Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Lo scorso mese di maggio la Corte di Cassazione ha ritenuto immotivate le imputazioni di terrorismo per i NO-TAV arrestati nel dicembre 2013. Circa un mese dopo sono state depositate le motivazioni della sentenza, dalle quali si evince che i fatti contestati agli imputati non sono tali da costituire una minaccia che possa configurarsi come terrorismo. La sentenza ha indotto alcuni commentatori ad ipotizzare che si sia ormai stabilito un
"corto circuito" tra la Procura di Torino e la Corte di Roma.
Un'ipotesi del genere potrebbe essere accettata solo in base ad una concezione del tutto astratta dell'apparato giudiziario. Di fatto, in base ad accuse assurde e palesemente sproporzionate, alcuni imputati hanno affrontato mesi di carcere, perciò il riconoscimento dell'inconsistenza delle accuse da parte della Cassazione, non attenua la valenza intimidatoria delle scelte della Procura di Torino. La sentenza della Corte non fa altro che coltivare l'illusione di un sistema di garanzie, e, dal punto di vista propagandistico, può servire a legittimare altri garantismi, a beneficio di imputati ben più potenti. Dopo che la Corte di Appello di Torino ha modificato la sentenza di primo grado per la strage alla Thyssenkrupp, ora anche
la Cassazione ha inferto un altro colpo all'ipotesi di omicidio volontario per dolo eventuale, ponendo le basi per ulteriori sconti di pena per i dirigenti imputati.
Non c'è dubbio che molti tra i NO-TAV sperassero che la Procura di Torino si attivasse per indagare invece sugli appalti per il tunnel Val di Susa o per le minacce ambientali che quella "grande opera" prospetta. Oggi siamo quindi al paradosso di un movimento ambientalista fatto bersaglio dalla procura di Torino, per la questione TAV, ma che, al tempo stesso, riconosce ad un'altra Procura, quella di Taranto, un ruolo di leadership nella battaglia ambientalista.
I gradi di giudizio costituiscono una scappatoia per gli imputati potenti, mentre risultano comunque un calvario per gli imputati deboli, poiché consentono alle Procure di criminalizzare i movimenti di opposizione con accuse iperboliche, che vengono ridimensionate solo a mesi o anni di distanza. L'uguaglianza davanti alla Legge rimane così un mito, dato che la legge finge un'uguaglianza tra imputati che non sono affatto uguali per risorse a disposizione. Questa ovvietà è stata oscurata grazie al mito della "via giudiziaria al socialismo", alimentato per anni dalla propaganda vittimistica della destra; e non solo per giustificare le disavventure giudiziarie del Buffone di Arcore, dato che il mito risale almeno agli anni '60, quando cominciò a circolare l'espressione "toghe rosse", cara soprattutto ad un settimanale di estrema destra allora particolarmente diffuso, "Il Borghese". La locuzione
"via giudiziaria al socialismo", oggi indissolubilmente legata alle performance del Buffone, fu in effetti ripescata da Rocco Buttiglione nel 1995 (si vede che è un filosofo).
Su un piano astratto l'idea di una "via giudiziaria al socialismo" potrebbe risultare persino suggestiva, dato che il capitalismo è inconcepibile senza illegalità, senza frode fiscale e senza frode finanziaria. Se, ad esempio, non ci fosse l'aggiotaggio (la diffusione di false informazioni atte ad ingannare gli investitori), la Borsa non servirebbe che a distribuire pochi spiccioli. E infatti esistono istituzioni, come le agenzie di rating, che svolgono la precipua funzione di disinformare quel tanto che basta da consentire ad alcuni di conseguire illeciti guadagni. Alcune agenzie di rating sono state effettivamente imputate per aggiotaggio dalla
Procura di Trani, ma quante possibilità realisticamente vi sono che queste imputazioni vadano avanti?
Il processo per la frode dei titoli derivati ai danni del Comune di Milano, si è concluso in Appello con l'assoluzione delle multinazionali bancarie coinvolte, ed era ovvio che fosse così, poiché un'eventuale condanna avrebbe avuto il senso di una condanna dell'istituzione bancaria in quanto tale. Quest'ultima assoluzione ha un precedente illustre nel
processo Parmalat, quando Calisto Tanzi fu ritenuto l'unico colpevole dell'aggiotaggio e le multinazionali come Deutsche Bank la passarono liscia. Allo stato attuale, la "via giudiziaria al socialismo" rimane uno slogan del vittimismo padronale, mentre risulta molto più realistica la via giudiziaria al capitalismo, almeno quello multinazionale.
In questi ultimi decenni, la cosiddetta "sinistra" ha adottato il mito della Legalità, sviluppando una sudditanza psicologica ed ideologica nei confronti della magistratura. Il risultato è che, mentre ogni processo è diventato per il Buffone di Arcore un nuovo raggio della sua aureola di martire, le disavventure giudiziarie della sinistra hanno innescato un fenomeno di crescente delegittimazione morale. Nel marzo scorso il governatore della Regione Puglia,
Nichi Vendola, è stato fatto oggetto di una richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Taranto.
Vendola si è trovato immediatamente in contraddizione, poiché non aveva senso proclamare la propria innocenza stando in atteggiamento prono verso la Procura, senza cioè porre in evidenza la pretestuosità di alcuni suoi atti nell'inchiesta Ilva. Infatti, sulle omissioni di Vendola sulla vicenda Ilva si potrebbe scrivere un'enciclopedia, ma l'ipotesi a suo carico di concussione aggravata appare una forzatura atta a fare da contraltare mediatico ad altre concussioni più note, da cui, peraltro, il Buffone è uscito indenne in Appello. Molti commentatori, fra cui Marco Travaglio, hanno cercato di scaricare la responsabilità dell'assoluzione del Buffone interamente sulla Legge Severino; ma in questi anni non è stata solo la legge, ma anche la giurisprudenza a consolidare l'impunità dei potenti.
Il vittimismo del Buffone appare in effetti statisticamente infondato, dato che sono certamente di più i magistrati che gli sono venuti in soccorso che quelli che lo hanno perseguitato. Persino la caduta del governo Prodi ed il conseguente ritorno al governo del Buffone nel 2008, furono favoriti da un'operazione giudiziaria contro un ministro dello stesso governo Prodi.
Ma questo vittimismo appare inconsistente soprattutto sul piano della dottrina dello Stato, poiché non ha senso lamentarsi di una "politicizzazione" della magistratura, dato che il potere giudiziario è potere politico a tutti gli effetti, il Terzo Potere. Nella dottrina liberale classica infatti la legalità non sortiva da una "educazione alla legalità" (come a dire: un'infusione dello Spirito Santo), ma da equilibri e contrappesi istituzionali. Un certo grado di conflitto tra i poteri risulterebbe perciò del tutto fisiologico e persino auspicabile. Non ha senso quindi nemmeno l'atteggiamento della fintosinistra, secondo la quale le sentenze non si possono commentare ed occorrerebbe attendere fiduciosi il lavoro della magistratura. Circondare la magistratura di un alone di sacralità è altrettanto pretestuoso che fingere di auspicare una fantomatica magistratura apolitica e del tutto imparziale.
La drammatizzazione artificiosa della conflittualità tra i poteri istituzionali rappresenta un modo di rivolgere il conflitto tutto all'interno, delegittimando le istituzioni vigenti in nome di uno pseudo-riformismo costituzionale, cercando di far dimenticare così all'opinione pubblica che lo Stato, per la sua stessa conformazione, sarebbe soprattutto un organo funzionale alla competizione con altri Stati; una competizione che è invece esclusa dal fatto che sono le organizzazioni sovranazionali, come la NATO e il FMI, a dettare l'agenda politica ed istituzionale. E allora che fine fanno equilibri e contrappesi istituzionali, quando tutto il potere è concentrato in poche agenzie internazionali e nelle lobby che le controllano?
In questo senso anche la "lotta alla corruzione" svolge un ruolo ideologico funzionale allo stato di sudditanza coloniale. Secondo la precettistica delle organizzazioni internazionali come l'OCSE, sarebbe infatti sempre
la "corruzione" il grande freno allo sviluppo ed alla prosperità dei popoli.
Persino in una situazione come quella della Nigeria, in cui il territorio è praticamente sequestrato dalle multinazionali, queste riescono ugualmente ad attribuire la colpa della miseria alla corruzione della classe dirigente locale. La questione coloniale così viene camuffata da questione morale, mettendo in ombra il fatto che è proprio il colonialismo a selezionare per i ruoli dirigenziali il personale più corrotto e corruttibile, poiché è quello che non si pone nessun problema di solidarietà con la propria gente e con il proprio territorio. In tal modo la mistificazione arriva al punto che il colonizzatore riesce a spacciarsi addirittura da civilizzatore ed educatore del popolo inferiore; così la
"corruzione in Nigeria" è diventata talmente proverbiale da meritarsi persino una voce di Wikipedia.
Operazioni analoghe di autocolonialismo e di autorazzismo sono avvenute anche in Italia, verso la metà degli anni '70, e furono condotte dall'allora segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer. Non a caso questa metamorfosi ideologica coincise con l'accettazione della NATO da parte del PCI. L'occasione per Berlinguer di piazzare la "legalità" come succedaneo del socialismo, fu fornita dallo scandalo Lockheed del 1976, cioè da una vicenda di tangenti ministeriali legate alla fornitura di aerei militari. In
un discorso parlamentare del marzo 1977, l'allora presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, rilevò in parte il paradosso della situazione: dagli Stati Uniti era partita l'operazione di corruzione, e dagli stessi Stati Uniti partiva anche l'operazione di "moralizzazione" che investiva le classi dirigenti dei Paesi "alleati". Moro non seppe, non volle e non poté andare oltre questa banale osservazione di semplice realismo, la quale, (paradosso nel paradosso) suscitò boati di disapprovazione nei banchi parlamentari della sinistra. La sensibilità antimperialista era ormai seppellita.
Gli slogan berlingueriani della "questione morale" e del "governo degli onesti", furono ovviamente una manna per il vittimismo delle destre, poiché quegli slogan sembravano dare corpo ai fantasmi delle "toghe rosse" e dei complotti di Magistratura Democratica. In questo senso Berlinguer fornì dei notevoli alibi ideologici sia al craxismo (ed alla sua trasformazione del Partito Socialista in partito di estrema destra), sia al successivo berlusconismo. Negli anni '80 toccò ad un altro "filosofo" (un ex "marxista"), il professor Lucio Colletti, l'onore di sintetizzare la diatriba ideologica nello slogan "meglio ladri che liberticidi", che era facilmente traducibile in un
"meglio ladri che rossi", o in un "meglio ladri che comunisti".
Il suicidio ideologico di Berlinguer consegnava di fatto lo scettro della direzione sociale nelle mani della magistratura, dal partito comunista al mitico "partito delle toghe". Tutto ciò con effetti anche abbastanza curiosi, dato che le Procure negli anni '80 non si fecero scrupolo di colpire anche alcune icone della "buona amministrazione" comunista, come il sindaco di Torino Diego Novelli. Per la destra costituiva l'equazione perfetta: se la sinistra veniva coinvolta nelle inchieste giudiziarie, ciò dimostrava che anche i rossi erano ladri; se invece le inchieste giudiziarie risparmiavano la sinistra, ciò forniva la prova che la magistratura era sua complice.
Nel 1992 sembrò davvero che il "partito delle toghe" avesse preso il potere, con l'inchiesta passata alla storia come "Tangentopoli" o "Mani Pulite", che le destre hanno presentato come un colpo di Stato. Nel 1992 in realtà era accaduto qualcosa di più grave e di più serio, cioè la firma e la ratifica del Trattato di Maastricht, in forza del quale l'Europa e l'Italia sono diventate formalmente colonie del Fondo Monetario Internazionale. Il colpo di Stato probabilmente vi fu, ma la Procura di Milano ne fu solo uno strumento. La dottrina liberale classica partiva da una premessa corretta, e cioè che ogni potere tende a diventare abuso di potere, ma la soluzione della separazione dei poteri non ha funzionato. In particolare non è mai esistito un "terzo potere", ed il ramo giudiziario si è rivelato sempre lo strumento, più o meno consapevole, di questa o di quella lobby affaristica.
L'Italia delle mille inchieste giudiziarie in questi decenni è stata in effetti un laboratorio di impunità, poiché si è dimostrato come era possibile sottrarre le multinazionali all'evidenza delle loro responsabilità. I dirigenti della Thyssenkrupp erano stati inchiodati non da fumose perizie tecniche, bensì dalle loro stesse e-mail; eppure, sentenza dopo sentenza, sono stati "schiodati" senza eccessivi problemi.
I tempi cambiano ed anche l'impunità si evolve. Dal 2012 i grandi finanzieri non hanno nemmeno più bisogno di aspettare la sentenza di appello per cavarsela, visto che il Trattato istitutivo del
Meccanismo Europeo di Stabilità, all'articolo 32, stabilisce l'assoluta immunità giudiziaria di tutti i suoi dirigenti, di tutti i suoi archivi e di tutti i suoi beni.
Forse l'ex capo della Procura di Torino, Giancarlo Caselli, aveva in fondo visto giusto. Se la magistratura ha un qualche futuro è solo nella lotta al "terrorismo", vero o inventato che sia. Ed occorre far presto, prima che una soluzione alla Guantanamo non estrometta i magistrati anche da quel giro.
La scorsa settimana
una giornalista inglese, Sarah Firth, ha lasciato l'emittente Russia-Today in quanto, a suo dire, indignata dalle "menzogne" della stessa emittente sul caso del jet di nazionalità malaysiana abbattuto in Ucraina. Sembra un tipico esempio di quel senso dell'asimmetria che caratterizza l'atteggiamento occidentale. Non si capisce infatti perché il mentire debba essere un appannaggio esclusivo dei media occidentali.
Nel 1988, nel corso della guerra Iran-Iraq, la Marina statunitense abbatté
un airbus iraniano e, nella circostanza, la propaganda occidentale attuò le medesime tecniche ritorsive. A quel tempo gli USA erano i principali alleati dell'Iraq di Saddam Hussein, e risposero in pratica alle proteste iraniane con un "ve la siete voluta, non si fa volare un aereo civile in mezzo a manovre militari". I media occidentali non manifestarono alcuna indignazione per le vittime, ed insinuarono che fossero stati gli stessi Iraniani a volere l'incidente per cercare di screditare il nemico.
Che l'abbattimento dell'airbus fosse invece stato un segnale di guerra totale da parte degli USA, fu dimostrato dal fatto che di lì a poco l'Iran fu costretto ad un armistizio con l'Iraq, nonostante che lo stesso Iran stesse vincendo quella guerra. Delle scuse formali ed un parziale risarcimento da parte degli USA alle famiglie delle vittime dell'airbus, arrivò solo sette anni dopo; ma il contesto era radicalmente cambiato: Saddam Hussein era diventato il super-nemico e bisognava ottenere almeno l'acquiescenza dell'Iran.
La menzogna è un'arma di guerra, ed i media sono stati creati per questo. Che la Firth preferisca mentire a pro della Gran Bretagna, piuttosto che della Russia, è del tutto comprensibile, ma, in fatto di menzogne, è proprio la Russia che ha tutto ancora da imparare. In questi giorni il presidente Obama ed il suo segretario di Stato Kerry hanno dimostrato che si può fare molto meglio, semplicemente adottando la tattica del basso profilo.
Nella sua
apparizione televisiva dopo l'abbattimento del jet malaysiano, Obama si è abilmente servito della sua dichiarata mancanza di prove contro i ribelli filo-russi per riuscire ad accusarli ugualmente. In tono dimesso, dicendo che non voleva fare propaganda e che aspettava l'inchiesta sul campo, ha detto anche che gli unici possibili colpevoli sono i filo-russi ed, ovviamente, quel malvagio di Putin che li arma. L'impressione dello spettatore è stata di un Obama debole ed esitante, ma l'accusa contro Putin non avrebbe potuto essere mossa in modo mediaticamente più efficace.
Il segretario di Stato Kerry però non è da meno. Attorno a questo personaggio la propaganda di destra scatenò nel 2004 una campagna mediatica tendente a presentarlo come un pacifista ed un filo-islamico. Quando Kerry fu sconfitto da Bush nelle elezioni presidenziali del 2004, le destre celebrarono l'evento come se si fosse trattato di una vittoria contro il comunismo. Destra e "sinistra" non possono essere definite banalmente "uguali", ma insieme costituiscono un bel gioco delle parti. Ad una destra perennemente sbracata, corrisponde una "sinistra" che ostenta un'ipocrita compostezza. Così, al sionismo sguaiato di un Giuliano Ferrara, si "contrappone" il sionismo dolente e problematico (un contor-sionismo) di un Furio Colombo; ma sempre di sionismo si tratta.
Il gioco delle parti che in ambito politico viene spacciato come confronto tra destra e sinistra, è peraltro riscontrabile anche in molti altri contesti sociali ed organizzativi, anche all'interno delle stesse formazioni politiche, ovunque vi siano interessi e relazioni inconfessabili da coprire. All'atteggiamento pretestuosamente insolente e provocatorio di alcuni, fa da sponda l'atteggiamento da "maestri di cerimonie" di altri, ed in tal modo la comunicazione viene intasata, bloccando ogni tentativo di ritornare alle vere questioni in campo.
Le ipocrite "buone maniere" di Kerry celano di fatto un'arroganza degna di un neocon. Sul caso di Gaza, Kerry ha messo sù una vera e propria messinscena mediatica per defilarsi dalle responsabilità per la strage in atto:
un finto "fuori onda" in cui metteva in ridicolo le pretese "chirurgiche" dell'attacco israeliano. Ma nella stessa performance televisiva, Kerry non ha esitato ad avallare il ridicolo vittimismo di Netanyahu, che sarebbe stato "costretto" ad interrompere una comunicazione telefonica con lui per correre al "rifugio antiaereo" (sic!).
Nella vicenda di Gaza gli USA si mostrano al solito come l'alleato fedele e succubo di Israele, ma ormai i dati di fatto dovrebbero smentire queste mistificazioni.
Nel 2008 l'operazione "Piombo Fuso", giustificata con il pretesto della "minaccia" dei soliti razzi Qassam, vide un'aggressione altrettanto vile e feroce contro Gaza da parte dell'esercito israeliano. A quell'epoca si diceva che il principale sostenitore e finanziatore di Hamas fosse l'Iran.
Ancora adesso alcuni media cercano di far passare questa notizia con i più vieti trucchi giornalistici. Il settimanale "Panorama", in un'intervista - chiaramente fasulla e inventata - ad
un anonimo soldato israeliano, tenta di attribuire le posizioni "oltranziste" di Hamas a presunti rapporti con la Siria e l'Iran; e ciò sebbene Hamas si sia schierato contro Assad nel corso dell'aggressione alla Siria, alla quale è rimasto solo l'appoggio dell'Iran e di Hezbollah.
Da tempo quindi il principale finanziatore di Hamas non è più l'Iran. Uno dei più importanti finanziatori di Hamas è invece notoriamente il Qatar, che è stato anche uno dei protagonisti dell'aggressione NATO alla Libia. I recenti
soccorsi finanziari alla macchina amministrativa di Hamas da parte del Qatar sono stati riportati persino dalla stampa israeliana.
Un altro sostenitore e finanziatore di Hamas è l'EAU (Emirati Arabi Uniti). EAU e Qatar sono inquadrati in un accordo di partenariato con la NATO dal 2004, ed infatti hanno operato di concerto con il sedicente Occidente sia per l'aggressione alla Libia che per quella alla Siria, ed anche nell'attuale "guerra per il Califfato" in Iraq.
Ancor di più del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti,
il maggior finanziatore di Hamas è però un Paese membro della NATO a tutti gli effetti, la Turchia. Dal 2010, il presidente turco Erdogan si è assunto il ruolo di primo protettore di Gaza e di Hamas, anche se bisognerebbe entrare nel dettaglio di questa "protezione", visto che, a tutt'oggi, Hamas non dispone di un armamento che possa fare da deterrente. I razzi Qassam, oltre che quasi innocui, sembrano messi lì apposta per favorire la propaganda israeliana, tanto che - e non da oggi - fioriscono i sospetti che si tratti di un "false flag".
Qatar, Emirati Arabi Uniti ed Israele, tutti insieme, hanno condotto l'aggressione contro la Siria. Nella vicenda di Gaza gli USA non possono più dare la colpa ad un cattivo esterno, come l'Iran, così come sino all'inizio degli anni '90 davano la colpa all'URSS ed allo scontro dei blocchi. Oggi tutti gli attori, in modo diretto o indiretto fanno parte della commedia NATO; e ciò vale anche per Hamas, visto il suo appoggio alle aggressioni occidentali contro la Libia e la Siria. Eppure questo rientro nell'assetto imperialistico da parte di Hamas e di Fatah non ha migliorato di una virgola la condizione dei Palestinesi.
Questo è l'imperialismo perfetto, quello che riesce fare anche a meno di un nemico vero, poiché la destabilizzazione mondiale è molto più agevole se ce la si fa tra "alleati", senza l'imprevedibilità di avversari fuori controllo. Tutte le gerarchie, soprattutto quelle internazionali, si giustificano in nome di un "ordine", come vorrebbe farci credere anche lo slogan massonico - caro ai Bush ed a Napolitano - del "Nuovo Ordine Mondiale". In realtà la gerarchia si afferma e si riproduce proprio a scapito dell'ordine.