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"Politically correct" è l'etichetta sarcastica che la destra americana riserva a coloro che evitano gli eccessi del razzismo verbale. "Politicamente corretto" è diventata la locuzione spregiativa preferita ovunque dalla destra. In un periodo in cui non c'è più differenza pratica tra destra e "sinistra", la destra rivendica almeno la sguaiataggine come proprio tratto distintivo."

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TRUMP: PROIEZIONE MOSTRUOSA DEL POLITICORRETTO
Di comidad (del 11/06/2020 @ 00:15:03, in Commentario 2020, linkato 6011 volte)
Un luogo comune ricorrente è che esistano molte ideologie tra loro in conflitto. In realtà in ogni epoca l’ideologia è unica, quella dominante, mentre le ideologie alternative difficilmente raggiungono lo stadio di opposizione, anzi, rimangono al livello di astrazione, per cui gli stessi che affermano di professarle in effetti si attengono all’ideologia dominante.
L’ideologia attualmente dominante può essere identificata nel politicamente corretto, che costituisce una sintesi del liberismo finanziario globalista con la retorica morale della “sinistra”, in nome di una presunta comune lotta ai “populismi” ed ai “nazionalismi”, etichette indifferentemente appiccicate a chiunque metta in discussione le gerarchie coloniali, ed anche a chi semplicemente finga di farlo per riscuotere consensi elettorali.
Un esempio di questa sintesi del politicorretto ce la fornisce l’economista “bocconiano” Roberto Perotti, il quale, a proposito degli sperati finanziamenti del “Recovery Fund”, ammonisce gli Italiani a non trasformare quei finanziamenti europei, che non sono “gratis”, in spesa facile, in occasione di “mangiare”, secondo gli “atavici” mali italiani. L’accesso al palcoscenico finanziario sovranazionale deve essere quindi accompagnato da una palingenesi morale. Ma i liberisti non ci avevano sempre detto che la superiorità del capitalismo sul socialismo starebbe proprio nella sua capacità di coinvolgere l’uomo reale così com’è, compresi i suoi difetti? Ora invece ci si chiede uno sforzo di autoeducazione al cui confronto lo “Hombre Nuevo” di Fidel Castro era uno scherzo.
Queste pretese palingenetiche di Perotti hanno affascinato il giornalista Federico Rampini, che è stato anche uno dei principali esegeti del “pensiero” di Donald Trump, da lui ritenuto un interprete della “pancia” degli USA. Trump ha riscosso molti proseliti per il suo approccio politicamente scorretto e non ci si è resi conto che il politiscorretto non è altro che un’appendice complementare del politicorretto, che ha bisogno di darsi conferme in negativo, visto che in positivo non ne può avere. L’unico modo in cui il politicorretto può dissimulare la propria contraddittorietà e inconsistenza, è infatti quello di creare i suoi “mostri”, i suoi bersagli fittizi. Le palingenesi morali prospettate dal politicorretto non si realizzano mai, in compenso è possibile surrogarle prendendo le distanze da modelli negativi, personaggi-simbolo che hanno la specifica funzione di far indignare.
A comprendere per primo quale potesse essere il potenziale simbolico di Trump, è stato il “miliardario filantropo” George Soros, che ha “creato” il mito di Trump, accreditandolo agli occhi dei “sovranisti” con la propria ostilità. Un’ostilità troppo esibita per non sospettare che si tratti appunto di un espediente per attribuire importanza ad un personaggio gonfiato e facilmente strumentalizzabile a fini di propaganda.
Il Cialtrone della Casa Bianca possiede infatti la stessa qualità del Buffone di Arcore, cioè la capacità di suscitare un odio catartico, come se il fatto di odiarlo avesse la virtù di mondare dai propri peccati. Ci si riferisce ovviamente al Buffone di Arcore dei bei tempi andati, non a quello attuale, ridotto a fare da fattorino del “più-europeismo” e impegnato a distribuire patetica pubblicità ingannevole a favore del MES.

Il Cialtrone della Casa Bianca in questi giorni si è rivelato anche il “Gonzo” della Casa Bianca, poiché, di fronte al montare delle rivolte popolari innescate dall’ennesimo efferato assassinio della polizia, si è convinto di seguire i consigli di chi lo esortava ad imitare il Nixon degli anni ’60 e ’70, quello che faceva appello alla “maggioranza silenziosa”. In realtà la “maggioranza silenziosa” non esiste più, dato che è svanita quell’illusione del ceto medio di potersi identificare con l’establishment. Ovunque il ceto medio si sente in bilico e teme di sprofondare nella povertà e, di fatto, in molti casi davvero ci sprofonda senza prospettiva di risalita, specialmente negli USA.
Un altro errore indotto dai cattivi consiglieri è stato quello di fare appello all’esercito per fronteggiare le rivolte. Trump evidentemente non si è accorto che le forze armate americane sono oggi in maggioranza composte proprio da minoranze etniche: afroamericani e ispanici; un dato che ha prudenzialmente indotto il Pentagono a rifiutare l’offerta di Trump di gettarsi nella mischia.
All’inizio delle rivolte Trump non ne rappresentava il principale bersaglio, dato che il fattaccio all’origine delle rivolte era avvenuto a Minneapolis, una città governata da una giunta democratica; e negli USA la polizia dipende dall’amministrazione municipale. Ma ora Trump, col suo atteggiamento, si è posto come l’odiosa e odiata controparte dei rivoltosi. In tal modo ha fatto da sponda al tentativo di riassorbire le rivolte nei canoni del politicorretto. Il candidato democratico Joe Biden si è fatto alfiere di questa operazione incontrando la famiglia della vittima della violenza poliziesca, un’iniziativa che gli ha procurato il sostegno dell’establishment repubblicano.

Il mito di Trump, in positivo o in negativo, riesce a sopravvivere ad ogni smentita e ad ogni evidenza contraria, alimentando continuamente leggende. Prendendo a pretesto il comportamento di Biden, alcuni hanno addirittura costruito l’ipotesi che questa ondata di proteste sia in realtà una sorta di “rivoluzione colorata” organizzata contro Trump. Questa interpretazione si basa però su una sfacciata forzatura, poiché è stato proprio Trump a volersi porre come principale avversario del malcontento popolare, ricorrendo immediatamente alle minacce, senza neppure passare per il rituale delle ipocrite espressioni di comprensione per il disagio sociale.
Sempre Trump ha ricondotto la polemica sulla natura delle rivolte agli stretti termini del gioco delle parti tra politiscorretto e politicorretto, poiché ha preteso di attribuire la responsabilità dei disordini a gruppi politicorretti come Antifa che, al di là di una vernice di radicalismo, si muovono nell’alveo di un falso antifascismo che pretenderebbe di individuare il pericolo razzista solo nell’estrema destra, come se il razzismo non fosse alla base delle stesse gerarchie coloniali internazionali, nelle quali ci sono i popoli superiori e i popoli inferiori, i popoli “virtuosi” e i popoli che invece devono redimersi dai “mali atavici” che li affliggono.

Con lo slogan “law and order”, Trump ha evocato nella mente di tutti il titolo di quella annosa serie televisiva in cui si spettacolarizzano e si celebrano squallide vicende di macelleria giudiziaria. Se Trump avesse davvero voluto uscire dal recinto del politicorretto, anzitutto non avrebbe dovuto avallare l’allarmismo dei media e di tutti quelli che parlano di “guerra civile”, riconoscendo che la rivolta è del tutto fisiologica in un Paese che non solo non possiede ammortizzatori sociali, ma soprattutto vanta un sistema repressivo sempre ferocemente esagerato, sproporzionato sia nei metodi, sia nelle pene erogate, tanto che negli USA ci sono più di due milioni di detenuti. Negli USA basta troppo poco, o anche nulla, per essere sbattuti in carcere e finire a fare da schiavo legalizzato in un sistema penale che è un gigantesco business dello sfruttamento del lavoro. Data l’entità del business, non c’è da stupirsi che gli USA abbiano la più alta percentuale mondiale di detenuti in proporzione agli abitanti. Non c’è tanto da stupirsi neppure del fatto che molti cittadini con le rivolte colgano l’occasione per riequilibrare un po’ la bilancia tra il delitto e il castigo o, per meglio dire, tra il delitto individuale e il delitto di Stato.
Negli USA i cicli di rivolte tendono di solito ad esaurirsi in giorni o settimane ed è chiaro che eventi del genere non sono in grado di mettere in crisi la tenuta di un sistema. Il rischio però stavolta è che, grazie a Trump, ci sia persino una sorta di “reductio ad politicorrectum” delle rivolte. La retorica politiscorretta di Trump si è rivelata ancora una volta funzionale al dominio ideologico del politicorretto. L’operazione di riassorbimento ideologico delle rivolte è ancora in corso e non è scontato che riesca; ma certamente è stato proprio Trump a favorirla addossandosi la parte del mostro contro cui convogliare la rabbia popolare.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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