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"La ricerca scientifica è una attività umana, perciò merita, come ogni attività umana, tutto lo scetticismo possibile; altrimenti cesserebbe di essere ricerca per costituirsi come religione inquisitoria."

Comidad (2005)
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SOPRA IL MIGRANTE LA BANCA CAMPA
Di comidad (del 28/09/2023 @ 00:19:43, in Commentario 2023, linkato 8127 volte)
Alcuni commentatori si domandano quale possa essere la sorte elettorale del governo Meloni in seguito al fallimento delle sue promesse di bloccare i flussi migratori. Lo scarso successo riscosso dalla Meloni in quel di Lampedusa era scontato, visto come se la passano gli abitanti del posto; ma ciò non comporta necessariamente delle ripercussioni negative sul piano elettorale a livello nazionale. La cosiddetta politica, con i suoi rituali elettorali, svolge oggi una funzione di intrattenimento del tutto staccata dalla realtà. Il governo “Meloni” non governa e non decide nulla, è completamente sotto tutela come i minori; quindi non è in grado di fare neppure quel pochissimo che sarebbe nella disponibilità di un governo “adulto”. La stessa Presidente del Consiglio è un personaggio che appartiene al regno della fiction, della pura narrativa. Come era già in parte successo anni fa anche col Buffone di Arcore, la “Giorgia” è stata “adottata” da una gran parte dell’opinione pubblica; anzi, il fenomeno ha assunto caratteristiche esasperate, per cui la cosiddetta “premier” è come l’eroina di una serie televisiva, una “Cinderella” che ha scalato l’alta società ed ha toccato il cuore dei potenti. Gli spettatori non guardano ai risultati bensì ai buoni sentimenti ed alla buona volontà che la loro Giorgia ci mette, ed anche alle belle figure che ci fa fare all’estero perché veste elegante e sa le lingue. C’è perciò il rischio che i fallimenti e le disavventure rendano Giorgia persino più simpatica al pubblico televisivo, dato che ci sarà sempre qualche “cattivo” a cui attribuire la colpa.
La narrativa mediatica in generale, il cosiddetto mainstream, ha ormai scarsi rapporti con la realtà. Le notizie che possono disturbare il quadro rimangono ai margini dell’informazione, ed anche quando riescono a filtrare, trovano comunque ad ostacolarle la sabbia mobile del politicamente corretto. Questa non è una semplice ideologia ma uno schema comportamentale, una corsa a conquistare il piedistallo morale in qualsiasi discussione. L’indisponibilità a ricevere nuove informazioni, fa in modo che queste vengano espulse e censurate in base a quello schema che in tempi lontani veniva riassunto nella frase “ha parlato male di Garibaldi”. Non ci si preoccupa di accertare se un dato modifichi il quadro, ma solo se “offenda” una delle “specie protette” in quel momento dal politicamente corretto, in modo da potersi indignare a comando. Accade così che tutta la narrazione sul fenomeno migratorio si riduca al paradigma della fuga dalla povertà e dalle guerre col dilemma tra accoglienza e respingimento, e con la pantomima della diatriba tra buonisti e cattivisti. Sono anni che le ricerche sociologiche mettono in evidenza il legame causale tra microfinanza e migrazione, cioè il fatto che il business del microcredito allo “sviluppo” crei fenomeni di sovraindebitamento che obbligano a cercare una via di scampo nella migrazione, poiché solo se si guadagna qualcosa in monete forti come l’euro, si potrà sperare, grazie al cambio di valuta, di ripagare i debiti e di mantenere la famiglia. Si dovrà quindi contrarre un nuovo debito per affrontare le spese del viaggio, così come il giocatore spera di rimettersi in pari dalle perdite con una nuova scommessa. Un punto di riferimento in queste ricerche è l’opera di Maryann Bylander, docente di sociologia presso il “Lewis and Clark” College di Portland.

Soggetti sociali poveri, o poverissimi, come sono i migranti risultano perciò iper-finanziarizzati, sono il target di una serie di servizi finanziari che vanno dai piccoli prestiti sino al trasferimento in patria delle rimesse. Per il 2022 la Banca Mondiale ha calcolato che il volume delle rimesse dei migranti ammonta a 630 (seicentotrenta) miliardi di dollari, quindi c’è stato parecchio da “scremare” con le commissioni bancarie sui trasferimenti di valuta e con gli interessi sui prestiti. Sopra il migrante la banca campa.
In questo processo di “banchizzazione” delle masse povere non poteva mancare il ruolo del filantro-capitalismo del non profit, cioè le mitiche ONG. Il ruolo salvifico di queste organizzazioni umanitarie non è solo quello di tassisti del mare, ma anche di diffusori del Vangelo del microcredito che, secondo il mantra ufficiale, solleva dalle miserie e consente di avviare una piccola attività “imprenditoriale”. In realtà si tratta di lavoratori con la partita IVA che si assumono i rischi d’impresa, ma che di fatto rimangono dei dipendenti.
Nelle ricerche sociologiche la microfinanza non ha un’altissima considerazione, mentre invece continua ad averla nelle sedi che contano, cioè le grandi istituzioni finanziarie, come la Banca Europa di Investimenti. Questa ci racconta mirabilie sugli effetti di contrasto alla povertà che il microcredito avrebbe avuto in un paese africano come la Costa d’Avorio, consentendo la nascita di tante piccole “imprese”. La mitologia di riferimento per questa epopea imprenditoriale è quella delle solite icone cioè i grandi prestanome delle lobby d’affari trasversali al pubblico ed al privato: Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg; come se fossero davvero modelli da poter imitare e non degli spot pubblicitari viventi.
La realtà infatti è che queste piccole esperienze cosiddette imprenditoriali finiscono nella ragnatela dei sub-sub-subappalti nell’ambito dei processi di “esternalizzazione” (outsourcing) della produzione delle imprese occidentali. Il caso di Nike, azienda “vuota” che esternalizza e subappalta tutta la sua produzione è conosciutissimo, ma non si tratta soltanto di settori a bassa tecnologia come il calzaturiero ed il tessile. Oggi anche la produzione informatica e metalmeccanica viene esternalizzata e subappaltata in paesi come la Costa d’Avorio ed il Senegal. Il risultato è che una pletora di micro-pseudo-imprese è costretta a farsi una feroce concorrenza al ribasso, riducendo all’osso i costi, finché non si può più reggere.
Sarà una sfortunata coincidenza, ma la Costa d’Avorio, un paese senza guerre e con una buona crescita del PIL, è diventata una delle principali aree di emigrazione dall’Africa verso l’Europa. Magari il sovraindebitamento c’entra qualcosa; perciò invece di raccontare fesserie sui blocchi navali, bisognerebbe cercare di azzerare il sovraindebitamento e di mettere al bando la microfinanza. Il nostro governo, come tutti i governi europei, è un promotore del business del microcredito ed ovviamente anche delle esternalizzazioni dei processi produttivi. Comunque Giorgia ha ragione: dare la caccia ai mitici “scafisti” (ammesso che esistano davvero) per tutto “l’orbe terracqueo”, è molto meno rischioso che disobbedire ai banchieri, che notoriamente sono vendicativi.
Investire in microfinanza è un business sulla pelle dei poveri, ma non è affatto un business povero; anzi, consente altissimi profitti con bassissimi rischi, poiché l’insolvenza dei debitori arriva soltanto dopo che hanno già pagato tanto in termini di interessi. Il microcredito è il vero “Big Brother” del nostro tempo, ed è avvantaggiato da costi di gestione irrisori; perciò nessun investimento industriale può pensare di rivaleggiare. La deindustrializzazione del Sacro Occidente non è un casuale accidente, bensì l’effetto della sempre minore competitività dell’investimento industriale rispetto alla finanza. Secondo la vulgata, la finanza dovrebbe costituire uno dei motori dello sviluppo industriale, mentre invece si dimostra un fattore di deindustrializzazione. La finanziarizzazione riguarda persino il pensiero, per cui si perde il senso delle priorità e ci si preoccupa dell’entità del debito pubblico, mentre il problema è che non c’è più la base industriale per ripagarlo; anzi, manca la capacità produttiva per fare qualsiasi cosa.
L’abitudine al capitalismo vessatorio e bullistico sulla pelle dei debolissimi, ha determinato un crescente distacco delle oligarchie occidentali dalla “durezza del vivere”, come avrebbe detto Padoa Schioppa buonanima. Vediamo perciò che una NATO viziata dalla vita comoda si è cacciata in avventure di imperialismo/militarismo iper-aggressivo e bullistico senza un adeguato retroterra industriale a supporto. Pare però che se ne stiano accorgendo. In uno spassoso articolo di qualche settimana fa sul “New York Times”, tra un’arrampicata sugli specchi e l’altra, si constatava che la retrograda, sprovveduta e sanzionatissima industria pubblica russa riesce da sola a produrre più del doppio in termini di armamenti di tutto il Sacro Occidente messo assieme, nonostante la Russia riservi alla spesa militare una piccola frazione di ciò che spendono gli USA.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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