Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
In base al racconto dei media viviamo nel migliore dei mondi possibili: un mondo in cui i miliardari sono filantropi, i governi si accorano per la nostra salute, le multinazionali farmaceutiche ci amano, i Presidenti della Repubblica rinunciano a vaccinarsi per primi in modo da lasciare la precedenza a noi; e, infine, un mondo dove le istituzioni europee ci inondano di miliardi per curare le ferite della nostra economia.
Questa era la notizia buona. La notizia cattiva è che, a fronte di tanta illuminata benevolenza, vi sono masse ingrate e oscurantiste, composte da complottisti, negazionisti, terrapiattisti, no-vax, populisti, nazionalisti, sovranisti, ed anche da incapaci/corrotti già pronti a sprecare i preziosissimi fondi europei.
Ci si potrebbe domandare chi mai possa credere ad una rappresentazione così demenziale. In realtà il credere o meno non c’entra, poiché qui siamo nell'ambito del pre-ideologico, cioè dello schema relazionale, che prescinde dal pensiero cosciente e dal discorso. Lo schema relazionale di dipendenza può risultare euforizzante anche per chi lo subisce, in quanto conferisce l'illusione di entrare a far parte di un insieme più potente e votato a luminosi destini. L’euforia però si scontra ben presto con l'esperienza della frustrazione crescente.
Si tratta della stessa relazione di dipendenza rintracciabile nell’ambito religioso: la buona novella è che il Figlio di Dio è morto in sacrificio per i nostri peccati e quindi saremmo tutti salvi; la cattiva novella è che tanta grazia divina noi esseri indegni la sprechiamo e quindi all’inferno rischiamo di andarci ugualmente. Euforia e frustrazione.
L'informazione scientifica del prestigioso Istituto Mario Negri riproduce uno schema analogo: i vaccini sono sperimentati e supersicuri, perciò solo un superstizioso come te può rinunciare a tanta fortuna; certo, potrebbero non funzionare, puoi beccarti uno shock anafilattico, puoi ammalarti lo stesso, ma, se vuoi i vantaggi, devi accettare i rischi. La relazione sacrificale insita in questo tipo di comunicazione è stata ben messa in evidenza da papa Bergoglio, che ci esorta a vaccinarci se non vogliamo passare da egoisti e irresponsabili. L'obbligo di vaccinarsi che, per il momento, la legge non può ancora imporci, passa per la via surrettizia del timore dell'isolamento sociale e dell’esposizione alla gogna. La Medicina sarebbe il potere “benevolo” per definizione, eppure nella relazione di dipendenza nei suoi confronti, il ruolo di paziente ed il ruolo di cavia si confondono.
Abbiamo qui un altro tipico caso di potere che ti “rassicura” terrorizzandoti, un potere schizofrenico che però è pronto ad accusarti di essere paranoico se non gli dai retta. La comunicazione ufficiale rincara la dose: state tranquilli,
l’immunità assicurata dai vaccini dura almeno otto mesi (sic!), quindi tra un anno tutti di nuovo a vaccinarvi.
A scanso di equivoci, il nostro governo, provvido e benevolo, stanzia settantuno milioni all’anno per
risarcire i danni da vaccini, dando quindi per scontato che quei danni ci saranno. Alla fine è il contribuente a dover pagare per i prevedibili, e previsti, errori delle multinazionali.
Lo stesso schema relazionale, basato su promesse paradisiache e prospettive infernali, può essere riconosciuto nei rapporti che vengono qualificati come “economici”: il “Mercato” con la sua competizione produce ricchezza e assicura benessere, ma nella competizione c’è chi vince e chi perde. Ovviamente è già previsto chi siano quelli “bravi” che vincono sempre, perciò ai perdenti spetta di accettare con rassegnazione, e senza protezioni, quella
“durezza del vivere” invocata e auspicata nel 2003 da Tommaso Padoa Schioppa, che sarebbe poi diventato ministro dell'Economia nel secondo governo Prodi, oltre che dirigente del Fondo Monetario Internazionale. Padoa Schioppa fu anche consulente del governo greco all'inizio della grande crisi finanziaria che investì la Grecia, e non c’è dubbio che i suoi consigli siano stati preziosi. Padoa Schioppa considerava “sinistra” tutto ciò che castiga gli egoismi individuali e nazionali, cioè rafforza la relazione gerarchica di dipendenza e di sacrificio. Mettersi in guai come l'euro e come il lockdown, per farsi poi salvare dall'Europa, è una cosa bella perché esalta la nostra dipendenza. Che poi non vengano realmente a salvarti, che i sacrifici portino solo altri sacrifici, sono dettagli irrilevanti. Sottolineare l'assurdità di questa concezione, non ha molto senso, poiché qui siamo nel pre-logico, nel comportamentismo puro.
Secondo la concezione marxiana, esiste un capitale reale, investito nella produzione e nelle infrastrutture, e c’è anche
un capitale fittizio, composto di meri crediti. Il tema è ritornato all'attenzione nell'attuale epoca di strapotere della finanza. Può però sorgere il dubbio che “fittizia” non sia soltanto la finanza, ma anche l'intera costruzione della sedicente economia di mercato.
Sulla linea della critica del potere dei “saperi”, avviata dal filosofo francese Michel Foucault, l’economista Thomas Piketty, anche lui francese, comincia a porre il
dubbio che l'intera costruzione del “Mercato”, sia in realtà fittizia, cioè un discorso ideologico che non ha altro scopo che giustificare e coltivare la disuguaglianza. La comunicazione mainstream non ha ignorato Piketty, che è un economista accademico, ma non mette abbastanza in evidenza un aspetto particolarmente interessante della sua ricerca. Secondo Piketty infatti la rendita, sia fondiaria che finanziaria, tende storicamente a prevalere sul profitto industriale e sui redditi da lavoro. Si tratta di un dettaglio che mette in crisi l'immagine “produttivistica” del capitalismo e spiega come, al di là di qualche parentesi storica, la pauperizzazione delle masse sia la tendenza fondamentale del capitalismo.
Una demistificazione ideologica dovrebbe però arrivare al nocciolo pre-ideologico dei rapporti di potere. Non a caso il lavoro di Piketty ha ricevuto
l'apprezzamento da parte del miliardario “filantropo” Bill Gates, che da sempre combatte contro la povertà e le disuguaglianze. Il problema è che quando ti affidi alla benevolenza dei potenti, sei già nella condizione della cavia sacrificabile.
Ringraziamo Mario C. “Passatempo” e Claudio Mazzolani per la collaborazione.
Agli inizi del 2016 la stampa diffuse la notizia che un
film biografico sul campione olimpico Jesse Owens, vincitore di quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936, ripristinava la verità storica sul famoso aneddoto secondo cui Hitler si sarebbe rifiutato di stringere la mano al “negro” Owens. Sulla base della testimonianza e dei documenti fotografici forniti dallo stesso Owens, si è potuto ricostruire che in realtà Hitler strinse la mano al campione olimpico statunitense; fu invece proprio il presidente USA Franklin Delano Roosevelt a rifiutarsi di ricevere Owens alla Casa Bianca.
Le anticipazioni di stampa sul film furono poi smentite dai fatti, poiché si vide che la trama di “Race” continuava ad attenersi alla vecchia e falsa versione ufficiale, e non faceva alcun cenno alla discriminazione da parte di Roosevelt. I produttori di “Race” avevano investito una montagna di soldi, per cui non potevano correre il rischio di ritrovarsi il film emarginato dalla distribuzione. Anche tutti i tentativi di Owens di convincere i giornalisti a pubblicare la vera versione dei fatti, avevano ottenuto solo comprensione umana, poiché nessun giornalista se l’era sentita di giocarsi la carriera narrando di un Roosevelt più razzista persino di Hitler.
Eppure quegli avvenimenti, se inquadrati storicamente, risultano del tutto logici. Hitler non aveva nulla da perdere a compiere quel gesto ipocrita di
stringere la mano ad Owens; anzi aveva tutto l’interesse a non sollevare incidenti diplomatici e ad accreditare l’immagine rassicurante che la Germania nazista voleva offrire di sé nel 1936. Al contrario, Roosevelt con quell’ipocrisia avrebbe irritato il suo elettorato democratico del Sud, che era rigidamente segregazionista. Oggi negli USA il Partito Democratico è il partito delle minoranze etniche, ma sino agli anni ‘50 era stato molto più zelante del Partito Repubblicano nel difendere le leggi segregazioniste. Ciò fa comprendere quanto sia ridicolo da parte dei commentatori europei attribuire le categorie ideologiche di destra e sinistra ai partiti statunitensi, che sono meri comitati elettorali.
L’intervento statunitense nella seconda guerra mondiale non assunse alcuna connotazione ideologica in senso antirazzista, e le regole segregazioniste rimasero in vigore all’interno delle forze armate. Quella connotazione ideologica antirazzista fu attribuita solo a posteriori in funzione della guerra fredda e del confronto ideologico con il comunismo sovietico. Alla vigilia di un intervento militare nel Sud-Est asiatico, gli USA non potevano più permettersi di concedere alla propaganda sovietica quell’argomento sul razzismo americano, che sarebbe stato molto efficace nei confronti di popoli di colore.
Kennedy e il suo successore Johnson formalizzarono l’abolizione delle leggi segregazioniste. Nonostante le resistenze violente da parte dei segregazionisti, il processo riuscì ad andare avanti, e non solo per gli interessi imperialistici in gioco, ma anche per un motivo interno alla società statunitense. Lo sviluppo economico consentiva infatti un aumento dei redditi ed un ascensore sociale agli americani “bianchi”, per cui le gerarchie erano comunque preservate e garantite dal divario nell’incremento del reddito, in media decisamente più basso per le minoranze etniche, che vedevano comunque anch’esse un certo miglioramento delle proprie condizioni.
Dal punto di vista delle oligarchie quella crescita del reddito dei ceti più bassi fu percepita però come un pericolo per l’assetto gerarchico, poiché per i ricchi il divario razziale non si focalizza sul colore della pelle ma soprattutto sulla ricchezza: sono i poveri ad essere considerati la razza inferiore, cioè la differenza di reddito segna la superiorità o l’inferiorità anche sul piano antropologico. Il “disagio” dei ricchi fu espresso in un documento della Commissione Trilaterale del 1975,
“La Crisi della Democrazia”, un vero e proprio manifesto del vittimismo padronale. Ad essere sotto accusa nel documento non era realmente la “democrazia”, che non è mai esistita, bensì quella mediazione politica che aveva consentito ai redditi più bassi di crescere. Era quindi lo sviluppo economico a dover essere frenato, in modo da impoverire le classi subalterne, mentre l’accumulo delle ricchezze dei pochi doveva essere assicurato dalla finanza.
Già alla fine degli anni ’70 l’incremento del reddito delle classi medie e lavoratrici si arrestò e, con la vittoria statunitense nella guerra fredda, si è avviato un processo inverso, addirittura di pauperizzazione. Da circa trenta anni il reddito degli americani “bianchi”, la cosiddetta “middle class”, che negli USA si identifica in gran parte con la classe lavoratrice, tende a precipitare e ad avvicinarsi pericolosamente a quello delle minoranze etniche. Ecco che allora rinasce prepotentemente il problema per i bianchi poveri di “essere almeno meglio dei negri e degli ispanici”.
Nella società gerarchica il non discriminare le minoranze diventa così un lusso, o un vezzo, di chi sta ai vertici della gerarchia sociale, mentre il “popolo” non può più permettersi di non discriminare, se non a prezzo di declassarsi nella scala gerarchica. Il politicamente corretto affronta il dramma della “middle class” con un analogo schema gerarchico, ma ci aggiunge anche un tocco simile a quello della infelice battuta ingiustamente attribuita alla ignara e inconsapevole Maria Antonietta: “Se non hanno pane, perché non mangiano brioche?”. Dalla “middle class” che vede sprofondare le sue aspettative di benessere, il politicorretto pretenderebbe infatti che non rimanga attaccata al proprio passato, che non sia nazionalista e “reazionaria”, bensì che diventi aperta, progressista come i miliardari filantropi.
All’animabellismo dei politicorretti si è falsamente “contrapposto” l’animabruttismo del cialtrone Trump, che però, guarda caso, è anche lui un miliardario e un oligarca, quindi un “santo” della religione politicorretta; perciò anche il suo “rimedio” è consistito nel beneficare i ricchi, perché potessero, bontà loro, dar lavoro ai poveri.