Anche il più vessatorio dei contratti deve fondarsi su risorse esistenti o almeno potenzialmente esistenti; quindi ciò che i media hanno spacciato come un accordo tra la von der Leyen e Trump, si rivela assolutamente irrealistico; in effetti è soltanto uno spot pubblicitario che consente allo stesso Trump di tornare a casa da trionfatore e da vindice dei presunti torti subiti dagli USA. Per decenni gli USA hanno vissuto in un mondo ideale, scambiando beni reali con carta che stampavano all’occorrenza; questo paradiso se lo sono distrutto da soli indebitandosi a dismisura per fare guerre. Ora Trump pretenderebbe di vendere agli europei GNL, GPL e armi che non è in grado di produrre, in cambio di soldi che non ci sono e non ci potranno essere nel momento in cui si deindustrializza l’Europa imponendole dazi e disinvestimenti. La narrativa vittimistica consente a Trump di fare spot molto suggestivi ma i dati di fatto non sono suggestionabili; e in questo caso il dato di fatto è un nulla di fatto, perché Trump potrebbe in qualsiasi momento cambiare idea e far saltare tutto, ma soprattutto perché ciò che ha firmato la von der Leyen in Scozia non è vincolante per nessuna delle parti. In altre parole, in Scozia si è messo in scena un evento enfatico ma vuoto, che i vari governanti e oligarchi europei possono eventualmente usare come spot per promuovere altri prodotti tossici.
Anche per il sionismo la grande risorsa autopromozionale è sempre stata il vittimismo, perciò è necessario che la discussione venga continuamente spostata su dicotomie vuote, del tutto mitologiche e sorrette da mera impudenza; insomma, una “capezzonizzazione” del dibattito. Non è quindi un caso che Macron abbia provveduto a rilanciare l’annosa, quanto astratta, questione del riconoscimento dello Stato palestinese, in modo che i commentatori sionisti possano etichettarla come un regalo ad Hamas. Semmai il “regalo” sarebbe all’Autorità Nazionale Palestinese; la quale, peraltro, ha già
un riconoscimento da parte dell’ONU come Stato osservatore. Nel 2011 il presidente Sarkozy aveva compiuto un’altra di queste sortite parolaie, tipiche della diplomazia francese, pronunciandosi a favore dell’ammissione della Palestina nell’UNESCO, ciò
contro il parere di Obama e di Netanyahu. Molto pathos per una scelta che comunque non avrebbe avuto effetti o conseguenze.
Bisogna chiedersi infatti in che termini l’essere accreditati come Stato potrebbe mai proteggere i cittadini di Gaza e della Cisgiordania o alleviare la loro condizione. Che la questione del riconoscimento dello Stato palestinese sia del tutto astratta, lo dimostra il fatto che Stati sovrani e internazionalmente riconosciuti come Libano, Siria e Iran vengano bombardati da Israele senza che ciò comporti alcuna sanzione diplomatica o economica. L’anno scorso Israele ha bombardato l’ambasciata iraniana a Damasco e né gli USA, né nessun altro Stato europeo, hanno condannato quell’atto contrario al mitico “Diritto Internazionale”. Al contrario, fu la ritorsione iraniana dell’aprile dello scorso anno ad essere oggetto di
condanna da parte del G7, convocato nientemeno che dalla Meloni.
Il riconoscimento della Palestina attiene al regno del talk show e serve a tenere alto il mito di Israele combattente intrepido e incompreso, con le mani legate dal pavido Occidente; il tutto per distrarre la pubblica opinione dalle notizie del mondo reale, quelle veramente imbarazzanti per Israele, vittima immaginaria e parassita in servizio permanente effettivo. Ciò non vuol dire però che certe notizie vengano completamente omesse negli ambiti sionisti che contano. Certo, occorre fornire quei dati con gli opportuni accorgimenti retorici che ne attenuino l’impatto. Sul sito del JINSA (Jewish Institute for National Security of America) ci si fa sapere che, durante la “guerra dei dodici giorni” tra Israele e Iran del giugno scorso, i sistemi di difesa Arrow 2 e 3 e il sistema americano THAAD hanno intercettato “con successo” (“successfully”) 201 (duecentouno) dei 574 (cinquecentosettantaquattro) missili iraniani. Viene quindi adoperato l’avverbio “successfully” per il fatto che
neppure la metà dei missili iraniani, appena il 35%, sia stata intercettata. Immaginiamoci se fosse stato un insuccesso.
Nella stessa nota sul sito del JINSA si afferma anche che gli USA avrebbero speso per quel risultato il 14% del loro arsenale di missili THAAD (Terminal High Altitude Area Defense). In un più recente articolo della CNN si precisa che la stima sulla quantità di missili impiegati andrebbe elevata ad un più allarmante 25%. Entrambe le fonti però convengono sul fatto che
agli USA occorreranno molti anni per ricostituire le proprie scorte di missili intercettori, quindi ci vorranno decenni per produrre un’eventuale eccedenza da rivendere ad altri. Sempre che Israele non decida di attaccare nuovamente l’Iran, così i decenni diventeranno secoli. Il buffo è che una delle clausole del cosiddetto accordo tra Trump e la von der Leyen prevede che l’Unione Europea compri dagli USA quelle armi che non esistono e forse non esisteranno mai. L’unica consolazione è che, data la scarsa efficacia pratica di quelle armi, tanto vale immaginarsele.