Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il dirigente della FIOM Giorgio Cremaschi ha espresso la sua indignazione per la mancanza di dignità dimostrata da Confindustria di fronte all'operazione di delegittimazione della storica organizzazione degli industriali ad opera dell'amministratore delegato della FIAT, Sergio Marchionne. Cremaschi non è nuovo a commenti del genere, poiché già qualche mese fa aveva manifestato la sua delusione per la propensione degli imprenditori italiani ad inseguire modelli di sfruttamento terzomondistico, invece di competere con le grandi nazioni industriali. Insomma, ci si lamenta del fatto che gli imprenditori non corrispondano mai al loro ideale. Quattro anni fa Marchionne era entrato nelle grazie di Rifondazione Comunista, e della stessa FIOM, per alcune dichiarazioni estemporanee in cui si sottolineava l'inutilità di andare a vessare il lavoro, dato che il suo costo effettivo incide a stento per il 7% nel bilancio delle imprese. Poi anche Marchionne ha deluso le aspettative, dato che neppure lui si è dimostrato un capitalista "vero".
In realtà il "vero" capitalismo è una chimera, un'astrazione manualistica, poiché la coscienza di classe del padronato si concretizza sempre e solo nell'odio verso il lavoro. Mentre la coscienza di classe dei lavoratori segue vicende storiche alterne, che la vedono talora risvegliarsi e più spesso sopirsi, i padroni esprimono invece costantemente un eccesso di coscienza di classe e di odio di classe, che gli impedisce spesso di individuare il nemico quando questi non sia il mondo del lavoro. Marchionne ha avuto infatti buon gioco a sconcertare e confondere la base della Confindustria agitandole davanti il "richiamo della foresta" dell'odio antioperaio, in particolare additandole il bersaglio della detestata FIOM. In tal modo la massa degli imprenditori italiani si è compattata ed allineata sotto la bandiera anti-operaia, e non è quindi riuscita ad accorgersi di trovarsi essa stessa sotto il tiro di un agente coloniale delle multinazionali anglo-americane.
Tutta la propaganda di Marchionne contro il contratto collettivo si basa infatti su fumosi slogan "epocali" (modernità, innovazione, avanti Cristo e dopo Cristo, ecc.) e su pretestuosi espedienti retorici, che sinora non hanno consentito di capire in cosa lo stesso contratto collettivo danneggerebbe la produttività. La futilità delle motivazioni addotte contro il contratto collettivo è risultata ancora più plateale nelle parole dei supporter di Marchionne, come il solito Pietro "Inchino". Nessun commentatore ufficiale si è dato la pena di soppesare le pseudo-argomentazioni di Marchionne, il quale viene acriticamente celebrato in base ad una rappresentazione "machista", che ne mette in evidenza la presunta potenza travolgente: lo "tsunami" Marchionne. Tutto ciò in base al principio che il cosiddetto "capitalismo" non è altro che crimine organizzato con in più il supporto delle pubbliche relazioni.
In effetti il risultato raggiunto da Marchionne consiste soprattutto nella "disarticolazione" del ruolo storico di rappresentanza svolto da Confindustria, rendendo così di colpo "orfana" la massa dei piccoli/medi imprenditori. Di fronte a questa massa orfana, Marchionne si pone ora come il nuovo papà che le promette luminosi destini, ovviamente se si accoderà alla cordata delle delocalizzazioni nell'Europa dell'Est. Il business delle delocalizzazioni nell'Europa dell'Est è attualmente gestito soprattutto dalla multinazionale Philip Morris, del cui Consiglio di Amministrazione fa parte anche lo stesso Marchionne. http://www.theofficialboard.com/org-chart/philip-morris-international
A smentire le ipotesi di una presenza puramente onorifica di Marchionne nel Consiglio di Amministrazione della Philip Morris, basta la collocazione del suo nome nell'Official Board della multinazionale statunitense, che lo pone addirittura come il numero tre della gerarchia aziendale. Ciò conferma che, nella società sedicente occidentale, i segreti meglio custoditi sono le documentazioni ufficiali, documentazioni che il conformismo mediatico ignora sistematicamente. In base a queste documentazioni risulta particolarmente stridente la "serbian connenction" tra Marchionne, la FIAT, la Philip Morris e le delocalizzazioni in Serbia.
La Philip Morris infatti possiede quasi mezza Serbia, e pensa di far fruttare questo feudo utilizzandolo anche come specchietto per le allodole per le piccole e medie imprese italiane. http://www.balcanicaucaso.org/ita/aree/Serbia/Gli-USA-al-primo-posto-negli-investimenti-in-Serbia
Sino a qualche anno fa, il fenomeno delle delocalizzazioni riguardava soprattutto le grandi imprese multinazionali, mentre ora si concentra nella piccola e media impresa. In ciò vi è una grossa differenza con il pur recente passato, poiché in questa nuova vicenda la piccola/media impresa costituisce più un oggetto, o una preda, che un protagonista. La piccola/media impresa non detiene infatti un vero e proprio potere contrattuale che le consenta di gestirsi la delocalizzazione, perciò cade vittima dell'intermediazione delle multinazionali, con tutti i rischi del caso.
Si trasferiscono all'estero impianti e produzioni affidandosi alla "buona fede" di consumati criminali internazionali, che ti conducono nel Paese dei Balocchi solo per trasformarti in asinello. In altre parole, si parte ricchi e si arriva poveri e indebitati, oltretutto dipendenti dalla rete di relazioni sul luogo, che sono interamente controllate dalle multinazionali che hanno lì i loro feudi. Sono poi sempre le multinazionali a controllare i fondi dell'Unione Europea destinati a finanziare le delocalizzazioni, quindi la sudditanza delle piccole/medie imprese è totale. Si tratta perciò di un vero e proprio saccheggio di impianti e tecnologie ai danni di piccoli e medi imprenditori ingenui, pronti a bersi gli slogan della "globalizzazione".
Appare inoltre chiaro che la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, non ha intenzione di muovere un dito per salvare la massa dei piccoli/medi imprenditori da questo misero destino, dato che anche la sua famiglia appartiene ad un giro affaristico che può permettersi ben altre ancore di salvezza (leggi: collettori di denaro pubblico).
Cremaschi ha dichiarato anche che ora con Marchionne è guerra totale. Benissimo, ma occorrerà tenere conto del fatto che Marchionne, oltre a ad essere un distributore automatico di slogan, in definitiva costituisce soprattutto un agente del saccheggio coloniale da parte delle multinazionali nei confronti dell'Italia. L'attacco al contratto collettivo e la precarizzazione del lavoro sono due aspetti di questa aggressione coloniale, in cui rientrano anche le privatizzazioni, le delocalizzazioni, il furto dei patrimoni immobiliari pubblici ed i "patti di stabilità finanziaria", cioè la miseria pianificata, funzionale a determinare le condizioni per un indebitamento di massa.
Il presidente dell'Iran Ahmadinejad ha immediatamente catalogato il caso Wikileaks nell'ambito della guerra psicologica, un concetto che nel dibattito politico iraniano non solo è abituale, ma viene anche richiamato in modo appropriato, con chiaro riferimento agli aspetti tecnici del problema. Per un Paese che cerchi di difendersi dal colonialismo, il concetto di "guerra psicologica" infatti costituisce una di quelle categorie-chiave essenziali per comprendere il mondo in cui si vive.
La guerra psicologica risulta tanto più efficace quanto meno viene percepita come tale, e la colonia perfetta è quella inconsapevole di esserlo; quindi non c'è da stupirsi che sui notiziari italiani le parole di Ahmadinejad siano scivolate senza commenti né spiegazioni, ed anche quando l'espressione "guerra psicologica" è stata per un attimo evocata, essa è rimasta a galleggiare in un oceano di indeterminatezza, senza mai far luce con un esempio o con un riferimento storico.
Nei confronti dell'Italia le finte fughe di notizie hanno colpito soprattutto l'ENI, la cui immagine è stata associata a quella di Berlusconi, in modo da trascinarla nello stesso discredito e, forse, nella stessa caduta. Il gasdotto South Stream, nato da un accordo tra ENI e Gazprom, è diventato così un "cedimento" dell'Italia agli interessi russi, un effetto delle frequentazioni fra Berlusconi e Putin. Ora, secondo i commentatori, il South Stream sarebbe diventato persino un "peso" per l'ENI, dato che le metaniere consentirebbero di approvvigionarsi di gas in modo più economico e meno impegnativo. Sarà, ma intanto l'ENI è stata costretta a cedere quote dei suoi gasdotti a causa delle "indagini" della Unione Europea, che accusava l'ente di "abuso di posizione dominante". http://www.panorama.it/home/articolo/idAA020001503873?template=templateSky
Insomma, per la UE va bene che l'ENI faccia la multinazionale, ma se si comporta da ente nazionale, allora entra nel mirino dell'antitrust. Inoltre un ENI descritto dai media ufficiali come allo sbando sarebbe "preparato" per essere ceduto gratis alle multinazionali anglo-americane. Che l'accordo con Putin per il South Stream sia stato firmato da Romano Prodi, e che il capo di governo più frequentemente incontrato da Putin non sia Berlusconi, ma Angela Merkel, alla fine risultano dettagli irrilevanti, che non possono competere con "rivelazioni" di documenti segreti.
L'ultimo incontro di Putin con la Merkel risale alla fine dello scorso novembre, ed il Cancelliere tedesco avrebbe interposto i suoi buoni uffici perché il 2011 sia finalmente l'anno in cui la Russia aderisca all'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO), dopo dieci anni di estenuanti trattative che hanno visto Putin sempre riottoso e recalcitrante al grande passo di integrarsi nella "economia globale", dato che forse non gli conviene.
http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=http://www.dw-world.de/dw/article/0,,6272200,00.html&ei=zuP9TOa8MoWZOrzQiMIM&sa=X&oi=translate&ct=result&resnum=1&ved=0CCcQ7gEwAA&prev=/search%3Fq%3Dputin%2Bmerkel%2Bwto%26hl%3Dit%26sa%3DG%26rlz%3D1W1ACAW_itIT338%26prmd%3Div
Proprio la questione del WTO e delle altre istituzioni della "economia globale" (il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale) pone degli interessanti quesiti sulla guerra psicologica in atto. Che la fuga delle notizie diffuse da Wikileaks sia stata provocata ad arte, non implica affatto che Julian Assange sia a sua volta un agente della guerra psicologica, poiché può essere stato manipolato e strumentalizzato a sua volta. Anche le persecuzioni che lo riguardano, potrebbero non essere affatto una messinscena, poiché provenienti da ambienti diversi da quelli che hanno organizzato la provocazione; sebbene faccia sorridere l'accusa nei confronti di Assange di uso terroristico di internet per aver danneggiato gli USA, i quali, secondo i commentatori, ora avrebbero difficoltà a trovare persone disposte a fidarsi di loro ed a passargli informazioni. Semmai stupisce che ci fossero ancora persone disposte a fidarsi degli USA, perciò non dovrebbe essere difficile per gli stessi USA continuare a trovarle, dato che i gonzi desiderosi di compiacere i potenti non mancano mai.
Assange potrebbe appartenere a tutta quella tradizione del giornalismo investigativo ingenuo, basato sulla ricerca/rivelazione di documenti segreti; documenti che vengono somministrati, paradossalmente, ad un'opinione pubblica che invece risulta ignara soprattutto dei documenti ufficiali. I veri documenti "segreti" non sono quelli che stanno sul sito di Wikileaks, bensì quelli che si trovano sui siti ufficiali del parlamento e dei ministeri.
Ad esempio, quanti cittadini hanno presente l'esistenza del WTO, l'Organizzazione Mondiale per il Commercio, che dal 1995 governa la nostra vita ed i nostri governi? http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:BEwn9VQuPdIJ:www.esteri.it/MAE/IT/Politica_Estera/Economia/Cooperaz_Econom/OMC.htm+ministro+degli+esteri+wto&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it
La parola "globalizzazione" è ormai una delle più abusate dal linguaggio politico, eppure ognuno può farsi carico di sondare quanti cittadini di media cultura ed abituali lettori dei quotidiani riferiscano il termine "globalizzazione" a delle precise organizzazioni internazionali che governano il mondo. Quasi tutti avranno incontrato qualche volta notizie che riguardavano il WTO, ma le informazioni sono rimaste episodiche e frammentarie, perciò la memoria le ha smarrite e soffocate con "informazioni" più invadenti.
La sedicente "globalizzazione" viene fatta passare dalla retorica mediatica per una sorta di vento impetuoso della Storia che travolge le frontiere, perciò ci si guarda bene dal parlare troppo di Fondo Monetario Internazionale, di Banca Mondiale e di Organizzazione Mondiale per il Commercio, altrimenti a qualcuno potrebbe venire in mente che non di "globalizzazione" si tratta, ma di colonialismo. Il WTO costituisce infatti un racket internazionale che costringe tutti i Paesi poveri a rinunciare alle barriere doganali, pena l'entrare nel mirino delle sanzioni economiche e delle invasioni militari. Dal 1995 anche l'Unione Europea costituisce a tutti gli effetti un sistema sub-coloniale del WTO, cosa che spiega l'attuale "terzomondizzazione" dell'Europa.
Se ci si ricordasse ogni tanto dell'esistenza di questi organismi del governo mondiale, persino le privatizzazioni non risulterebbero più come una esigenza dettata da cause economiche "oggettive", ma come l'effetto di una direttiva coloniale del FMI e della Banca Mondiale, cioè la direttiva dello "Sviluppo del Settore Privato". La sigla ufficiale di questa cospirazione criminale per le privatizzazioni è l'acronimo PSD, e tutti i dettagli del complotto sono reperibili sul sito ufficiale del Ministero degli Esteri.
http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:szklp3wQiR4J:www.esteri.it/MAE/IT/Politica_Estera/Organizzazioni_Internazionali/BancaMondiale.htm+fondo+monetario+internazionale+sviluppo+settore+privato&cd=2&hl=it&ct=clnk&gl=it
Il fascino dei finti segreti è tale che oggi esistono più pubblicazioni sul gruppo Bilderberg che sul WTO, e quando si parla delle privatizzazioni imposte in Italia, è più facile che si faccia riferimento all'aneddoto del Panfilo Britannia che alle direttive ufficiali del FMI e della Banca Mondiale. Undici anni fa la grande manifestazione di Seattle contro la riunione del WTO portò per un attimo questa organizzazione all'attenzione dell'opinione pubblica, ma poi, con gli anni, grazie alla guerra psicologica dei media, i manifestanti anti-WTO diventarono i "no-global", cioè agitati che lottavano contro slogan e fantasmi; ed il WTO si è nuovamente defilato. Oggi persino il ministro Tremonti ogni tanto può consentirsi il lusso di farsi passare da "no-global", tanto non significa nulla; intanto lo stesso Tremonti può imporre una Legge come la 133/2008, che costituisce la fotocopia delle brochure del WTO e del FMI.
In quel di Seattle il commento più stupido alla manifestazione anti-WTO, fu, manco a dirlo, di Piero Fassino, allora presente al WTO come ministro del Commercio Estero del governo D'Alema. Fassino ammonì i manifestanti dicendo loro che il WTO non è un nemico, ma un "arbitro". Un arbitro venduto, però.
Cuba è entrata a far parte del WTO quasi dall'inizio, alla metà del 1995, quindi, in base alle regole dell'Organizzazione Mondiale per il Commercio, avrebbe diritto alla clausola di "Nazione più favorita" da parte degli USA, che invece se ne infischiano e continuano ad imporre a Cuba le sanzioni economiche. Dopo quindici anni di battaglie regolamentari, Cuba è riuscita ad ottenere una condanna simbolica delle violazioni USA, ma si è trattato di un risultato puramente morale, senza effetti pratici. Nel frattempo i media internazionali continuano a propinarci la fiaba dell'isola-ultima roccaforte dell'ideologia che rifiuterebbe di aprirsi, tutto ciò "dimenticandosi" dei dati ufficiali che ci parlano invece di un'isola perseguitata dagli USA a dispetto dei trattati internazionali. http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:BtPluDRGRgwJ:www.cubanradio.cu/index.php/news-on-the-radio/1-national-news/939-cuba-blames-the-us-again-for-violations-of-the-wto-ruling+cuba+wto&cd=7&hl=it&ct=clnk&gl=it
Il WTO è un organismo che si dichiara "democratico", ma che di fatto non prevede la pari dignità dei suoi aderenti, dove tutto viene deciso per "contatti bilaterali", cioè corruzione, ricatto e terrore da parte dei forti nei confronti dei deboli. Le multinazionali anglo-americane usano il WTO per disarmare le vittime, ma fanno a meno del WTO quando gli conviene, perché a volte alle multinazionali basta la NATO. La Serbia non fa parte del WTO, se non come "osservatore", quindi sarebbe fuori della "economia globale"; ma la Serbia è stata ridotta dalla NATO ad un feudo delle multinazionali anglo-americane, in particolare della Philip Morris, perciò oggi un Marchionne qualsiasi può consentirsi di minacciare i sindacati di trasferirsi armi e bagagli in Serbia. Quindi le regole dei trattati le devono rispettare solo i contraenti deboli.
Anche l'Iran ha lo status di "osservatore" al WTO, ma non manifesta alcuna intenzione di entrarci, cosa che non ha impedito allo stesso Iran di essere chiamato a presiedere il cartello dei produttori di petrolio, l'OPEC, per il prossimo anno; perciò l'Iran non ha pagato la sua auto-esclusione dal WTO con l'isolamento, a dimostrazione che della "globalizzazione" si può fare a meno. Cuba cerca di combattere l'aggressione coloniale dall'interno del WTO, l'Iran dall'esterno, ma comunque la combattono. In Italia al colonialismo non si accenna nemmeno, quindi per l'ENI - e non solo per l'ENI - si avvicinano giorni ancora più difficili.
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