Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il ritorno mediatico di Osama Bin Laden di qualche giorno fa ha lasciato uno strascico di commenti giornalistici, per stabilire se questa sua sortita debba essere catalogata come un segno di forza oppure di debolezza. Questa discussione è già di per sé dimostrativa del fatto che l'effetto terrorizzante dell'icona di Bin Laden è pressoché inesistente, tanto da rendere fondato il sospetto che l'uso propagandistico di questa icona da parte degli Stati Uniti rientri in una generale visione colonialistica dei rapporti internazionali.
Bin Laden è un'icona razzistica, una sorta di simbolo di impurità razziale. Femmineo e mellifluo, ma barbuto, mezzo bianco e mezzo scuro, Bin Laden svolge il ruolo di suscitare non terrore, ma orrore, nel pubblico occidentale. Egli è l'ibrido ribelle che non vuole ammettere il giusto diritto del dominatore bianco.
Quando si parla di razzismo, si va oltre la semplice propaganda, si affronta uno dei miti costitutivi delle oligarchie e delle gerarchie sociali. Quindi il razzismo non si applica soltanto alle diversità razziali esistenti; il razzismo cerca, crea ed inventa queste diversità. Il razzismo americano, ad esempio, non è nato soltanto in funzione della sottomissione della gente di colore, ma anche per organizzare e giustificare la discriminazione fra gli stessi bianchi.
Uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti, Benjamin Franklin, per sostenere che gli anglosassoni fossero "il nucleo principale del popolo bianco", del "popolo puramente bianco" ("purely white people"), affermava che "Spagnoli, italiani, francesi, russi e svedesi generalmente tendono a essere di colore vagamente scuro" (Benjamin Franklin, Writings, Library of America, New York 1987, p.374). Se Franklin non esitava a scorgere tendenze negroidi persino negli svedesi, è evidente che il suo obiettivo era di formalizzare una gerarchia anche tra i popoli occidentali.
L'icona di Bin Laden è un inquietante messaggio subliminale che la propaganda statunitense lancia per fomentare non solo il razzismo, ma anche l'autorazzismo, degli occidentali.
Il problema è che non si è mai abbastanza bianchi. Lo zelo fanatico di alcuni filoamericani - da Oriana Fallaci a Giuliano Ferrara - non è dovuto soltanto ai vantaggi materiali che ne ricevono, ma al desiderio di riscattarsi dalla condizione di mezzi bianchi che la mitologia statunitense gli ha assegnato.
Comidad, 25 gennaio 2006
La crisi dell'industria automobilistica americana sembra essere la punta di un iceberg dove i rapporti di lavoro vanno assumendo sempre più i caratteri del terrorismo economico. In un sistema come quello statunitense, dove il controllo sociale fa ampiamente a meno del welfare, questa non è certo una novità.
Solo nel 1935, con il "Wagner Act" [la legge nazionale sui rapporti di lavoro] gli operai USA ottennero il diritto di organizzarsi (in Europa questo diritto esisteva già da mezzo secolo). Naturalmente la legge non era fatta per favorire gli operai e, se da un lato sanciva il fatto che essi erano riusciti comunque ad organizzarsi, dall'altro tendeva a far loro abbassare le difese ed a scatenare le ondate di licenziamenti che effettivamente seguirono.
Alcuni recenti episodi ci ricordano come il terrorismo economico, praticato dal sistema di dominio, non possa essere separato dal terrorismo antioperaio tout court.
- Con la complicità delle aziende automobilistiche, viene messa in atto la desertificazione di una città di media grandezza come Detroit, che è passata nel giro di pochi anni da 2.500.000 abitanti a circa 900.000. Detroit era una città a forte composizione operaia, una delle capitali della cultura musicale afro-americana (qualcuno ricorderà la famosa casa discografica di rhythm and blues "Motown", quella di Marvin Gaye, delle Supremes ecc., e il cui nome era appunto l'abbreviazione di Motor Town, la città dei motori.)
- Alla luce delle notizie più recenti sull'uragano che ha colpito New Orleans, le prime impressioni sembrano confermate. I quartieri poveri e periferici di New Orleans sono un vasto territorio strappato al lago che lo circonda col sistema delle pompe come in Olanda. L'uragano c'entra poco o niente: gli argini che separavano questi quartieri dal lago sono stati abbandonati e lasciati senza manutenzione per anni. Ormai è certo che delle decine e forse centinaia di migliaia di persone sfollate dopo il disastro, ben poche riusciranno a tornare a New Orleans. Il ritardo dei soccorsi e l'invio di militari "antisciacallaggio" è stato sicuramente pianificato. Il fatto che i quartieri ricchi, quelli del turismo dei bianchi, si trovassero su di una collina e che non siano stati colpiti dalla rottura degli argini, fa pensare ad una pianificazione anche dell'inondazione stessa.
- È di pochi giorni fa la notizia che 12 dei minatori intrappolati in un tunnel della Virginia sono morti per le esalazioni dei soliti gas. Uno solo è riuscito a salvarsi, pare. Altro che i minatori del "Germinal" di Zola. Ancora una volta i soccorsi sono arrivati con più di due ore di ritardo. Ma si è poi saputo che le condizioni in cui lavoravano i minatori non offrivano da anni alcuna garanzia, i sistemi di aerazione, di soccorso, di allarme, erano inesistenti. Ultima beffa: i padroni danno l'annuncio che tutti i minatori sono salvi, per poi smentire qualche ora dopo.
Sembra dunque che Bush e la banda di criminali al governo negli USA sia molto attiva anche sul fronte interno dell'aggressione anti-operaia.
A proposito di terrore ed economia, dopo l'11 settembre, The Economist ammetteva candidamente : "Molte imprese hanno preso l'11 settembre come scusa per operare delle riduzioni costi che esse già prevedevano. Quasi due terzi hanno addossato la responsabilità dei loro problemi agli attentati terroristici, cosa non molto plausibile, ma comoda."
Quello che non solo è plausibile, ma ormai sicuro, è che ci ha pensato Bush a rendergliela comoda.
Comidad, 14 gennaio 2006
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