Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La gestione spregiudicata da parte del presidente turco Erdogan dell’ennesima
emergenza profughi siriana, ha provocato il consueto atteggiamento vittimistico di gran parte dei media europei. Si offre infatti l’immagine di un’Unione Europea spremuta dai ricatti di Erdogan che usa cinicamente i profughi come ostaggi.
Tutto vero ma molto parziale. La guerra in Siria compie nove anni e sia il conflitto, sia la sua persistenza, sono stati l’effetto di un’attiva e instancabile opera di destabilizzazione, in cui si sono distinti la Francia e il Regno Unito, che sino al 2016 faceva ancora parte dell’Unione Europea. Nel 2013 la propaganda europea contro Assad ha raggiunto toni parossistici e non ci si è limitati alla propaganda, poiché i cosiddetti “ribelli” siriani hanno ottenuto non solo diretti aiuti militari da Francia e Regno Unito ma anche riconoscimenti diplomatici.
Dal canto suo Erdogan può recriminare sul fatto che gran parte del peso della guerra in Siria, compresa l’assistenza ai profughi, è ricaduta sulla Turchia. Certo, l’oligarchia turca ha delle sfacciate mire espansionistiche a spese del territorio siriano. Si può anche sottolineare che queste mire sono storiche, non originate solo dal conflitto scoppiato in Siria nel 2011; ma è anche vero che Erdogan è stato letteralmente spinto, spintonato, ad intervenire in modo sempre più pesante in Siria. La destabilizzazione di un Paese che non ci aveva dato nessun fastidio, implica per l’Europa anche qualche costo di ritorno; ma tanto paga il contribuente e poi oggi c’è anche il “quantitative easing”, perciò i soldini per accontentare Erdogan, magari molti di meno di quelli che chiede, si possono trovare persino in un’Europa così avara.
L’aspetto più interessante della vicenda siriana riguarda però il ruolo della Russia, la quale rappresenta oggi l’unico soggetto che agisce nel senso della stabilizzazione dell’area medio orientale. Per tutta la guerra fredda, l’Europa ha parassitato l’Unione Sovietica. Mentre la trattava come una minaccia, la stessa Europa si avvantaggiava del ruolo di stabilizzazione svolto dall’impero sovietico. Oggi il copione si ripropone con la Russia di Putin, un Paese molto più povero della già povera URSS, che però si svena per impedire che tutta l’area medio orientale salti per aria.
Dopo il colpo di Stato del 1991 che ha liquidato l’URSS, sembrava che la Russia diventasse il paradiso incontrastato delle oligarchie affaristiche, originate in gran parte dal vecchio KGB. Putin, che pure proviene da quell’ambiente affaristico, si è trovato per forza di cose ad ereditare il ruolo storico della Russia, che ora è costretta a stabilizzare anche l'area medio orientale. C’è inoltre da constatare che il “Medio” Oriente è in realtà per l’Europa il Vicinissimo Oriente. È solo il prevalere del punto di vista anglosassone che porta a considerare quell’area come più lontana.
Secondo alcuni analisti la Russia c’entra poco o nulla con il cosiddetto Medio Oriente e ci si trova invischiata solo perché voleva utilizzare la carta siriana per ottenere qualcosa sull’Ucraina da parte degli Usa e dell’Europa. Sicuramente c’è anche questo, ma è un dato di fatto che il Medio Oriente è troppo vicino al Mar Nero, il mare che storicamente la Russia ha conteso con la Turchia imperiale. Se c’è qualcuno che non può permettersi un revival dell’imperialismo turco, questo è proprio la Russia.
Stranamente la Russia contribuisce a ridimensionare non solo le aspirazioni neo-imperiali della Turchia ma anche i propri attuali alleati come l’Iran. Sono stati gli USA ad “inventare” l’Iran come potenza regionale nel momento in cui hanno deciso di liquidare nel 2003 il suo contrappeso nell’area, cioè l’Iraq di Saddam Hussein a dominio sunnita. La tanto decantata e temuta “mezzaluna sciita” a guida iraniana è stata quindi un effetto dell’imperialismo americano. Nel ruolo di alleato subordinato della Russia, l’Iran è stato ricondotto ora alle sue dimensioni reali; mentre l’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani da parte degli USA non ha avuto alcun effetto sui rapporti di forze in campo.
La Russia non può consentirsi di ignorare la destabilizzazione a ridosso dei propri confini se non al prezzo di importarla. Gli USA invece possono avvantaggiarsi con disinvoltura della loro posizione di relativo isolamento geografico per comportarsi da scavezzacolli irresponsabili a livello planetario, tanto ci pensa la Russia a tenere un atteggiamento responsabile ed a riportare un equilibrio quando l’eccesso di caos rischierebbe di ritorcersi contro il destabilizzatore. Si tratta di un vero e proprio parassitismo occidentale nei confronti della Russia, che continua a sostenere il suo ruolo storico dell’unico Cireneo sul piano mondiale.
Persino la Cina ha potuto permettersi di esportare i propri problemi interni e di scaricarli sugli altri. Oggi la
presunta emergenza sanitaria cinese ha infettato un Occidente troppo drogato di emergenzialismo per poter distinguere il grano dal loglio. L’emergenza del Corona virus è stata infatti un ottimo espediente con cui il regime cinese è riuscito a sedare la rivolta di Hong Kong. Il virus ha calmato le acque prima che la vera infezione (quella della destabilizzazione interna) si allargasse al sud-est della Cina, cioè quell’area di lingua cantonese che riconosce in Hong Kong il proprio punto di riferimento. Oggi gli abitanti di Hong Kong, e del resto del sud-est della Cina, devono vivere tutti tappati in casa e il problema è stato risolto.
Solo la Russia non può permettersi di questi lussi.
I discorsi astratti sulla “sovranità” fanno perdere di vista il fatto che il potere si costituisce sulle emergenze e si riproduce per emergenze. Ciò senza bisogno di alcuna cospirazione ma per riflesso condizionato: allo stesso modo in cui i poveri cani di Pavlov salivavano al suono della campanella che annunciava il cibo, così al potere viene l’acquolina in bocca non appena intravede la possibilità di cavalcare un’emergenza.
L’emergenza Corona Virus ha rappresentato per le Regioni separatiste del Nord una ghiotta occasione, da cogliere al volo, per mettere in atto una sorta di colpo di Stato, scavalcando il governo e mettendolo di fronte al fatto compiuto. Alla fine di gennaio, prima che il Governo avesse assunto una linea riguardo alla questione del virus, la Regione Lombardia aveva già allestito
una “task force” per fronteggiare un ‘emergenza che non c’era, di cui anzi si negava l’esistenza.
Lo stile comunicativo della Regione Lombardia ha continuato a rivendicare questa “primazia”, tanto che nei
comunicati ufficiali la dizione è diventata “La Regione Lombardia e il Governo”. L’istituzione governativa è stata posposta a quella regionale, rovesciando le gerarchie istituzionali.
Che non si trattasse di mero stile comunicativo, è diventato chiaro quando il Governo, stanco di essere scavalcato e di trovarsi sempre messo di fronte al fatto compiuto, ha minacciato le Regioni di varare un provvedimento per irreggimentarle ad
un unico protocollo. Il Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha colto ancora una volta al volo l’occasione per rivendicare la propria autonomia d’azione, definendo “irricevibile” l’ammonimento del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
L’insolenza di Fontana non è velleitaria, poiché può approfittare del fatto che sulla questione dell’autonomia differenziata per le Regioni del Nord, il Governo ha la coda di paglia, ha il polpo nella manica, insomma ha la coscienza sporca. È stato infatti proprio il Governo Conte bis a concedere alla Lega tutto il concedibile in termini di autonomia differenziata, anche perché si trovava incalzato dagli autonomisti dello stesso PD, come il Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini. Per tacitare le Regioni del Sud, da sempre psicologicamente prone, al ministro piddino Francesco Boccia è bastato cavarsela con
qualche vaga promessa di garanzie.
Nella giornata di ieri il Governo, messo ormai con le spalle al muro, ha dovuto decidersi ad avallare pienamente l’emergenza virus ed a farsene carico in prima persona, decidendo di sospendere le lezioni scolastiche in tutta Italia, in modo da evitare che provvedimenti del genere venissero presi autonomamente dalle Regioni. Per mostrare di contare ancora qualcosa, il Governo ha dovuto far propria la linea della Regione Lombardia, cioè del nucleo puro e duro del gruppo dirigente della Lega.
Nei decenni i media hanno costruito attorno alla Lega una sorta di mitologia leninista, come se si trattasse di una specie di partito bolscevico dei ceti medi del Nord. In realtà l’organizzazione è troppo spesso il paravento, l’apparato illusionistico, di qualcosa di più cogente e invadente: il denaro. Ciò che appare all’esterno come disciplina di partito è in effetti un flusso di finanziamento che si rivolge sempre ai soggetti da preservare come capi. Il modo in cui a suo tempo Umberto Bossi liquidò il gruppo dirigente di quello che appariva il gruppo più forte e strutturato della aggregazione leghista, la Liga Veneta, può rappresentare un esempio paradigmatico. L’autonomismo veneto e l’autonomismo lombardo non sono complementari ma concorrenziali. Se il conflitto latente non è esploso, è perché i finanziatori hanno fatto sinora scelte univoche.
La sicumera del gruppo dirigente della Lega (il gruppo dirigente vero, non Matteo Salvini) ha quindi il suo fondamento nella certezza di storici e
saldi agganci internazionali. Si tratta di rapporti con l’autonomismo bavarese ma anche con le destre autonomiste austriache, come quella della Carinzia.
Il dato curioso è che le notizie a riguardo sono soprattutto di diretta fonte leghista, dato che i media continuano a perpetuare la finzione salviniana della Lega partito “nazionale”. Un esempio per tutti, la celebrazione leghista dello scomparso leader austriaco Joerg Haider, ovviamente
grande “amico della Padania”.
Sia Haider che la Lega hanno però avuto a disposizione un benefattore comune, l’Intereg di Monaco di Baviera. È da questo “centro studi” internazionale sulle autonomie regionali che partono i finanziamenti per le formazioni politiche autonomiste di tutta Europa. Stranamente, pur da posizioni radicalmente (o apparentemente?) opposte a quelle della Open Society Foundation di George Soros,
l’Intereg di Monaco di Baviera rappresenta un modello del tutto analogo di manipolazione e destabilizzazione interna ai vari Stati.
Ringraziamo “Cassandre” per la collaborazione e le segnalazioni.