Si dice spesso, con l’aria di esibire una grande trovata, che le classi inferiori non possono rivendicare alcuna superiorità morale nei confronti delle classi dominanti. Infatti è un falso problema, in quanto la contestazione delle gerarchie sociali non ha nessuna necessità di basarsi su gerarchie morali. Non è un caso però che il sistema mediatico tenda continuamente a spostare la questione sul piano del moralismo spicciolo. Nel caso delle nozze di Jeff Bezos a Venezia si è chiaramente cercato di sollecitare indignazione per certe esibizioni di ricchezza, in modo da innescare il solito pretestuoso dibattito a vuoto tra pro e contro. Un rilievo infinitamente minore viene assegnato dai media al fatto che l’azienda di Bezos riscuote sussidi e agevolazioni fiscali in tutto il mondo. Nel momento in cui il carico fiscale pesa quasi esclusivamente sui contribuenti poveri, le spese di Bezos sono una questione direttamente politica e non astrattamente morale.
Mentre Amazon pagava sempre meno tasse (come tutte le altre multinazionali), ha percepito oltre undici miliardi in aiuti governativi, e si tratta di una cifra molto sottostimata dato che tali contributi spesso non risultano trasparenti; ciononostante si rileva l’apparente incongruenza per la quale mentre Bezos a chiacchiere celebra il libero mercato, poi invece va continuamente in cerca di assistenzialismo da parte dei governi. L’incongruenza è solo apparente, poiché è del tutto ovvio che l’assistenzialismo per ricchi cerchi dei paraventi mitologici come il liberismo.
Si potrebbe obiettare che decine di miliardi di aiuti governativi sono nulla di fronte alle centinaia di miliardi di fatturato di Amazon. L’inconsistenza dell’obiezione sta però nel fatto che l’entità degli aiuti governativi risulta determinante se comparata con gli investimenti di un’azienda, non con i suoi fatturati o i suoi profitti finali. Inoltre, quando le quotazioni di un’azienda sono artificiosamente gonfiate, i soldi del governo sono quelli che consentono di distribuire dividendi agli azionisti, come si è visto anche
nel caso Stellantis.
Gli aiuti governativi hanno effetti politici a catena, in quanto creano quel clima di “protezione” che agevola ogni rapporto dell’azienda con altre istituzioni, che così capiscono da che parte devono stare. Nel febbraio scorso il
TAR del Lazio ha dimezzato una multa della AGCM (l’Antitrust) ad Amazon; ciò in base ad un’argomentazione fumosa, cioè che la condotta dell’azienda sarebbe stata illecita ma non aggressiva.
Il TAR del Lazio è recidivo, poiché già nel 2021 aveva annullato un procedimento della AGCM nei confronti di Amazon ed Apple. Il cavillo utilizzato per annullare il procedimento e la relativa multa riguardava l’eccessiva lunghezza dei tempi, e la sentenza non era fondata su norme precise ma su alchimie analogiche.
Il “segreto del successo” delle grandi aziende va ricercato nella loro attività per creare osmosi e reciproca dipendenza con la pubblica amministrazione.
Nel 2021 la rivista online “Politico” calcolava che Amazon Web Services, allo scopo di ottenere contratti federali, aveva assunto oltre seicento funzionari governativi come premio di favori ricevuti. Va tenuto conto che non ci sono soltanto le assunzioni dirette di pubblici funzionari, ma anche fenomeni meno rilevabili, come le assunzioni di parenti e i contratti di consulenza.
La dipendenza è una componente fondamentale della potenza, quindi il potere reale è sempre una commistione di pubblico e privato, di legale e di illegale, ed anche di interno ed estero. Uno degli intoppi della scienza politica è l’eccessivo credito attribuito al concetto di Stato nazionale, dando per scontato che questo sia un soggetto definito. Il potere invece si articola in lobby che spesso intrecciano il personale di più Stati; come si vede tra USA e Israele, con politici e funzionari che esibiscono sfacciatamente da decenni una “doppia fedeltà”,
come l’attuale ambasciatore USA in Israele.
Israele a sua volta segue una politica basata sulla crescita della dipendenza dagli USA; ma sarebbe altrettanto attendibile dire che sono gli USA a cercare la dipendenza da Israele. Il tutto si spiega se si tiene conto che USA e Israele sono soggetti astratti, mentre la lobby che li accomuna è un soggetto concreto.
Anche in Italia abbiamo visto come la ricerca della dipendenza dai “vincoli esterni” sia diventata la ragion d’essere delle oligarchie nostrane, che cercano di integrarsi con lobby sovranazionali. Sarebbe improprio definire ciò come strategia, poiché la dipendenza dà assuefazione, quindi può essere perseguita in automatico, persino quando non è più vantaggiosa. Nel caso di Macron il tentativo di riaffermare la dipendenza europea dalla “protezione” statunitense ha assunto toni di regressione infantile.
In una conferenza stampa un Macron in versione Pollicino ha paragonato Putin ad un “orco”, e ha concluso che lui e Merz a fine settimana sarebbero corsi a cercare rifugio tra le braccia di papà Trump.
Si parla spesso di dipendenza dalla droga, ma la stessa dipendenza può essere una droga. Una persona che abbia potere e ricchezza si abitua ad essere servita, a non fare più nulla in modo diretto. La dipendenza del padrone dal suo servo è da secoli un argomento di ricerca filosofica e di narrazione letteraria.
Il caso Epstein è rilevante non tanto per il fatto che tanti VIP siano dei depravati (questa sarebbe una scoperta dell’acqua calda), bensì per l’incapacità dei potenti di coltivare e organizzare da soli i propri vizi, affidandosi invece ai servigi di potenziali ricattatori.