Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Per dirla alla Marlon Brando/Kurtz, ci sono in giro dei fantasmi che hanno mandato il loro garzone a riscuotere i sospesi. Ci volevano una sfrenata fantasia ed una totale mancanza di lucidità per concedere credito ad un cialtrone come Trump. Purtroppo anche un altro mito complementare che sembrava più verosimile, quello di Putin accreditato come grande “statista”, si sta sgretolando sotto i colpi dell’evidenza.
In un recente articolo Giuseppe Gagliano si è soffermato sulle palesi analogie tra gli attacchi terroristici con droni da parte dell’Ucraina (o attribuiti all’Ucraina) in Russia, e di Israele (e forse non solo Israele) in Iran.
La definizione di terrorismo non ha una valenza morale ma tecnica; poiché, in entrambi i casi, dei mezzi di trasporto civile sono stati utilizzati come mascheramento per compiere attacchi nei confronti del nemico. Queste operazioni “sporche” sono sempre avvenute, ma chi le compiva, in caso di cattura, non poteva avvantaggiarsi dello status e dei diritti del prigioniero di guerra riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra; questo però è l’aspetto meno interessante della questione. Nel suo recente articolo Gagliano non fa riferimento ad un altro suo articolo dell’ottobre del 2023 sulla sempre più stretta e articolata collaborazione militare tra Israele e Azerbaigian. Tra l’altro, tale collaborazione non prevede solo
la fornitura di armamenti da parte di Israele, ma anche la licenza di fabbricazione di droni. Se si considera che
l’Azerbaigian ha centinaia di chilometri di confine con la Russia e con l’Iran, e che consistenti minoranze azere sono presenti in Russia e in Iran, non si può evitare di fare due più due. A chi crede ancora alle fiabe sulle teocrazie, sulle mezzalune sciite e, in genere, sull’importanza politica della religione, va ricordato che l’Azerbaigian è di confessione islamica sciita esattamente come l’Iran, eppure ciò non ha impedito all’Azerbaigian di diventare il maggiore alleato asiatico della potenza più ostile all’Iran, cioè Israele.
L’alleanza militare tra Israele ed Azerbaigian ha avuto la sua massima manifestazione nel conflitto contro l’Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh, che ha comportato una pulizia etnica nei confronti di circa centomila armeni. Manco a dirlo, la Russia, che per decenni aveva fatto da garante dell’equilibrio tra armeni e azeri, nel 2023 non ha mosso un dito per impedire che l’Azerbaigian facesse l’asso pigliatutto. Si è detto all’epoca che per Putin la priorità fosse l’Ucraina,
come se ucraini e azeri non potessero cooperare contro la Russia sotto la regia del Mossad. Ancora più imprevidente la scelta di Putin e soci, se si tiene conto del fatto che nel 2023 l’Azerbaigian ha avviato
una “partnership” militare anche col Regno Unito; quindi non solo Mossad ma anche MI6 al confine sud della Russia.
Quale paese poteva svolgere la funzione di sensale tra Israele ed un paese turcofono come l’Azerbaigian? La Turchia, ovviamente; la stessa Turchia ha aiutato l’Azerbaigian a
liquidare gli armeni del Nagorno Karabakh, con l’avallo di Putin e soci, che non volevano guastare i rapporti con Ankara.
Visto che l’imperialismo turco aveva già ottenuto una notevole gratificazione nel Caucaso a spese dell’Armenia, Putin e soci nel dicembre dello scorso anno hanno pensato bene di concedergliene un’altra in Siria sacrificando lo storico alleato Assad. Le milizie di obbedienza turca che oggi controllano la Siria tengono nell’angolo Hezbollah, che non può più contrastare l’espansionismo israeliano in Libano. A questo punto era spalancata la via per l’aggressione sionista all’Iran, in modo da trasformarlo in una Libia 3.0 da novanta milioni di abitanti, un ulteriore “spazio vitale” per l’imperialismo turco-azero, ma anche per qualche piattaforma di missili NATO contro la Russia. L’Iran ha grandi riserve di gas e petrolio da sottrarre alla Cina, ma può essere una testa di ponte per “libianizzare” anche la Russia. Sta di fatto che Israele sta compiendo la sua aggressione contro l’Iran con l’assistenza degli USA, che forniscono rilevamenti satellitari e aerei cisterna ai jet israeliani. Probabilmente non ci vorrà molto per un ingresso esplicito e diretto di USA, UK e Francia, e forse Germania, nel conflitto contro l’Iran; non si può escludere che persino l’Italietta si imbarchi nella nobile impresa mandando un po’ di flottuccia e qualche aereuccio.
Ufficialmente Erdogan condanna l’aggressione israeliana all’Iran, ma sono le sue solite chiacchiere da quadruplogiochista. Putin ha detto di essere disposto a ”mediare”: una frase senza senso in questo contesto nel quale un tavolo negoziale è stato usato come inganno per attuare un attacco proditorio contro l’Iran; tra l’altro la stessa Russia aveva contribuito a spingere Teheran ad accettare la trattativa sul nucleare. Ciò che ha detto Putin, tradotto, significa quindi che si sta preparando a mollare anche l’alleato iraniano, per cui Teheran entrerà di pieno diritto nell’albo d’oro dei bidonati da Putin, dopo essere stati bidonati da Witkoff. La domanda conseguente dovrebbe essere quanto tempo ci metteranno a Mosca per capire che, a furia di fregare gli alleati, si stanno fregando da soli.
La miliardariolatria, ovvero il culto messianico nei confronti dei ricconi, ha come ovvio risvolto la miliardariomachia, cioè l’epica lotta tra miliardari. Giorni fa
sono volati stracci tra gli ex sodali Trump e Musk, un tempo alleati contro l’altro miliardario Soros. Ma, tra uno straccio e l’altro, è balenato anche un piccolo lampo di verità, quando Trump ha rinfacciato a Musk la sua dipendenza dai contratti con le agenzie governative. Trump ha omesso di ricordare che Musk, e gli altri boss “privati”, vivono non solo di appalti pubblici ma anche di sussidi pubblici, ma vabbè. Qualche mese fa Michele Serra favoleggiava su un Musk così potente da potersi ormai permettere di “sostituire la democrazia con l’efficienza”; come a dire: sostituire la chimera con l’ircocervo. Ma per smontare le allucinazioni sulla presunta esistenza di una tecnocrazia, è sufficiente quel piccolo dettaglio della totale dipendenza delle corporation multinazionali dal denaro pubblico; o, per meglio dire, dal denaro dell’unico vero contribuente, quello povero che non può rivalersi su nessuno. La tecnocrazia è un mito auto-celebrativo delle oligarchie, mentre la cleptocrazia è la loro prosaica realtà.
Il genocidio a Gaza ha resuscitato uno dei mantra del politicamente corretto, cioè i “due popoli, due Stati”, provocando il disappunto dei sionisti nostrani, che hanno lanciato la rituale accusa di favorire Hamas. Insomma, le solite chiacchiere e i consueti sbrodolamenti su antisemitismo e antisionismo; eppure, proprio in questi giorni, grazie ad un giornale belga era circolata una notizia concreta, cioè che l’entità coloniale sionista è una bolla gonfiata non solo dal denaro pubblico degli USA, ma anche da quello dell’Unione Europea. Israele, come entità indipendente, non esiste. Un dettaglio spassoso: se si digitano su Google le parole “Israele fondi UE”, Ai Overview avvisa di non essere disponibile per questa ricerca; quindi anche l’intelligenza artificiale ha i suoi tabù, dichiarando da sola di essere imbecillità artificiale. L’imbecillità non consiste in deficit di intelligenza ma nell’impegnarla su domande sbagliate, magari facendosi distrarre dal bubbone sionista perdendo di vista la pestilenza che ne è la causa. Bisognerebbe chiedersi
quanto durerebbe Israele senza le armi e i soldi occidentali, ed anche senza la Turchia che oggi toglie le castagne dal fuoco a Netanyahu in Siria e in Libano. Così magari ci si chiederebbe pure perché Putin accetta di condurre negoziati ad Instanbul, continuando a fingere che la Turchia sia un paese neutrale e non il collaboratore del MI6 in Siria.
Oggi la politica è fintocrazia, il luogo della logomachia e dell’intrattenimento da talk show, mentre il sistema funziona come un dispositivo automatico alimentato dal movimento inerziale del denaro pubblico. Due anni fa circolava
una strana notizia, cioè che numerose agenzie di lobbying si erano messe a disposizione dell’Ucraina del tutto gratis, “pro bono”. Il motivo è ovvio, dato che sposare la causa ucraina vuol dire, in termini concreti, che una massa di denaro pubblico va nella direzione degli appalti alle multinazionali delle armi, le quali, a loro volta, ripagano i politici che hanno votato a favore della spesa e i lobbisti che gli hanno scritto le leggi. Non c’è decisione politica, è il denaro a trascinare la cordata.
Il lobbying non è uno strumento neutro, deve per forza sposare la causa della guerra, perché la pace ha il brutto difetto di non aver bisogno di appalti pubblici. Neanche i media sono uno strumento neutro; episodicamente i media possono anche dare qualche notizia vera, ma la loro funzione essenziale è quella di negare l’evidenza, di camuffare la realtà. Basti pensare a quanto tempo ci ha messo a farsi strada una parola lucidamente descrittiva come “deindustrializzazione”. In Italia il processo di deindustrializzazione è cominciato alla metà degli anni ’70 ed ha accelerato negli anni ’80. Per i media non è stato difficile dissimulare la deindustrializzazione del Meridione negli anni ’70-80, poiché era sufficiente far leva sui pregiudizi: il Sud non veniva deindustrializzato perché le industrie non c’erano mai state. Per il Nord, e per Milano in particolare, la narrazione doveva essere più suggestiva, perciò la deindustrializzazione è stata avvolta dal fumo mitologico della “Milano da bere”, ovvero la città non solo della Borsa e della moda (cosa che Milano era sempre stata), ma soprattutto
città vetrina idrovora del denaro pubblico, fino ai picchi di spesa dell’Expo del 2015.
Da quell’anno, e da quel fiasco, il mito milanese ha iniziato un declino, sancito definitivamente dalla debacle sanitaria del Covid, che nei sogni della Giunta Fontana avrebbe dovuto rappresentare un Expo di capacità sanitarie, risolvendosi invece in un disastro. L’emergenza Covid è stata così scippata alla Regione Lombardia e gestita dal governo, in particolare dal ministro Speranza che ha potuto girare la manopola del rubinetto della spesa. Ma si potrebbe anche dire che sia stato il lobbying farmaceutico e informatico a girare Speranza.
Questo è il punto: con la deindustrializzazione l’appalto pubblico diventa il motore di tutto. Quel po’ di industria che rimane si concentra sulle armi e sui sieri a manipolazione genetica, in quanto ultime roccaforti dell’alta tecnologia e dell’alto valore aggiunto; ma il principale cliente è sempre il governo, che infatti oscilla tra emergenze sanitarie ed emergenze belliche, cioè spendere in presunti “vaccini”, oppure in armi da scegliere tra le più costose.
Lo sviluppo industriale invece forniva non solo una solida base produttiva, ma anche una vasta base di consumatori, una domanda in costante aumento per effetto della crescita industriale stessa, che comportava sempre nuovi addetti e quindi nuovi salariati. Non solo l’oligarchia, ma anche l’establishment nel suo complesso, hanno accolto con compiacimento la scomparsa del contrappeso rappresentato dalle grandi concentrazioni di operai industriali. La scomparsa delle concentrazioni operaie e del conseguente dinamismo sociale, venne salutata dai media come “fine delle ideologie”, ovvero come adesione obbligatoria all’unica ideologia consentita, il calabrachesimo. Persino il ceto politico ha favorito la deindustrializzazione, senza rendersi conto che in tal modo stava rendendo superfluo il suo ruolo di mediazione sociale, un ruolo che comportava anche la possibilità di gestire l’economia. Non che i politici di un tempo fossero complessivamente meno parassiti e carrieristi di quelli attuali; ma, senza più un solido contraltare sociale, la politica diventa orpello ed i politici burattini del lobbying, quindi agevolmente sostituibili in blocco. Se si ascoltano
le ultime interviste rilasciate da Bettino Craxi, ci si rende conto di quanto il personaggio sia rimasto fino alla fine legato a beghe di bottega contro comunisti e magistrati, perciò del tutto inconsapevole di aver contribuito, assecondando la deindustrializzazione, a tagliare il ramo su cui il ceto politico era appollaiato. Tra l’altro fu proprio Craxi a diventare il maggiore propagandista dello slogan della “governabilità”. Lo slogan era stato lanciato nel 1975 dalla Commissione Trilaterale in un documento che, dietro
una vuota retorica tecnocratica, prefigurava una società ultra-gerarchica e stagnante, senza redistribuzione del reddito; una società nella quale la deflazione rende tutti (a cominciare dai governi) degli ostaggi della lobby dei creditori.