della Svezia e dell’Austria, neppure Dublino è sfuggita alla stipula di accordi di partnership con la NATO, la quale peraltro proclama di rispettare lo status di neutralità dell’Irlanda. Sei neutrale, ma intanto collabora con noi. Ancora una volta la fonte è il sito della NATO, quello che nessuno consulta prima di lanciarsi in digressioni storico-strategiche del tutto infondate.
Qualcuno potrebbe pensare che, meno male, però di neutrale c’è rimasta la Svizzera, il Paese neutrale per antonomasia. Magari uno si aspetta di trovare i soldati svizzeri solo in Vaticano. Macché! Persino la Svizzera è un partner della NATO dalla fine degli anni ’90. Troviamo infatti la Svizzera in cooperazione con la NATO in Kosovo. Ma nei Balcani ci poteva ancora essere la foglia di fico dell’ONU, mentre le vergogne si rivelano tutte allorché il sito della NATO ci informa che la Svizzera ha candidamente partecipato persino ad operazioni militari in Afghanistan. Gli Svizzeri non combattono ancora con le alabarde, anzi, possono vantare un esercito iper-tecnologico ed efficiente, per cui evidentemente il loro contributo deve essere stato decisivo nella “vittoria” del Sacro Occidente sull’oscurantismo talebano. O no?

La fine della guerra fredda e la dissoluzione dell’equilibrio di potenza tra USA e URSS hanno di fatto distrutto tutte le condizioni per le quali alcuni Paesi potevano mantenere lo status di neutralità. Quando la NATO è diventata l’unico padrone del campo, tutti gli staterelli neutrali si sono adattati al nuovo ruolo di vassalli, cercando di ricavarne il massimo in termini di affari, dato che la NATO è soprattutto una cordata di business e di lobby. C’è da dubitare che dietro l’espansione della NATO e della sua macchina di affari ci sia qualcosa di simile ad una direzione strategica, per cui è più realistico ritenere che i governi si siano semplicemente adattati alla corrente. Probabilmente non ci si è mai neppure posti il problema di credere o meno al NATO-telling, dato che negli anni ’90 certi flirt atlantisti sembravano innocui e senza conseguenze. Ma già nel 1999, con l’aggressione della NATO alla Serbia, si sarebbe dovuto capire che non si trattava di semplici marchette, bensì di un’attrazione fatale. D’altra parte occorre pur ricordare che, proprio con la guerra del ’99, si manifestarono le prime pulsioni interventiste anche in parte della cosiddetta sinistra antagonista.
La Svizzera però ci tiene a farci sapere che collabora con la NATO, ma da Paese neutrale. Si cerca persino di farci credere che la neutralità della Svizzera rifulga maggiormente proprio in virtù della collaborazione con la NATO. Si potrebbe raccontarci che la partnership è una forma di alleanza limitata a certe condizioni particolari, ma spacciarla per neutralità è veramente grossa. Mal comune, mezzo gaudio. Non sono soltanto i governi italiani a prendere sistematicamente per i fondelli i propri cittadini, ma lo fanno anche i governi svizzeri, che da decenni continuano a far credere ai propri ignari cittadini di preservare la storica neutralità svizzera.
Gli schemi narratologici del Sacro Occidente sono allestiti in modo da fagocitare spesso anche coloro che vorrebbero tenere una posizione critica. Ci si rappresenta uno scenario di azioni e reazioni, come in un gioco da tavolo, per cui, di fronte ai soprusi del dittatore di turno, il Sacro Occidente dapprima si mostra confuso, perché si sa che la guerra gli ripugna, ma poi si compatta per difendere i propri valori. Questo falso scenario crea l’illusione di un “dibattito” e quindi anche la chimerica prospettiva di poter incidere in qualche misura nelle decisioni da prendere. In realtà più spesso la quotidianità è composta di automatismi, e ciò che ci viene presentato come novità, può essere solo la manifestazione evidente di quanto accaduto vari decenni prima, come nel caso della rinuncia alla “neutralità” di Svezia e Finlandia già nel 1994. Per questo motivo anche eventuali uscite di altri Paesi dalla “neutralità”, che potrebbero esserci rappresentate in futuro dal mainstream come sconvolgenti novità, o come eventi epocali, dovranno essere invece drasticamente ridimensionate nella loro effettiva importanza. D’altra parte il mainstream è potente proprio perché è il mainstream, perciò ci si adatta al sentito dire non perché ci si creda, ma solo per non rimanere tagliati fuori.
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Di comidad (del 26/05/2022 @ 00:05:44, in Commentario 2022, linkato 6383 volte)
Nel 1919 i giornali, con in testa il solito “Corriere della Sera”, condussero una martellante campagna di stampa su presunti episodi di aggressione ai reduci di guerra. Molti storici hanno dato per scontata l’autenticità di quella narrazione, ma in realtà di sostanzioso vi era ben poco, anche considerando che, con milioni di ex combattenti in giro, era pretestuoso attribuire un carattere antimilitarista ad ogni rissa in cui venissero coinvolti; ciò in un periodo in cui si veniva alle mani molto più facilmente di oggi. Sta di fatto che quella psicosi indotta dalla stampa di establishment fu importante nel creare il clima di rancore e di regolamento di conti nel quale si instaurò il fascismo. A quell’epoca creare una psicosi fu possibile con i soli mezzi della stampa cartacea, ma oggi, con la potenza degli attuali mezzi di comunicazione indurre analoghe psicosi su presunte emergenze finanziarie o pandemiche, o sui presunti disastri provocati dal reddito di cittadinanza, è molto più agevole e frequente di prima.
In un conflitto internazionale il ruolo mistificatorio dei media è ovviamente decisivo. Il sistema mediatico, al di là delle venature falsamente “critiche”, si dimostra oggi compatto nel diffondere menzogne sulla Svezia e sulla Finlandia, che, secondo la narrazione, avrebbero rinunciato alla loro storica neutralità per chiedere di aderire alla NATO. In questo caso la verità è facilmente verificabile, poiché sul sito della NATO si può accertare non solo che Svezia e Finlandia sono partner della stessa NATO dal 1994, ma anche che nel 2018 hanno partecipato all’operazione Trident, una delle più importanti esercitazioni congiunte nella storia dell’alleanza. Se i media stanno mentendo in modo così sfacciato su un dato che chiunque potrebbe immediatamente controllare, figuriamoci come possono mentire laddove il controllo non sia possibile. Forse lo stesso concetto di menzogna non descrive correttamente ciò che accade, poiché presupporrebbe un grado di lucidità che non c’è; qui invece ci si racconta ogni volta ciò che gli fa comodo raccontarci.
A questo punto è il caso di domandarsi se, anche nel caso della guerra in Ucraina, i media non si limitino a disinformare sulle vicende di guerra, ma se addirittura non stiano proseguendo una “guerra” che sul campo già non c’è più. La presa del Donbass da parte delle truppe russe comporta lo stabilire le infrastrutture che fissino i nuovi confini, e quindi si dovrebbe procedere alla “ripulitura” dei territori che si hanno di fronte da tutte quelle postazioni dalle quali fosse possibile bersagliare le strutture confinarie in allestimento da parte dei genieri russi. Possono quindi verificarsi piccole avanzate e successivi arretramenti, che i media occidentali possono spacciare come “riconquiste” dovute a furiosi combattimenti. In parole povere, la guerra guerreggiata potrebbe già essere finita da più di un mese e non ce lo si fa sapere. Come c’è stata una psicopandemia che è andata ben oltre i pochi mesi dell’epidemia reale, anch’essa molto enfatizzata, ora potrebbe esserci una “psicopolemia” che prosegue una guerra già conclusa sul campo.

La psicosi bellica può rappresentare l’ennesima emergenza su cui allargare il business delle armi e favorire l’ulteriore espansione della NATO. C’è da dubitare del racconto secondo cui il fascino della NATO sia dovuto al timore che incute la Russia. Il sito della stessa NATO può risultare molto istruttivo a riguardo, se si considera che esso presenta addirittura un portale del business, con ben nove sotto-agenzie che si occupano di aspetti specifici degli affari legati alle forniture militari. Ognuna di queste nove sotto-agenzie ovviamente ha un personale che, oltre a riscuotere lauti stipendi, può contare su opzioni di “porta girevole”, andando ad occupare posti nelle aziende private di cui si siano favoriti gli affari. Insomma, la NATO è così attrattiva perché è una macchina degli affari. Si può comprendere il motivo per il quale le oligarchie finlandesi e svedesi abbiano colto l’occasione della guerra in Ucraina per far digerire ai cittadini comuni la scelta di rinunciare ad una “neutralità” che di fatto non c’era già più da decenni.
Ma nella NATO non c’è soltanto la prospettiva del business “legale”. Nel 2004 il personale della NATO risultò coinvolto nel traffico di esseri umani nei Balcani, cioè di riduzione in schiavitù a fini di prostituzione. Secondo i rapporti della pur addomesticata Amnesty International, nello stesso traffico era coinvolto, oltre al personale della NATO, anche personale dell’ONU. Il business aveva comportato persino l’arruolamento di mafie locali e la loro integrazione ai fini del controllo del territorio. All’epoca vi furono a riguardo anche notizie lanciate dal quotidiano “The Guardian”, dalle quali si capiva che era stata individuata soltanto la punta di un iceberg di traffici illegali di ogni genere, dato che il segreto militare consente praticamente di tutto. Non è quindi un caso che tra i fan più accesi della NATO ci siano proprio le mafie locali.

Dato che la NATO è soprattutto una macchina di affari, la sua espansione non è stata dettata da considerazioni strategiche, semmai le giustificazioni pseudo-strategiche facevano parte delle operazioni di immagine, con tanto di slogan pubblicitari dei quali sono prolifici i cosiddetti Neocon. Nel 1998 il “News York Times” segnalò che erano stati spesi cinquantuno milioni di dollari per attività da parte delle agenzie di lobbying allo scopo di spingere il Congresso USA a favorire un’espansione della NATO. Milioni ben spesi, visti i risultati nell’allargamento della NATO ad Est.
Non ha quindi senso dire che l’espansione della NATO sia stata un “errore”, poiché il potere procede esattamente così, cioè fa tutto quello che può fare se non c’è qualcosa o qualcuno che gli impedisca materialmente di farlo; e negli anni ’90 l’imperialismo russo non era più in grado di svolgere nessuna funzione di contenimento nei confronti dell’imperialismo americano. Il potere funziona proprio all’opposto dell’aforisma dell’Uomo Ragno, per cui nella realtà più potere significa più irresponsabilità.
Lo stesso processo decisionale tende a dissolversi, perciò subentrano quegli automatismi nei quali il lobbying risulta inarrestabile, poiché la lobby non è altro che un aggregato che si forma attorno ad un business ed agli slogan pubblicitari che lo promuovono. Inventare un’emergenza fasulla quindi non è un problema, basta l’incontro di un business con lo slogan adatto. Il potere è pericoloso e quindi va preso sul serio, ma ciò non vuol dire affatto che il potere sia una cosa seria. Accade esattamente come con il ministro Speranza, che ci impone un’assurdità e poi ci racconta che, come a Bernadette, gli è apparsa l’Ascienza a ispirarlo. Allo stesso modo, nei suoi vari forum, dalla Trilateral a Davos, il lobbying produce una letteratura distopica che può essere fraintesa come progettualità sociale, mentre invece rientra nei meccanismi promozionali del business.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


19/03/2024 @ 06:37:52
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