"
"Il capitalismo non è altro che il rubare ai poveri per dare ai ricchi, e lo scopo della guerra psicologica è quello di far passare il vampiro per un donatore di sangue; perciò il circondarsi di folle di bisognosi da accarezzare, può risultare utile ad alimentare la mistificazione."

Comidad (2009)
"
 
\\ Home Page : Archivio (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 02/01/2020 @ 01:30:19, in Commentario 2020, linkato 10021 volte)
Il fatto apparentemente nuovo nella crisi libica è l’ingresso plateale della Turchia di Erdogan nel ruolo di salvatore del governo Sarraj minacciato dalle milizie del generale Haftar. È improbabile che Erdogan non fosse già coinvolto da tempo nella vicenda del caos libico; ora però il dato assume il tono di una rivalsa storica, poiché la Tripolitania e la Cirenaica, prima di diventare colonie italiane nel 1911 col nome romano di Libia, erano province dell’impero turco Ottomano.
In Italia uno dei mestieri più futili e frustranti è quello di ministro degli Esteri e, non a caso, l’incarico è stato affidato ad un personaggio come Luigi di Maio, che ha la vocazione del parafulmine, del colpevole di professione. Adesso che avrebbe il compito di preservare gli interessi dell’ENI in Libia dall’offensiva turca, Di Maio si trova esposto ai mordaci commenti degli analisti di politica estera che si divertono a prenderlo per i fondelli. Prima gli si consiglia di agire di concerto con la mitica Europa, poi lo si ridicolizza dicendo che ha perso il suo tempo, visto che l’Europa non conta nulla; gli si contesta di puntare su un cavallo sbagliato come Sarraj e dopo gli si rimprovera di far politiche dei “due forni” prendendo contatti con Haftar; e via di questo passo, a furia di consigli e sfottò.
Ciò che manca nei commenti mediatici è un minimo di valutazione realistica sui moventi dei principali attori. Se dopo otto anni dalla caduta di Gheddafi, la destabilizzazione in Libia non vede pause, c’è da sospettare che il caos faccia comodo a qualcuno.
I colossali investimenti statunitensi nel costosissimo petrolio ricavato dalla frantumazione delle rocce di scisto, potevano apparire del tutto antieconomici; ed in effetti, in condizioni di mercato stabili, lo sarebbero stati. La destabilizzazione delle tradizionali aree petrolifere come il Vicino-Medio Oriente e il Venezuela, con la conseguente incertezza cronica delle forniture, ha invece spalancato la strada al business statunitense del petrolio di scisto. Quest’anno per la prima volta dopo molti decenni, gli USA sono diventati esportatori netti di petrolio. Si tratta del primo vero segnale positivo per la bilancia commerciale USA, il cui gigantesco passivo non era stato scalfito dalla pioggia di dazi del cialtrone Trump. Ovviamente i media ci raccontano che, essendo diventati energeticamente indipendenti, gli USA non sono più tanto interessati al Vicino e Medio Oriente. La realtà è l’opposto: gli USA hanno uno specifico interesse commerciale a destabilizzare tutte le aree petrolifere tradizionali.

C’è persino da avanzare qualche dubbio sulla sincerità delle preoccupazioni dei media italiani per le sorti dell’ENI in Libia. Nel 2011 i media nostrani furono compatti nel sostenere la destabilizzazione del regime di Gheddafi. Con la modesta eccezione di Vittorio Feltri (che pure negli anni precedenti aveva condotto una campagna di odio contro il “beduino” Gheddafi), l’appoggio alla guerra umanitaria in Libia fu unanime. Per mettere a tacere le “sinistre” e i “pacifisti” di ogni sfumatura fu sufficiente allestire un “dibattito” su MicroMega (se c’è stato il “dibattito”, allora si può digerire tutto). La neonata creatura di Corradino Mineo, Rainews24, si distinse per zelo nella propaganda anti-Gheddafi. Per aver espresso un’opinione dissonante, il povero Oliviero Beha si trovò ad essere ostracizzato dagli schermi Rai per tutti gli anni che gli restavano da vivere. In quel contesto di disinformazione anti-Gheddafi, ogni accenno agli interessi dell’ENI evocava semmai un passato di osceni e colpevoli compromessi col tiranno.
Il problema è che sebbene l’ENI, con i suoi oltre settanta miliardi di fatturato, sia la prima azienda italiana, è comunque per dimensioni di tre volte inferiore alla multinazionale francese Total. Rispetto alla britannica BP, l’Eni è addirittura più piccolo di cinque volte. Ciò spiega la mancanza di “soft power” dell’ENI, dato che è il potere dei soldi ad affascinare i media ed a condizionarne i giudizi, senza neppure bisogno che arrivino ordini dall’alto. Il concetto di “legge del più forte” è di solito frainteso nel senso che il più forte si imponga di forza, mentre invece il fattore da considerare è il conformismo. Ogni posizione di forza comporta una rendita di posizione, che consiste nel riscuotere gli spontanei consensi di chi ritiene suo interesse o suo dovere morale adeguarsi al volere dei potenti di turno.

Si è detto giustamente che è sempre stato l’ENI a dettare la politica estera italiana sulle questioni energetiche e, in effetti, gli accordi con la Russia e con la Libia furono condotti sia dai governi di Prodi che dai governi del Buffone di Arcore. Il punto è che davanti ad una pressione internazionale, l’ENI non è assolutamente in grado di allineare la politica, le burocrazie, la magistratura, le forze armate e i servizi segreti ai propri interessi. Dove la prepotenza ed il bullismo dell’Eni possono invece esercitarsi senza ostacoli è all’interno, come nel caso della povera Basilicata, depredata del suo petrolio senza nemmeno potersi avvantaggiare delle briciole. C’è da dubitare perciò che la vera priorità degli ultimi governi italiani sia stata davvero quella di tutelare gli interessi dell’ENI e non sia sempre quella di barcamenarsi tra le pressioni divergenti dei vari “alleati”. Anche nel 2011 tra le giustificazioni della partecipazione diretta dell’Italia all’aggressione contro la Libia, una delle giustificazioni fu la necessità di sedersi al tavolo dei vincitori per salvare gli impianti ENI; ma è molto più probabile che il vero movente di Napolitano e del Buffone fosse di non contraddire la NATO e gli USA. Il barcamenarsi tra spinte coloniali diverse può dare a volte la falsa impressione di scelte autonome da parte dei governi italiani; ma comunque si tratta di ingerenze esterne.
Si parla molto della competizione tra ENI e Total per la Libia; si parla meno invece del ruolo della BP. Sta di fatto che la presenza di truppe speciali britanniche delle SAS era stata segnalata in Libia ai primi di marzo del 2011. La vicenda fu minimizzata dai media per la buffa circostanza che gli uomini delle SAS erano stati catturati da miliziani di Bengasi che li sospettavano di essere al servizio di Gheddafi; ma, al di là del piccolo incidente, questa presenza di truppe britanniche anticipava ciò che sarebbe avvenuto pochi giorni dopo, cioè l’avvio delle operazioni militari di Regno Unito e Francia contro Gheddafi.
A questo punto non ci si stupirà di scoprire che la BP è una delle multinazionali più addentro al business del petrolio di scisto negli USA. Dopo l’acquisizione dell’azienda petrolifera statunitense Amoco nel 1998, la BP è largamente presente nella produzione americana. Quest’anno la BP deve il suo incremento nei profitti proprio al petrolio di scisto.
Articolo (p)Link   Storico Archivio  Stampa Stampa
 
Di comidad (del 26/12/2019 @ 00:10:56, in Commentario 2019, linkato 10888 volte)
Stavolta anche il mainstream non ha potuto fare a meno di notare la coincidenza tra l’inchiesta giudiziaria nei confronti dell’ex ministro degli Interni Matteo Salvini per il caso della nave Gregoretti e l’imminenza delle elezioni in Emilia Romagna, probabilmente decisive per le sorti dell’attuale governo. Per un Salvini in lento ma costante calo dei consensi nei sondaggi, è una manna dal cielo la prospettiva di occupare per i prossimi due mesi i giornali ed i talk-show nella parte della vittima che si fa accusatore, accreditandosi nuovamente come difensore dei Sacri Confini nei confronti di una pubblica opinione che invece già sospettava di essere stata da lui presa per i fondelli.
Per i 5 Stelle la situazione si configura invece difficilmente sostenibile. Per il suo rigorismo giudiziario sfoggiato nella circostanza, Luigi di Maio è stato accusato di voler sfogare i propri rancori personali contro Salvini, ma è un dato di fatto che Di Maio si trova nella scomoda posizione di chi sbaglia qualunque cosa faccia. Se Di Maio avesse coperto Salvini, sarebbe stato accusato di aver a sua volta qualcosa da nascondere nella vicenda Gregoretti; se avesse invece messo in evidenza che l’eccessiva tempestività dell’azione della magistratura è uno sfacciato regalo elettorale a Salvini, si sarebbe trovato in contraddizione con quel feticismo giudiziario che rappresenta uno dei tratti distintivi della linea politica dei 5 Stelle. Ai loro esordi i 5 Stelle furono bollati come “antipolitica”, quando invece si trattava di analfabetismo politico. Non era necessaria neanche una lettura ma una sbirciatina agli scritti di Montesquieu per rendersi conto che il giudiziario è potere politico a tutti gli effetti. Dove la legislazione non osa arrivare, ci pensa la giurisprudenza; non a caso sono state le sentenze e non le leggi a riconoscere, negli USA, alle multinazionali diritti analoghi e persino superiori a quelli delle persone fisiche. Pensare che la magistratura sia immune dalle pressioni delle lobby, è quindi peggio che un’illusione: è pura stupidità.
Grazie alle “persecuzioni” giudiziarie Salvini può persino permettersi di continuare impunemente a condurre la messinscena della Lega camuffata come partito “nazionale”. Una sorta di fasullo “doppio” del partito costituito in mera funzione elettorale, che non tocca minimamente gli equilibri politici ed organizzativi della vecchia Lega Nord che, con il suo gruppo dirigente tradizionale, continua indisturbata a condurre la sua linea separatistica.
I finti nemici di Salvini persistono nel presentarlo come un “populista” (ma che vuol dire?) ed uno degli organi più addentro ai meccanismi della mistificazione, il quotidiano “il Foglio”, lo spaccia addirittura per un avversario del liberismo.
La tecnica retorica utilizzata per sostenere la mistificazione è quella di mantenere i concetti di populismo e liberismo nella più totale indeterminatezza. L’articolista del “Foglio” arriva a dire che per molti “liberismo” significa genericamente ciò che non gli piace, senza però precisare cosa sia effettivamente il liberismo o, come si preferisce dire oggi con l’aggiunta di un inutile prefisso, “neoliberismo”.

Ognuno può avere la sua personale definizione di populismo oppure può fare tranquillamente a meno del concetto; ma per il liberismo non è così. A differenza dell’indistinto contenitore del “populismo”, il liberismo è invece un concetto preciso e consiste nell’illimitata circolazione internazionale dei capitali, che possono entrare e uscire liberamente da un Paese, con la possibilità di delocalizzare qualsiasi produzione. Uno si aspetterebbe che i capitali rompessero gli argini e i confini dilagando ovunque grazie soltanto alla loro incontenibile potenza. Ci si accorge invece che i capitali esteri vengono invitati, vezzeggiati dai governi con agevolazioni fiscali, protetti con leggi ad hoc, rimpolpati con sussidi in denaro pubblico, in base al consueto repertorio dell’assistenzialismo per ricchi. L’edificio teorico e propagandistico del liberismo si risolve praticamente in assistenzialismo per multinazionali. Anche l’Italia ovviamente ha il suo ente assistenziale per multinazionali: l’agenzia governativa Invitalia.
Tutto questo apparato per poi accorgersi ogni volta che le multinazionali scappano col bottino lasciandosi dietro il deserto industriale. E allora quale forza politica sarebbe oggi pronta a sostenere che invece alla mobilità dei capitali occorrerebbe porre dei limiti?
Quale formazione politica o quale movimento di piazza o quale sindacato, oggi sarebbe disposto ad affermare che un afflusso di capitali esteri è per un Paese addirittura più insidioso e distruttivo di una fuga dei capitali interni?
Anche mettendo da parte i casi estremi e ridicoli dei sindacalisti innamorati delle multinazionali come Marco Bentivogli della FIM-CISL, la realtà è che nell’attuale sistema politico il liberismo non incontra nessun avversario e che la resa all’imperialismo delle multinazionali è totale. L’antiliberismo è solo una posizione di nicchia ed il liberismo si inventa falsi avversari in base al solito vittimismo dei potenti, che serve a giustificare con inesistenti resistenze i disastri provocati dalla mobilità dei capitali. Non c’è migliore alibi per il dominio che quello di spacciarsi come opposizione.
Articolo (p)Link   Storico Archivio  Stampa Stampa
 
Pagine: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 181 182 183 184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 206 207 208 209 210 211 212 213 214 215 216 217 218 219 220 221 222 223 224 225 226 227 228 229 230 231 232 233 234 235 236 237 238 239 240 241 242 243 244 245 246 247 248 249 250 251 252 253 254 255 256 257 258 259 260 261 262 263 264 265 266 267 268 269 270 271 272 273 274 275 276 277 278 279 280 281 282 283 284 285 286 287 288 289 290 291 292 293 294 295 296 297 298 299 300 301 302 303 304 305 306 307 308 309 310 311 312 313 314 315 316 317 318 319 320 321 322 323 324 325 326 327 328 329 330 331 332 333 334 335 336 337 338 339 340 341 342 343 344 345 346 347 348 349 350 351 352 353 354 355 356 357 358 359 360 361 362 363 364 365 366 367 368 369 370 371 372 373 374 375 376 377 378 379 380 381 382 383 384 385 386 387 388 389 390 391 392 393 394 395 396 397 398 399 400 401 402 403 404 405 406 407 408 409 410 411 412 413 414 415 416 417 418 419 420 421 422 423 424 425 426 427 428 429 430 431 432 433 434 435 436 437 438 439 440 441 442 443 444 445 446 447 448 449 450 451 452 453 454 455 456 457 458 459 460 461 462 463 464 465 466 467 468 469 470 471 472 473 474 475 476 477 478 479 480 481 482 483 484 485 486 487 488 489 490 491 492 493 494 495 496 497 498 499 500 501 502 503 504 505 506 507 508 509 510 511 512 513 514 515 516 517 518 519 520 521 522 523 524 525 526 527 528 529 530 531 532 533 534 535 536 537 538 539 540 541 542 543 544 545 546 547 548 549 550 551 552 553 554 555 556 557 558 559 560 561 562 563 564 565 566 567 568 569 570 571 572 573 574 575 576 577 578 579 580 581 582 583 584 585 586 587

Cerca per parola chiave
 

Titolo
Aforismi (5)
Bollettino (7)
Commentario 2005 (25)
Commentario 2006 (52)
Commentario 2007 (53)
Commentario 2008 (53)
Commentario 2009 (53)
Commentario 2010 (52)
Commentario 2011 (52)
Commentario 2012 (52)
Commentario 2013 (53)
Commentario 2014 (54)
Commentario 2015 (52)
Commentario 2016 (52)
Commentario 2017 (52)
Commentario 2018 (52)
Commentario 2019 (52)
Commentario 2020 (54)
Commentario 2021 (52)
Commentario 2022 (53)
Commentario 2023 (53)
Commentario 2024 (10)
Commenti Flash (61)
Documenti (30)
Emergenze Morali (1)
Falso Movimento (11)
Fenêtre Francophone (6)
Finestra anglofona (1)
In evidenza (32)
Links (1)
Manuale del piccolo colonialista (19)
Riceviamo e pubblichiamo (1)
Storia (9)
Testi di riferimento (9)



Titolo
Icone (13)


Titolo
FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


19/03/2024 @ 03:37:07
script eseguito in 96 ms