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"La distruzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato. Ogni organizzazione di un potere politico cosiddetto provvisorio e rivoluzionario per portare questa distruzione non può essere che un inganno ulteriore e sarebbe per il proletariato altrettanto pericoloso quanto tutti i governi esistenti oggi."

Congresso Antiautoritario Internazionale di Saint Imier, 1872
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 25/08/2007 @ 23:13:31, in Commentario 2007, linkato 1462 volte)
Nei giorni scorsi si è verificata la defezione di Gavino Angius dal fronte dei contrari alla cosiddetta legge Biagi. Ancora a giugno l'esponente dei DS - che aveva rilanciato la sua immagine in seguito al rifiuto di aderire al Partito Democratico - si era pronunciato per un "superamento" di questa legge.
Sin dall'inizio la cosiddetta legge Biagi ha avuto una copertura mediatica con ben pochi precedenti. Anche la scelta di attribuire alla legge il nome di un consulente ministeriale ucciso dalle presunte BR, è servita a conferire alla legge stessa un alone di santità e di martirio, ed anche di sospetto di connivenza con il terrorismo nei confronti di chiunque si dichiarasse contrario alla precarizzazione del lavoro.
In queste ultime settimane la stampa borghese ha dato un ulteriore impulso alla campagna ideologica e propagandistica a sostegno della legge. La campagna ha assunto un tono intimidatorio, da vera e propria guerra psicologica. A metà agosto vi è stata anche la provocazione nei confronti di Beppe Grillo da parte del "Corriere della sera", una provocazione che ha avuto il senso di ribadire l'equazione tra terrorismo e contrarietà alla legge Biagi.
Nessun uomo politico può reggere una lunga aggressione mediatica, perciò Angius ha preso atto e si è adeguato, meritandosi così il plauso della stampa borghese. La vicenda è stata comunque utile per comprendere l'importanza fondamentale che la borghesia attribuisce alla legge sulla precarizzazione. Il fatto che sia stato ancora una volta Pietro Ichino ad assumersi il ruolo di difensore della precarizzazione, indica che la legge Biagi costituiva solo un anello della catena di scelte politiche che devono condurre alla meta finale: la appaltizzazione e privatizzazione delle funzioni della Pubblica Amministrazione.
Qui si tratta dell'affare più colossale che la borghesia italiana abbia mai concepito, poiché l'obiettivo è di metter le mani su quote enormi di spesa pubblica. l'affare ha il sostegno del colonialismo statunitense, che vede favorevolmente una dissoluzione dell'apparato dello Stato italiano, poiché ciò comporterebbe anche la cessazione di ogni residua possibilità di controllo sui traffici illegali che i militari americani e la CIA compiono sul territorio italiano.
Il Partito Radicale è notoriamente un'agenzia di provocazione del governo statunitense, ed in questi giorni è venuto in soccorso della legge Biagi in modo abbastanza contorto, ma efficace. Una esponente del Partito Radicale romano - che è come dire il Partito Radicale tout-court, dato che altrove ha solo manovalanza - ha fatto delle dichiarazioni sui "troppi napoletani" che lavorano nella ristorazione a Roma, che sarebbero indizio di una invasione camorristica nella capitale.
Il senso di questa sortita non è risultato chiaro finché, sull'onda dei commenti, si è arrivati al dunque: il governo lasci perdere la legge Biagi e si occupi della criminalità organizzata che è la vera causa dell'arretratezza economica del Meridione. A conferma che il senso della provocazione era questo, è giunta anche la minaccia di Emma Bonino di far cadere il governo se si ostinasse a voler toccare la legge Biagi.
La campagna propagandistica a sostegno della precarizzazione cerca quindi di andare oltre il tono puramente intimidatorio e va a compiacere l'opinione pubblica nei temi che le sono più congeniali. Il razzismo antimeridionale è una di quelle suggestioni che incontrano un consenso diffuso e trasversale agli schieramenti politici, persino fra i Meridionali, che sono ormai convinti di essere i soli colpevoli dei loro guai. Usare un pregiudizio razziale diffuso come pretesto per veicolare altri messaggi - in questo caso precarizzazione e privatizzazione -, costituisce un espediente frequente nella propaganda del Potere.
Il libro di Roberto Saviano sul sistema economico camorristico, edito dalla Mondadori (altra centrale di provocazione del governo statunitense), è stato in questo senso molto più che un'operazione editoriale, si è configurato come un vero e proprio esperimento sociale, che ha saggiato il senso critico dell'opinione di sinistra, dimostrando che ce n'è davvero poco. In generale l'opinione pubblica di sinistra si è rivelata ancora una volta troppo vulnerabile alla retorica socio-economicistica messa in campo da Saviano, una retorica che viene recepita acriticamente come una sorta di garanzia di concretezza e solidità di argomentazione.
Anche l'attuale propaganda della stampa borghese sta puntando su questa carta dei sofismi economicistici, facendo credere che la precarizzazione non sia dovuta a scelte politiche, ma che costituisca la conseguenza oggettiva dell'attuale fase dell'evoluzione tecnologica e produttiva. Insomma, la formula propagandistica è che chi si oppone alla legge Biagi si starebbe attardando nell'illusione di conservare un rapporto di produzione che ormai non esisterebbe più.
Č chiaro che non è vero nulla, dato che la precarizzazione riguarda ogni tipo di lavoro, compresi i più tradizionali, ma comunque il potere suggestivo di questa retorica tecno-socio-economicistica su certi settori della sinistra non va sottovalutato.
Marx ed Engels, nel Manifesto dei Comunisti del 1848, recepirono acriticamente la propaganda borghese sul Luddismo e affermarono che con le loro lotte gli operai: "cercano di riconquistarsi la tramontata posizione del lavoratore medievale".
La ricerca storica sulla composizione del movimento dei luddisti - non difficile dato che ci sono i verbali dei tanti processi da loro subiti - ha smentito questa mistificazione, perciò oggi si sa che si trattava di operai di nuova generazione e non di ex artigiani. Ciononostante questa accusa di conservatorismo, lanciata ad ogni forma di opposizione operaia, mantiene la sua efficacia di suggestione su molti settori della sinistra, perciò non sarà il caso di sorprendersi se vi saranno altre defezioni.
25 agosto 2007
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Di comidad (del 31/08/2007 @ 23:16:47, in Commentario 2007, linkato 1685 volte)
In Turchia l’elezione di un Presidente della Repubblica che proviene dal partito islamico, ha determinato in questi giorni vari atteggiamenti insofferenti e minacciosi da parte delle alte gerarchie militari. Gli alti ufficiali turchi, sin dai tempi di Ataturk, sono di osservanza massonica.
Quando l’impero turco venne distrutto con la prima guerra mondiale, fu la Gran Bretagna ad impadronirsi delle sue aree più ricche di materie prime, come la Mesopotamia e la Penisola Arabica. Anzi, il partecipare alla spartizione dell’impero ottomano è probabilmente stato il vero movente di quella grande guerra, e il governo italiano aveva già cominciato nel 1911, quando dichiarò guerra alla Turchia per annettersi quei territori nord-africani a cui avrebbe poi dato il nome di Libia (una reminiscenza dell’Impero Romano).
In quel periodo i militari turchi furono presi da una psicosi collettiva di autorazzismo, di odio verso le proprie radici culturali, che ritenevano la causa principale della loro umiliante sconfitta. Era ciò che la propaganda britannica gli aveva inculcato, e, come spesso capita, gli sconfitti furono presi dalla smania di imitare i vincitori e di identificarsi con loro.
Tutto questo fu la causa del successo di adesioni alle logge massoniche, di matrice inglese, dove gli ufficiali turchi poterono abbandonare il retrivo Islam per tuffarsi in farneticazioni esoteriche ancora più assurde, ma che avevano il vantaggio di appartenere al vincitore. La massoneria in quanto tale non è mai stata un soggetto politico, ma semplicemente uno strumento di penetrazione del colonialismo, un’arma per annientare culturalmente e politicamente le classi dirigenti dei Paesi colonizzati.
Per i militari turchi oggi è quindi un momento di comprensibile nervosismo, poiché vedono in pericolo la loro tutela secolare sulla società turca.
Oltretutto da un anno la pubblicistica dei “Neocons” statunitensi spinge per la soluzione di un colpo di Stato che salvi la Turchia dal pericolo islamico. Come al solito i “Neocons” hanno giustificato questa loro negazione delle procedure democratiche con l’argomento che giustifica tutto, quello che è stato scherzosamente battezzato “ad Hitlerum”: anche Hitler era andato al potere con elezioni democratiche, ma ciò non toglie che andasse fermato con qualsiasi mezzo, ecc., ecc.
Il fatto che gli islamici al governo in Turchia abbiano la patente di laico-moderati, eccita ancora di più i “Neocons”, che additano in questa mitezza un’astuta finzione: anche Hitler a volte si dava le arie da moderato, ecc.
In realtà tutti i governanti aggressivi assomigliano ad Hitler, il quale prese poteri assoluti dopo l’attentato incendiario che distrusse il palazzo del Parlamento, il Reichstag; la stessa cosa che ha fatto Bush con gli attentati dell’11 settembre.
Hitler e Mussolini poi inventarono insieme la dottrina secondo cui il pericolo comunista gli avrebbe dato il diritto di intervenire preventivamente in qualsiasi Paese, dottrina con cui giustificarono la loro aggressione alla Spagna repubblicana. Anche qui gli ideologi di Bush non hanno fatto altro che sostituire il comunismo col terrorismo, ma la dottrina è la stessa.
I “Neocons” sanno benissimo che un colpo di Stato in Turchia determinerebbe una guerra civile che farebbe sembrare un’inezia quella che si svolge in Algeria, dove anche lì un governo islamico regolarmente eletto è stato abbattuto dai militari in nome dell’ anti-hitlerismo preventivo. Inoltre ci sono milioni di Turchi che vivono in Germania, perciò la guerra civile rischierebbe di essere esportata nel centro dell’Europa.
Č proprio questa prospettiva che fa gola agli ambienti vicini a Bush: una guerra civile diffusa, che potrebbe essere continuamente attizzata grazie alla confezione di attentati di falsa matrice islamica. Una tale guerra civile giustificherebbe l’installazione di nuove basi americane, la sospensione di qualsiasi procedura legale, la possibilità per il governo statunitense di scavalcare del tutto i governi nazionali e di prendere accordi di volta in volta con i poteri che contano. Insomma, un trionfo del colonialismo commerciale statunitense.
Dopo la guerra civile, la Jugoslavia è diventata una pletora di Stati fantoccio, che non sono altro che basi per i traffici illegali degli Stati Uniti. Persino il Montenegro ha reclamato l’indipendenza dalla Serbia, pur non disponendo di risorse per vivere in proprio, se non quella di diventare un porto di transito per merci illegali.
Una banalità che ha imperversato nei dibattiti interni alla sinistra durante la guerra civile jugoslava, è stata quella secondo cui non si potrebbe attribuire la guerra civile stessa solo alle ingerenze esterne, poiché sussistevano in Jugoslavia autentiche tensioni etniche e nazionali. Questo pseudo-argomento si fonda su una concezione idealizzata dell’umanità, che si sorprende ogni volta quando una società dimostra di covare una faida razziale interna.
In realtà ogni società ha un potenziale latente di faziosità e di violenza. Un Luca di Montezemolo è diventato il beniamino di gran parte dell’opinione pubblica vomitando in continuazione frasi di odio razziale e di odio di classe, frasi che vengono apprezzate anche da chi non avrebbe alcun interesse a recepirle.
Tutte le società attuali sono gerarchiche, e la gerarchia si estrinseca in un’ansia di sopraffazione che può diventare fine a se stessa. Ma questo potenziale di odio può rimanere latente in eterno e non esplodere mai, a meno che non arrivino gli inneschi giusti, quegli inneschi che il colonialismo ha l’interesse a fornire.
Quando nel 1776 gli Stati Uniti si costituirono in nazione indipendente, adottarono una bandiera che era la copia di quella della Compagnia delle Indie; una bandiera che era composta dalle stesse strisce rosse orizzontali, solo con l’Union Jack al posto delle tredici stelle. Per non fare confusioni, la Compagnia delle Indie fu costretta a cambiare la sua bandiera nel 1801.
L’oligarchia statunitense denotava così sin dall’inizio di vedere nel colonialismo commerciale e nei metodi della Compagnia delle Indie la sua vera vocazione. L’approccio della Compagnia delle Indie ai Paesi che andava a depredare era appunto quello di fomentare, e armare, le guerre etniche; quindi gli Stati Uniti non hanno inventato nulla, hanno solo ampliato il loro raggio d’azione sino a comprendervi persino l’Europa.
31 agosto 2007
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


09/12/2024 @ 00:46:47
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