Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I rituali di intrattenimento della fintocrazia prevedono che un governo di destra tenga un atteggiamento sprezzante e insofferente verso i sindacati, in modo da indurli a mobilitarsi per difendersi il loro angolino di interlocuzione con l’establishment. Seguendo il copione i leader sindacali usano toni verbali accesi e coloriti (“rivolta sociale”) per sollecitare una partecipazione di massa alle manifestazioni; cosa che farà da sponda al governo di destra consentendogli di interpretare a pieno titolo la parte della vittima dell’odio e delle “violenze di piazza” (cioè i soliti tafferugli che si verificano tra polizia e confidenti della polizia). I leader della destra possono così eccitare i propri supporter, prospettando loro pornografici scenari di repressione sempre più draconiana. Crosetto e Salvini propongono infatti di punire i violenti con multe pesanti oltre che con la galera. Visto che il segretario CGIL, Maurizio Landini, viene additato come il mandante quantomeno morale delle violenze, si potrebbe arrestare e multare pure lui. Tra i porno-sogni della destra forse soltanto quello di deportare i migranti potrebbe eguagliare la libidine di umiliare i sindacalisti. Del resto il mantra della destra è che i sindacati hanno rovinato l’Italia, perciò sarebbe ora che l’Italia rovinasse i sindacati reclamando da loro un risarcimento in denaro.
Sarebbe però riduttivo supporre che la fintocrazia esaurisca i suoi rituali e le sue risorse filodrammatiche soltanto con il derby tra destra e sinistra e con lo scontro tra ultras delle rispettive tifoserie. Ci sono momenti nei quali troviamo unite destra e sinistra in un patriottico sussulto di indignazione nei confronti di chi abbia abusato dei finanziamenti pubblici. Dopo le stra-remunerate dimissioni di Carlos Tavares da CEO di Stellantis, tutti i partiti chiedono che John Elkann in persona venga a conferire in parlamento per rendere conto delle mancate promesse di sviluppo industriale.
Ammesso però che Elkann si degni di andare in parlamento, non potrà dire nulla che i politici non sappiano già e che fanno finta di non sapere; perciò, in omaggio ai cerimoniali della fintocrazia, Elkann si guarderà bene dal dirlo. L’inconfessabile è che il denaro pubblico non è stato investito da Stellantis in sviluppo industriale, bensì per una riconversione dell’azienda in senso finanziario. Oggi Stellantis è praticamente una banca, cioè fornisce “servizi finanziari”, che è un modo politicamente corretto per dire prestiti ad interesse. Ancora più politicorretta è la locuzione “inclusione finanziaria”, cioè la costrizione nei confronti delle masse povere ad utilizzare i “servizi” bancari, una prassi che rappresenta attualmente la più lucrosa forma di sfruttamento dei migranti ed anche il principale fattore di spinta alla migrazione.
Il ritorno in termini di profitto degli investimenti industriali non è comparabile con quello degli investimenti in “servizi finanziari”. La deindustrializzazione comporta la finanziarizzazione dei rapporti sociali, cioè la tendenza a sostituire il più possibile i salari con i prestiti. Le destre hanno accusato Landini di essere un “fondamentalista” a causa di qualche suo slogan più trasgressivo. In realtà oggi ai sindacati mancano proprio i fondamentali, tra i quali il capire che la rinuncia a dare priorità alla rivendicazione salariale comporta la resa alla finanziarizzazione dei rapporti sociali. I sindacati infatti non hanno assolutamente contrastato la tendenza alla finanziarizzazione dei rapporti sociali, né sul piano pratico, né sul piano ideologico; al punto che la stessa CGIL si è convertita al “finanziariamente corretto”, facendosi coinvolgere nel business del microcredito non solo ai soggetti in condizione di bisogno ma anche agli aspiranti imprenditori. Il microcredito è nato come arma del neocolonialismo per “banchizzare” le masse povere dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, creando destabilizzazione sociale ed anche spinta migratoria, dovuta proprio all’impellenza di ripagare i debiti. La pubblicità a favore del microcredito si sofferma però su quei rari casi in cui il meccanismo sembrerebbe aver sortito effetti positivi, ma in generale il microcredito risulta socialmente devastante perchè non soltanto rende epidemico l’ indebitamento; peraltro anche a cifre non tanto “micro”, dato che si può arrivare a prestiti fino a settantamila euro; e un debito di questa entità può stroncare un’esistenza, consegnandola ad una condizione di dipendenza cronica.
I privati devono fare profitto, quindi i privati devono deindustrializzare e riconvertirsi in senso finanziario. Ai politici di destra e sinistra spetta invece la nobile missione di erogare fondi pubblici ai privati facendo finta di non sapere che fine faranno quei sussidi alle imprese. L’unico modo per preservare l’industrializzazione sarebbe di renderla pubblica; e pubblica anche in modo trasparente, senza il trucco delle SpA con il governo che fa l’azionista, il che provoca confusione tra diritto pubblico e diritto privato in modo da consentire di comportarsi come un privato. Ma la trasparenza giuridica presupporrebbe che lo Stato fosse davvero un soggetto pubblico, e non invece quello che è, cioè una finzione giuridica in funzione di un dispositivo di privatizzazione del denaro pubblico. Un “comunismo reale” consisterebbe appunto nel ribadire che ogni impresa che si regga sul denaro pubblico deve essere inequivocabilmente pubblica.
A mo’ di consolazione Elkann potrebbe però ricordarci che non è soltanto il contribuente italiano ad avergli finanziato la trasformazione della sua industria in una banca. Il contribuente americano infatti non è stato da meno. Nell’aprile di quest’anno l’amministrazione Biden ha deciso l’ennesimo stanziamento di oltre un miliardo di dollari a favore di Stellantis e di General Motors, con la solita scusa di incentivare la produzione di veicoli elettrici. Per non essere da meno, dal 2020 anche General Motors, forse traviata dall’esempio degli Elkann, ha avviato le procedure legali per trasformarsi a pieno titolo in una banca. Anche in questo caso il pretesto ufficiale è di ottimizzare entrando nel business dei prestiti-auto; ma è chiaro che poi ci si espande a qualsiasi settore di prestiti.
Uno dei mantra allegati all’elezione ed alla rielezione di Trump è quello della perdita dell’influenza dei media mainstream sull’elettorato; in altri termini oggi gli elettori tenderebbero in maggioranza a votare in senso contrario a quanto indicato dai principali quotidiani e dai grandi network televisivi. La realtà però è più complicata; infatti, sebbene ostili a Trump, i media mainstream hanno contribuito ad alimentare il mito secondo il quale il suo politicamente scorretto costituirebbe una sfida ideologica all’establishment.
Il problema è che il politicamente scorretto non è altro che un sottoprodotto comunicativo del politicamente corretto e vive in funzione del gioco delle parti, cioè del battibecco che nasconde i veri problemi. Ad esempio: il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro aveva cercato goffamente di fregare il detenuto al 41bis Alfredo Cospito incaricando un parlamentare suo sodale di diffondere alcune intercettazioni effettuate in carcere. Purtroppo da quelle intercettazioni risultava con chiarezza che il regime carcerario del 41bis non comporta affatto l’isolamento dei detenuti; anzi, questi vengono regolarmente fatti incontrare a gruppi nelle ore d’aria. Ciò pone dei dubbi seri sul 41bis; se esso sia davvero un regime di “carcere duro” per il controllo dei boss, oppure sia uno strumento di gestione e manipolazione del crimine organizzato da parte di apparati non identificabili. Non c’era niente di più scontato da parte di Delmastro che riportare confusione lanciando qualche battuta truculenta sul trattamento riservato ai detenuti al 41bis, in modo da scatenare la solita diatriba fumosa tra buonisti e cattivisti. L’importante è che la narrativa dello spot ufficiale sul 41bis non venga messa in dubbio.
Ma il nesso più importante di continuità tra politicamente corretto e politicamente scorretto è certamente il culto della figura del miliardario. Nel 1993 George Soros convogliava le sue varie attività “filantropiche” nella Open Society Foundation, e la sua immagine di miliardario assurgeva al cielo dei santi del politicamente corretto. A incaricarsi di mettere in ombra i conflitti di interesse di Soros etichettando i critici come “complottisti” o antisemiti, sono sempre stati infatti gli organi di stampa più identificati col politicamente corretto “puro e duro”, come attualmente Open o Fanpage. L’unica vera religione è l’odio per l’uguaglianza, ed è una religione trasversale alla destra ed alla fintosinistra; perciò diffidare troppo dei ricchi e dei potenti viene bollato come un comportamento peccaminoso.
Soros non ha mai assunto cariche politiche nei governi, ma in compenso il suo rapporto diretto con la NATO gli ha consentito di agire in una scala globale e con coperture di alto livello. Certo, Soros ha contribuito a destabilizzare i regimi dell’Est e la Jugoslavia soltanto per diffondere la democrazia ed il vangelo popperiano della “società aperta”, e per puro caso ciò gli ha aperto possibilità di investimento e di profitto in paesi come l’Ucraina. Il Buffone di Arcore non solo è arrivato dopo Soros ad interpretare la parte del miliardario/salvatore, ma si è anche dovuto accontentare di uno scenario più ristretto e provinciale per i suoi conflitti di interesse. D’altra parte più conflitti di interesse si possono esibire, più ciò indica che si hanno le mani in pasta, e tutto questo può essere vantato come “esperienza”; anzi, meglio ancora, come “competenza”. Basta intendersi sui termini e il potere dei corrotti diventa meritocrazia e persino gerarchia antropologica.
In questi ultimi decenni il politicamente corretto ha criminalizzato e screditato indistintamente tutte le categorie sociali con narrative liquidatorie. La classe operaia non esiste più. I dipendenti pubblici sono tutti “furbetti del cartellino”. I lavoratori autonomi sono evasori fiscali. I tassisti sono la “razza peggiore” (cit. vangelo secondo Lucarelli). Gli insegnanti sono ignoranti e incapaci. I medici servono solo come mere appendici del dio vaccino. Da questo generale smantellamento della dignità sociale non poteva che emergere, luminosa e possente, la figura del miliardario, l’unico che può salvarci, visto che, in un modo o nell’altro, tutte le altre categorie sociali fanno schifo. Non si tratta del miliardario reale bensì del miliardario mitologico, del ricco filantropo in versione fumettistica, come il Bruce Wayne alter ego di Batman; il quale, guarda la combinazione, ha anche lui la sua fondazione benefica, la “Wayne Foundation”.
Lo sviluppo mitologico della miliardariolatria ovviamente è la miliardariomachia, cioè la narrativa secondo cui la politica che conta consisterebbe nell’epica lotta tra miliardari. L’anno scorso Elon Musk accusava George Soros di odiare l’umanità; infatti Soros aveva appena disinvestito da Tesla, e ciò aveva contribuito a determinare un crollo in Borsa delle azioni dell’azienda di Musk. Comunque non c’è da temere per Tesla, che ha potuto finalmente incrementare le sue vendite grazie ad una pioggia di sussidi e incentivi governativi, a riprova del fatto che l’imprenditoria privata è una finzione che non regge senza l’assistenza del denaro pubblico. Uno “Stato” che tiene su la finzione del capitalismo privato è ovviamente una finzione esso stesso, cioè l’alibi giuridico di lobby d’affari, una cleptocrazia con annesse porte girevoli tra carriere nel “pubblico” e carriere nel “privato”.
La miliardariomachia ha i suoi alti e bassi e persino i suoi tradimenti personali e ideologici. Purtroppo per il miliardario Musk, ora che l’ingrato miliardario Trump è ridiventato presidente lo ha relegato ad un incarico minore (ma comunque utile a gestire i sussidi governativi alle imprese), preferendogli come segretario al Tesoro un altro miliardario portagirevolista, Scott Bessent, un finanziere gestore di hedge fund ed ex collaboratore di Soros; ed infatti, ancora giovanissimo, Bessent fu coinvolto nelle famose speculazioni sulla sterlina e sulla lira del 1992. La scelta di Trump (o chi per lui) quindi non è caduta su un industriale, bensì su un manager del credito, per ristabilire che il primato spetta comunque alla finanza. Per colmo di politicamente corretto, Bessent ha anche la fama, vera o fittizia, di essere gay.
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