Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ci sono luoghi comuni che resistono a qualsiasi smentita da parte dell’esperienza. In particolare sopravvive la falsa convinzione che gli Stati regolino la loro politica per mezzo di processi decisionali, che potranno essere trasparenti oppure oscuri a seconda dei casi. Fortunatamente però ogni tanto qualcuno ci viene a raccontare come funzionano veramente le cose.
Sul quotidiano “Times of Israel” del 18 maggio scorso un tale Lazar Berman intratteneva i lettori sulla questione della apparente impasse determinatasi per Israele a causa di alcuni comportamenti di Trump, che sembrava intenzionato a privilegiare gli affari multimiliardari con le monarchie del Golfo invece che i desiderata di Netanyahu, che per gli USA rappresenta un costo pesante. L’articolo perveniva però ad una conclusione rassicurante per il lettore sionista; in quanto, al di là dei personali desideri di Trump, alla fine Israele potrebbe far valere ugualmente il suo punto di vista semplicemente tenendo in mano l’iniziativa, ovvero mettendo tutti davanti al fatto compiuto. Come a dire che gli Stati non sono veri soggetti politici, e tutto funziona come in un gruppazzo di adolescenti, nel quale comanda il più bullo e tutti gli altri cercano di salire nella gerarchia facendo a gara a compiacerlo.
L’articolo di Berman infatti si è rivelato fondato e persino preveggente, nel senso che meno di un mese dopo Israele ha potuto far saltare il tavolo negoziale tra USA e Iran procedendo ad un attacco ed ad un tentativo di decapitazione del regime di Teheran. Come previsto dall’autore dell’articolo, Trump non è stato capace di opporsi al fatto compiuto, ed è persino corso a mettere il suo cappello su un’iniziativa che gli veniva spacciata come trionfale. In definitiva, Trump non poteva rischiare di non salire sul carro del vincitore, tantomeno rischiare di trovarsi contro l’AIPAC, che lo ha fatto eleggere; e neppure poteva trovarsi contro i media, che sono controllati dai neoconservatori. In effetti Netanyahu sembra essersi stabilito alla Casa Bianca e probabilmente è Trump a dover dormire sul divano. Secondo l’articolo di Berman, in Israele ci si lamenta del fatto che Netanyahu abbia allestito negli USA un “one man show” senza lasciare un po’ di protagonismo anche ad altri esponenti del regime; quindi Trump rischia addirittura di finire a fare il campeggiatore sui prati della Casa Bianca.
Secondo
un articolo su “Le Monde” del 23 giugno scorso, le monarchie del Golfo avrebbero scoperto che il ruolo di destabilizzatore dell’area non è dell’Iran ma di Israele. In realtà l’Arabia Saudita e gli Emirati avevano fatto da tempo questa scoperta dell’acqua calda; il punto semmai è che le petro-monarchie si erano illuse che Trump potesse far valere il suo sogno pornografico di mega-contratti d’affari con loro; invece ha rischiato addirittura la catastrofe commerciale della chiusura dello Stretto di Ormuz pur di compiacere Israele.
I ricchi non sono tali per virtù propria, bensì per l’ingranaggio relazionale di cui fanno parte; ciò spiega come mai Trump sia in grado soltanto di desiderare e non di volere. Del resto, se Trump non fosse così inconsistente non sarebbe stato messo alla presidenza. La stessa istituzione presidenziale non ha più un ruolo preminente nella politica estera statunitense, che viene egemonizzata dal più bullo, secondo lo schema emergenzialista di mettere tutti davanti al fatto compiuto; cioè rilanciare scavalcando ogni volta tutti gli altri col pretesto della minaccia del malvagio di turno. Il potere non funziona legalmente ma per abusi di potere.
Il bullo alfa a cui gli altri si conformano è oggi il senatore Lindsey Grahame, che ha preso il posto del deceduto John McCain (quello che arringava le folle a Piazza Maidan durante il colpo di Stato del 2014 a Kiev). Grahame, come già McCaine, fa la sua politica estera; viaggia, incontra capi di Stato e di governo, rilascia dichiarazioni iperboliche e impegni irrealistici a nome degli USA, sia sull’Ucraina, sia su Israele, la cui “sicurezza” è identificata tout court con quella statunitense, per cui il patriottismo americano si misura in base alla fedeltà ad uno Stato straniero. Invece di reagire a queste invasioni di campo, Trump ne viene imbarazzato e costretto continuamente a inseguire.
Non sono quindi gli affari in generale a guidare la politica, ma sono quegli affari compatibili col bullismo e con la prassi dei fatti compiuti.
Israele è un business che non crea nuovi commerci e nuovo valore, ma pesa esclusivamente sul denaro pubblico statunitense, che è quello che paga gli appalti per le forniture di armi all’IDF. Se a questo si aggiunge tutto il giro di fondazioni non profit che convogliano denaro esentasse verso Israele, ci si rende conto che attorno al sionismo si è consolidato un giro di evasione fiscale legalizzata e di riciclaggio. I neocon come Grahame non rappresentano un’ideologia; in realtà fanno lobbying militare e finanziario con tanto di imbonimento pubblicitario. Visto che si tratta di armi scadenti e di prodotti finanziari che non creano nuova ricchezza ma solo concentrazione di ricchezza, anche la pubblicità dovrà essere ingannevole.
Si tratta perciò di
una cleptocrazia del tutto parassitaria che pesa completamente sui contribuenti, quelli che pagano le armi e gli interessi sul debito pubblico. La nozione di “contribuente” è sempre meno interclassista, tende infatti a identificarsi con i ceti più poveri. Trump ha confermato ed ampliato i tagli fiscali agli “investitori”, cioè ai ricchi, già da lui varati nel 2017; ovviamente ci sono stati anche tagli sulla copertura sanitaria per i più poveri. Il bello è che nel maggio scorso si era diffusa sui media la “notizia” secondo cui Trump aveva in programma di aumentare le tasse per i più ricchi; ma questa tecnica di intossicazione mediatica ormai è consolidata.
Nonostante il fiume di armi e denaro che lo inonda, Israele non può far valere i suoi obbiettivi, poiché questi obbiettivi non sono per niente precisi. Lo stesso articolo di Lazar Berman cita alcune fonti che affermano che per Israele la partita in Siria non è affatto chiusa e che l’attuale regime non durerà, poiché la storia insegna che prima del regime degli Assad in Siria era tutto un susseguirsi di colpi di Stato. Quindi, ai tempi di Assad la minaccia per Israele era la stabilità della Siria; adesso che non c’è più Assad, la minaccia è l'instabilità della Siria. Infatti, dopo la caduta di Assad i bombardamenti israeliani sulla Siria non sono diminuiti bensì aumentati.
Un reportage della BBC, sebbene tutto favorevole a Israele, riconosce non solo che dalla caduta di Assad i bombardamenti sono stati centinaia, ma anche che quando Trump chiede a Netanyahu di smettere gli attacchi, questi dice sì e poi ricomincia a bombardare. Come dice il proverbio, se sei un martello per te tutto il mondo sarà un chiodo; se sei un bullo tutto sarà pretesto per aggredire.
Ci sono situazioni che oltrepassano i limiti descrittivi del comune linguaggio politico. A proposito della NATO e del suo giro d’affari si potrebbe parlare di corruzione e di propaganda che surroga la mancanza di strategia; ma queste stesse espressioni potrebbero essere riferite a qualsiasi altro paese. Nessun regime infatti è immune dalla corruzione, e inoltre c'è da dubitare che la Russia o la Cina abbiano effettivamente una strategia e non procedano invece alla giornata. Il fatto che certi paesi provengano da civiltà secolari o millenarie, di per sé non ci dice nulla sulla loro attuale capacità di esprimere una visione strategica. La stessa dottrina della indivisibilità della sicurezza, inventata da Pechino e adottata anche da Mosca, di fatto svolge esclusivamente la funzione estemporanea di un’omelia domenicale,
una messa cantata sulle note edificanti dell’equilibrio e della ragionevolezza, senza però riferirsi a premesse concrete.
Ma è proprio sul tipo di propaganda che si può notare il passo completamente diverso con il quale procede la NATO. Mentre Putin o Xi Jinping cercano di apparire al pubblico come persone equilibrate e ragionevoli, nel caso della NATO, degli USA, del Regno Unito e dell’Unione Europea, si vede invece una continua ricerca dell’iperbole fine a se stessa, ovvero la si spara grossa senza alcuna considerazione del rischio di cadere nel ridicolo. Appena qualche giorno fa il segretario della NATO, Mark Rutte, in
un’intervista al New York Times ha paventato la possibilità di un attacco congiunto e simultaneo da parte della Russia e della Cina, l’una sul fronte europeo e l’altra sul fronte di Taiwan. Medvedev ha replicato alle boutade di Rutte nel modo più ovvio, spiegandola con l’uso di funghi allucinogeni, che sarebbe abituale per gli olandesi. La battuta veniva spontanea, ma in effetti nel caso di Rutte il problema non riguarda uno stato di allucinazione, bensì la totale mancanza di qualsiasi preoccupazione di risultare credibile. Una menzogna confezionata secondo i criteri della verosimiglianza potrebbe infatti non conquistare i titoli dei media, quindi passare inosservata. Nel caso di Russia e Cina si può ancora parlare di propaganda, mentre con la NATO si è passati ad una comunicazione del genere imbonitorio, come nelle televendite; se ne è visto un esempio plateale con lo spot della Kallas sul kit di sopravvivenza. Non ci si pone più il problema di convincere il maggior numero di persone con una narrazione coerente; l’importante è mirare al pubblico più impressionabile e facinoroso, in modo da gasarlo e fanatizzarlo, per poi usarlo come bullo all’occorrenza.
Mentre Rutte si espone senza alcun timore al ridicolo,
il nostro ministro Crosetto adotta un registro comunicativo più subdolo e ipocrita, per cui da un lato la spara grossa, ma dall’altro finge di prenderne le distanze. In una recente conferenza stampa Crosetto ci ha fatto sapere che in Svezia si preparano alla guerra contro la Russia costruendo un cimitero in grado di ospitare il 5% della popolazione; visto che gli svedesi sono una decina di milioni, vorrebbe dire che si mettono in conto cinquecentomila morti. Crosetto precisa che non condivide questo grado di allarmismo; ma, secondo lui, tale sarebbe il clima di attesa della guerra che si respira nel Nord Europa. Con questo trucco di saltabeccare da un’affermazione in un senso ad un’altra affermazione nel senso opposto, Crosetto riesce a fare imbonimento e, al tempo stesso, continuare a passare da persona seria per molti commentatori.
Il problema è che se i prodotti in vendita fossero qualitativamente validi, non avrebbero bisogno di pubblicità ingannevole. Un prodotto fraudolento, industriale o finanziario che sia, si vende solo con una pubblicità fraudolenta. Lo si è constatato con i sistemi antimissile: costano troppo, al punto che i missili intercettori sono più costosi dei missili che dovrebbero bloccare. L’Iran non ha neppure usato i suoi missili più avanzati ed è ugualmente riuscito a perforare le difese israeliane ricorrendo ai fondi di magazzino. La settimana scorsa Kiev ha dovuto subire centinaia di impatti di missili e droni senza che la contraerea ucraina potesse farci nulla. L’intossicazione mediatica si è messa in moto facendo circolare la notizia fasulla di una prossima cessazione delle forniture americane di missili Patriot; in tal modo si è suggerito falsamente al pubblico che il bombardamento russo fosse riuscito solo perché i Patriot scarseggiavano. Le stesse considerazioni valgono per il sistema italo-francese Samp-T: non solo è vertiginosamente dispendioso in sé, ma inoltre anche i suoi intercettori Aster 30 costano più dei missili che dovrebbero bloccare, e devono persino essere lanciati due o tre alla volta per sperare di intercettare qualcosa. Di fronte a questa debacle, il ministro Crosetto mica ha chiamato quelli di Leonardo SpA per intimargli di produrre qualcosa di più efficace e molto meno costoso; tutt’altro. Crosetto ha infatti deciso di
raddoppiare la “dose” di missili intercettori del Samp-T; esattamente come con i sieri Pfizer: visto che non hanno funzionato con le due dosi canoniche, allora te ne fai quattro o cinque.