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"Ridurre l'anarchismo alla nozione di "autogoverno", significa depotenziarlo come critica sociale e come alternativa sociale, che consistono nella demistificazione della funzione di governo, individuata come fattore di disordine."

Comidad
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 23/03/2023 @ 00:10:28, in Commentario 2023, linkato 8804 volte)
Quando si dice la famosa “eterogenesi dei fini”, l’accidente per cui si fa una cosa con uno scopo e si ottiene invece l’effetto contrario. Il governo Draghi aveva comminato il regime carcerario del 41bis all’anarchico Alfredo Cospito per alimentare una pseudo-emergenza-terrorismo in modo da spingere il business del controllo digitale. I meschini volevano solo organizzarsi in santa pace il loro solito saccheggio del denaro pubblico, invece si ritrovano a dover fronteggiare uno sputtanamento in grande stile del 41bis. Certo, c’è ancora molta ingenua confusione da parte di chi crede di dover “denunciare” che il 41bis è tortura; come se non lo sapessero già tutti, come se la tortura non fosse stata sin dall’inizio l’elemento più attrattivo e appetitoso per le masse nello spot con cui è stato venduto il 41bis. Lo scopo ufficialmente dichiarato del 41bis era quello cautelativo, cioè di isolare il boss criminale dai suoi legami associativi; ma lo scopo “ammiccato” era ancora più importante, poiché sin dall’inizio si è fatto intendere all’opinione pubblica forcaiola che l’intento prioritario del 41bis sarebbe stato quello vendicativo, di infliggere sofferenza aggiuntiva rispetto alla detenzione, anche per spingere al cosiddetto “pentimento”. Il 41bis ovviamente è “tarato” sullo standard etico comune, quello secondo cui ci si difende accusando gli altri; tutto salta quando invece ci si scontra con lo standard etico di chi è pronto ad addossarsi anche colpe non proprie pur di non fare il delatore o non farsi strumentalizzare per incastrare altri; quanto alle “sofferenze aggiuntive”, c’è anche chi è pronto ad infliggersele da solo pur di non cedere a ricatti e minacce.
Il dato increscioso del 41bis non sta perciò nello scoprire per l’ennesima volta che l’umanità è disumana e che la tortura è sempre rimasta in vigore, bensì in qualcos’altro. La dissimulazione di questo “qualcos’altro” è stata operata con vari pretesti. Per giustificare il regime del 41bis a Cospito, si è detto dapprima che Cospito si rivolgeva ai suoi sodali per inviare messaggi sovversivi; quindi si ammetteva che col 41bis si colpivano delle opinioni, visto che un anarchico non comanda su niente e nessuno. Allora contrordine: dal “Forca Quotidiano” tuonano che le opinioni non c’entrano, che Cospito sta al 41bis a scontare i crimini che gli vengono attribuiti: la “gambizzazione” (secondo il neologismo BR) di un vip dello smaltimento delle scorie radioattive, ed il tentativo di far strage di allievi carabinieri con un petardo. L’indignazione per l’attentato al dirigente di Ansaldo Nucleare, attribuito a Cospito, sarebbe stata un po’ più credibile se ci si fosse indignati anche di fronte alla negligenza per la quale un signore che gestiva nientemeno che energia nucleare e scorie radioattive, non fosse neppure monitorato dai servizi segreti nostrani. Ansaldo Nucleare fa parte del gruppo Leonardo-ex Finmeccanica che, all’epoca dell’attentato ad Adinolfi, era amministrato e presieduto dal manager Giuseppe Orsi. Pochi mesi dopo quell’attentato Orsi incappò in un processo da cui uscì assolto, ma che lo neutralizzò per sei anni. Messo da parte Orsi nel 2013, da quel momento la presidenza di Leonardo è sempre toccata ad ex dirigenti dei servizi segreti.

Ma, a parte questi dettagli, il dato notevole è che, secondo Marco Travaglio e soci, galere ed ergastoli sono da considerare alla stregua di gite scolastiche, e soltanto col 41bis si comincia a fare un po’ sul serio. Tutta questa manfrina inoltre ha poco senso, dato che Cospito non chiede il ritiro del 41bis per sé ma l’abolizione per tutti. Stando così le cose, non era il caso che, pur di giustificare il 41bis a Cospito, il Gran Confessore Massimo Giletti bruciasse, a mo’ di kamikaze, un agente provocatore piuttosto versatile come Gianluigi Paragone.
Continuare a puntare i riflettori su Cospito serve a far finta di ignorare ciò che lo stesso Cospito ha invece messo in evidenza. Il problema è che il 41bis avrebbe dovuto rimanere nell’alone vago e indefinito della leggenda, dello spot pubblicitario, e non rivelarsi nei suoi dettagli concreti. Dai cialtroni Donzelli e Del Mastro abbiamo appreso anzitutto che il 41bis non è affatto un regime di isolamento, ma prevede persino incontri tra i boss mafiosi. Per premio Donzelli e Del Mastro sono stati messi sotto scorta; un onore che pare spetti di diritto a tutti quelli che fanno cazzate, mentre si lascia esposto alle cattiverie del mondo uno che maneggia energia nucleare e scorie radioattive. La vita è ingiusta. Poi vi lamentate del fatto che presunti “amici di Cospito” vadano in giro ad incendiare qualche auto e spaccare qualche vetrina. Non sprecate preziose forze dell’ordine a fare da balia a Donzelli e Del Mastro, così sarete in grado di schierare per le strade molti più agenti, che potranno mettere a ferro e fuoco intere città, visto che quelle mezze seghe di anarchici non ci riescono.
I maggiori guai per il 41bis vengono però dai giornalisti, i quali ormai sono talmente disabituati a capire l’importanza delle notizie, che finiscono per rivelare delle enormità senza neppure rendersene conto. Il mese scorso il quotidiano “il Giornale” ci ha infatti comunicato che il Ministero della Giustizia non ha mai fornito un elenco ufficiale dei detenuti al 41bis, per cui sia il numero di quei detenuti (pare oltre settecentosettanta), sia i loro nomi, derivano solo da ipotesi giornalistiche.
Quando si sottolineano certi dettagli scabrosi, arriva sempre l’imbecille professionista ad accusarti di fare dietrologie ed ipotesi di complotto, mentre in realtà si sta parlando proprio della sua imbecillità che gli impedisce di notare ciò che c’è davanti, in piena evidenza. Il problema infatti non è ciò che sta dietro il 41bis, bensì consiste proprio nel fatto che potrebbe esserci di tutto, visto che il ministero non si prende la responsabilità neppure di dirci chi siano i detenuti sottoposti a quel regime carcerario. Ci avevano dichiarato che il 41bis serviva come misura cautelativa, poi ci avevano ammiccato che in realtà era tortura; adesso scopriamo che c’era un “terzo segreto di Fatima”, cioè che il 41bis è un contenitore carcerario di totale arbitrio e mancanza di trasparenza, come la Bastiglia dei tempi di Luigi XVI. Anche a difesa dell’odierna Bastiglia, ci sono tantissime Lady Oscar, come Travaglio, Giletti e Paragone. La differenza invece è che mentre nella Bastiglia del 1789 ormai c’erano rimasti solo quattro detenuti, col 41bis ci stiamo avviando verso il migliaio.

Ma di cosa ci preoccupiamo? Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (il DAP) è lo specchio delle virtù, infatti da decenni è oggetto di denunce per procedure torbide nell’assegnazione degli appalti. La Procura di Roma segue sempre lo stesso rituale: avvia l’indagine e poi dà tempo al tempo per insabbiare tutto. Nel 2014 Alfonso Bonafede chiese addirittura l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare per indagare sulle magagne del DAP. Ma poi Bonafede è diventato ministro della Giustizia ed ha deposto queste velleità. Eppure ce ne sarebbero delle belle, in quanto pare che si “mangi” persino sul business dei pasti ai detenuti. Il DAP ha addirittura assegnato alla stessa azienda di ristorazione sia l’appalto per i pasti ordinari ai detenuti, sia per lo spaccio a pagamento di cibo all’interno delle carceri. Si è così delineato un evidente conflitto d’interessi, dato che quanto peggiore è il cibo fornito nei pasti ordinari, tanto più si sarà costretti ad acquistare cibo allo spaccio. Il DAP però assicura che non c’è conflitto d’interessi, perché, anche se l’azienda è la stessa, si tratta di due contratti diversi (sic!). Di fronte ad una tale sottigliezza giuridica, nessuno potrebbe mai dubitare che il DAP faccia un uso meno che limpido dell’oscurità del 41bis.
Sin dalle sue prime versioni alla fine degli anni’80, il regime carcerario del 41bis ha sempre incontrato consenso e popolarità, ed il fatto che sia una particolarità italiana, lo ha reso anche un motivo di orgoglio nazionale. L’oligarchia italica ha costruito il suo specifico percorso di grandeur, di ascesa di status internazionale, attraverso la dimostrazione e l’esibizione della propria capacità di controllo sociale, di trasformare tutto un popolo in una cavia. La peculiarità dell’imperialismo italiano è appunto quella di porsi come partner e sponda di imperialismi maggiori; quindi un modello imperialistico non basato principalmente sulla guerra verso l’esterno ma sulla guerra civile, sul regolamento di conti permanente.
Il Risorgimento, il fascismo e l’antifascismo hanno tutti fondato la propria epopea sulla conflittualità interna; anche l’emergenzialismo Covid ha rappresentato uno dei momenti più esaltanti per lo status internazionale dell’oligarchia nostrana, dato che in Italia si è inventato il lockdown, ed in più siamo stati l’unico Paese che ha adottato misure come il green pass per accedere ai luoghi di lavoro, l’obbligo vaccinale e la gogna per i cosiddetti no-vax. Questa euforia di grandeur degli oligarchi ha coinvolto la gran maggioranza della popolazione. In questa epopea della guerra civile, nell’ultimo mezzo secolo sono rientrati soprattutto l’antiterrorismo e l’antimafia, quindi il 41bis è diventato un fiore all’occhiello del nostro prestigio internazionale ed il suo fascino si impone trasversalmente agli schieramenti ideologici di destra o sinistra. Ogni tanto qualche ONG dei diritti umani fa finta di criticare, ma proprio il minimo necessario.
Il “forca-pacifismo” (forca all’interno, pacifismo all’esterno) è un anomalo prodotto ideologico tipicamente italico, ed infatti l’establishment nostrano non è riuscito ad allestire una gogna per putiniani altrettanto efficace della gogna per no-vax. Oggi chi parla contro la guerra è più popolare di chi ne parla a favore, e i più popolari tra i pacifisti sono anche dei forcaioli. Di solito ottusi quando trattano di questioni interne, i forcaioli hanno invece compreso che in questa guerra non si confrontano ideologie o modelli sociali (democrazia o autocrazia o qualche altra fesseria), bensì interessi imperialistici, cioè affari e zone d’influenza; il che comporta rischi molto peggiori della cara vecchia Guerra Fredda dal 1949 al 1989. Il forca-pacifismo italico sconta però una contraddizione insormontabile che lo condanna all’inettitudine pratica: non ci si può opporre all’attuale bellicismo dell’establishment poiché si condivide lo stesso modello di controllo sociale interno dell’establishment. In altri termini, una società “tracciata” e militarizzata in nome dell’antiterrorismo e dell’antimafia, finirà automaticamente per essere piegata ad usi e fini militaristici, anche se non vorrebbe.
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Di comidad (del 16/03/2023 @ 00:15:01, in Commentario 2023, linkato 9056 volte)
Ci avevano venduto il 41bis raccontandoci che serviva a tenere a bada quelli che sciolgono i bambini nell’acido. Ora, grazie al caso di Alfredo Cospito, scopriamo che il 41bis serve ad impedire la diffusione di opinioni anti-establishment. I mafiosi invece rispettano le gerarchie antropologiche, sanno pentirsi all’occorrenza e, quando vanno a confessarsi da Giletti, sanno pure comportarsi. In fondo “mafia” e “Stato”, legalità o illegalità, sono soltanto nomi o slogan per i creduloni; mentre ciò che conta veramente è (come si dice oggi) il “doppio standard” nelle relazioni umane, ovvero inchinarsi ai ricchi e potenti, compiacerli, assisterli e vezzeggiarli; e invece dare sempre addosso ai deboli, con lo spot più adatto all’occorrenza, perché quando controlli gli organi di comunicazione, nessuno ti può smentire.
Le pensioni rappresentano un fondamentale ammortizzatore non solo sul piano sociale ma anche economico, in quanto contrastano le cadute della domanda e i rischi di spirale recessiva. Se esistesse davvero quella cosa detta “Stato”, essa si guarderebbe bene dal destabilizzare un equilibratore così efficace; tanto più che, nell’epoca dei “quantitative easing” e delle iniezioni di liquidità nella finanza, è ben strano fare questioni per qualche zero-virgola nei bilanci previdenziali. Invece, proprio quello che, secondo la fiaba, sarebbe lo Stato per antonomasia, la Francia, fa di tutto per scardinare il sistema pensionistico. All’ultimo grande sciopero in Francia, il 7 marzo scorso, hanno partecipato un milione trecentomila lavoratori, secondo stime del governo francese, e tre milioni e mezzo secondo la CGT. Al di là delle cifre, si è trattato di una dimostrazione di forza notevole, che ha bloccato un Paese di sessantacinque milioni di persone: ferrovie, ospedali, trasporti urbani, raccolta rifiuti, scuole. La spinta dei lavoratori ha quasi travolto anche la CGT e la sinistra di Mélenchon, costrette a inseguire. Persino il conciliante e codino sindacato CFDT, ha deciso di partecipare per non restare isolato. Lo scontro con il governo è arrivato al suo apice, dopo mesi di confronto duro, ma che viene da lontano.
Nel 1995, sotto la presidenza di Chirac, il primo ministro Juppé aveva proposto una revisione del sistema pensionistico col pretesto di ridurne un presunto deficit. Dopo tre settimane di scioperi e manifestazioni, Juppé aveva dovuto rinunciare. In seguito anche il conservatore Sarkozy nel 2010 ed il socialista Hollande nel 2013, ci avevano provato, ma con risultati deludenti. Macron (che tutti chiamano pleonasticamente “il presidente dei ricchi”) ha deciso di impegnarsi dove gli altri avevano fallito, e ha incontrato subito una risposta decisa: allo sciopero del dicembre 2019 partecipavano un milione e mezzo di lavoratori (fu definito allora il più grande sciopero da una generazione).

In Francia il sistema sanitario e quello pensionistico sono regolamentati dal dopoguerra secondo una “solidarietà fra generazioni”. I contributi prevedono di solito una quota del 55% a carico dei datori di lavoro e del 45% dei lavoratori. Questo sistema ha garantito ai lavoratori la possibilità di andare in pensione ad un’età ragionevole, cosa che ha mantenuto alti i livelli di produttività ed ha anche alleggerito il sistema sanitario dagli eccessi di morbilità ed infortuni dovuti allo stress lavorativo per gli ultrasessantenni. Macron ha cercato, senza mai riuscirci, di utilizzare la vecchia tecnica del dividere i lavoratori del settore pubblico da quelli del privato, sostenendo di voler eliminare i “privilegi ingiusti” di alcune categorie di lavoratori.
In realtà, se da un lato il sistema previdenziale francese consente un’uscita in tempi più ragionevoli, dall’altro gli stipendi di intere categorie sono rimasti fermi o hanno perso valore, ciò in quanto i vantaggi pensionistici erano considerati una compensazione. Visto che il progetto Macron prevede un appiattimento verso il basso delle pensioni per milioni di lavoratori, e i vantaggi persi non saranno ricompensati da stipendi più alti o da uscite anticipate, si comprende la reazione. Basti pensare che un lavoratore delle ferrovie potrebbe, con la riforma, andare in pensione dieci anni più tardi.
Già nel 2020, con mobilitazioni operaie considerevoli ma meno estese, Macron era convinto che fosse arrivato il suo “momento Thatcher”, la versione francese dello sciopero dei minatori britannici del 1984-85 quando la Thatcher rifiutò di trattare per fermare le proteste. Ma l’ottimismo di Macron era prematuro; la resistenza degli scioperanti continua. Macron persiste ad attaccare il sistema sanitario e quello pensionistico del settore pubblico. Lo farà senz’altro per riconoscenza verso i settori finanziari ai quali deve il suo successo. Ma, secondo molti analisti, anche Macron sta lavorando alla sua pensione: sembra infatti che, come prevede il sistema delle porte girevoli tra carriere pubbliche e private, BlackRock abbia in serbo per lui una poltrona ben pagata per i suoi servigi.

Il fatto che la riforma delle pensioni proposta dal governo francese sia stata definita la “riforma delle pensioni di BlackRock”, sembra avere qualche fondamento. La multinazionale finanziaria di Larry Fink è la principale azionista di quasi tutte le multinazionali francesi, ed è considerata l’incarnazione del “capitalismo predatorio”, come se potesse mai esistere un capitalismo onesto. Lo stesso Macron proviene dagli ambienti delle banche di investimento, ed è visto dai soliti malpensanti come il manutengolo dell’alta finanza. Larry Fink ha incontrato diverse volte Macron (in incontri per la difesa dell’ambiente, mica per altro), mostrando un altruistico interesse per la politica del governo francese sulle pensioni. Lo smantellamento del sistema previdenziale francese sarebbe per Larry Fink l’occasione per dimostrare quanto è filantropo, riconvertendo il diseducativo assistenzialismo per poveri in un più etico assistenzialismo per ricchi. E, come temono i lavoratori francesi, i fondi-pensione gestiti dalle grandi multinazionali del credito andrebbero a sostituire il sistema previdenziale pubblico, come è successo negli USA. L’ingenuo si aspetterebbe che le autorità di controllo tenessero BlackRock sotto tiro per evitare che abusi della condizione di debolezza degli investitori costretti a ricorrere ai fondi-pensione. Invece è proprio il contrario, per cui il controllore del mercato azionario di New York si preoccupa del fatto che BlackRock non stia più investendo abbastanza in titoli “verdi”, cioè nella bolla finanziaria dei cosiddetti ESG. Ci si lamenta perché BlackRock non sta truffando abbastanza i piccoli investitori, mica per il fatto che i titoli ESG promuovono tecnologie ed aziende che non c’entrano nulla con la protezione dell’ambiente; tantomeno per il fatto che certe bolle finanziarie create sul nulla produttivo lasceranno i piccoli investitori col culo per terra. Come si è visto anche nel caso della Silicon Valley Bank, può bastare una stretta creditizia per scoprire il bluff; salvo poi presentare il conto ai piccoli investitori ed ai contribuenti poveri. Al gioco delle bolle “green” partecipano ovviamente anche i finti ambientalisti, secondo i quali l’unico inquinamento sarebbe quello da CO2.
Se ci si fa caso, si tratta dello stesso tipo di pantomima del finto controllo messa su dalla Procura di Bergamo, la quale non incrimina Fontana, Conte e Speranza per aver impedito la cura dei malati di una polmonite con le terapie sperimentate efficacemente da svariati decenni, bensì per non aver anticipato di qualche giorno la farsa criminale del lockdown a vantaggio dei profitti di Amazon e consimili. Blaise Pascal già notava che la legge vale per chi la subisce ma non per chi la gestisce, perciò lo Stato di Diritto te lo sogni. Purtroppo anche come semplice centro di comando lo Stato si rivela evanescente, un caos di amministrazioni inconcludenti che sono facile preda delle lobby d’affari; ciò non per un metafisico determinismo materialistico, ma solo perché il denaro è un movente univoco, che non dubita mai di se stesso e può utilizzare qualsiasi ideale a scopo promozionale. Allora tanto vale che a capo del sedicente Stato ci sia direttamente un lobbista come Macron.
Purtroppo per Macron, la gerarchia può comportare anche qualche umiliazione quando si incontrano i superiori di rango. Il primo ministro inglese Rishi Sunak, di origini afro/indù, è arrivato ai vertici prima del partito conservatore e poi del governo britannico. Niente hanno potuto le sue origini non troppo “british” contro i suoi agganci affaristici. Gli anglosassoni sanno premiare il “merito”: già direttore della società di investimenti “Catamaran Ventures”, ha accumulato, insieme con la moglie ereditiera, un patrimonio di circa settecentotrenta milioni di sterline, liretta più liretta meno. Quale migliore referenza come garanzia del buon governo? E poi la moglie di Sunak mica è una “moglie di Soumahoro” qualsiasi, da sbertucciare per qualche ritardo nei pagamenti. La moglie di Sunak infatti ha investito in attività filantropiche, come il microcredito alle donne artigiane e piccole imprenditrici del settore tessile. Dopo circa tre anni in cui si sono fatte una concorrenza furiosa per sottostare alle condizioni vessatorie degli appalti imposti dalle multinazionali, le povere donne indiane sono fallite, ritrovandosi anche indebitate.

Nel suo recente incontro con il suo omologo Macron (guarda caso anche lui proveniente dalle banche d'investimento), Sunak ha affrontato il tema dell’immigrazione, quadruplicata negli ultimi tempi in UK, in gran parte proprio a causa di quel microcredito che devasta l’economia dei Paesi in “via di sviluppo” e costringe molti alla migrazione a causa dei debiti. Il legame causale tra microfinanza e migrazione è un dato ormai accertato a livello empirico, ma ciò non significa affatto smetterla di far soldi con i prestiti ai migranti e con le provvigioni sulle loro rimesse, ma soltanto che bisogna fare la faccia feroce con loro affidando ai subalterni il lavoro sporco.
Insomma, Sunak ha detto chiaro e tondo che la Francia deve fare di più per bloccare gli immigrati clandestini che attraversano la Manica. Qualche giorno fa, il ministro degli Interni francese Gerard Darmanin, sosteneva che l’Italia doveva fare di più per bloccare ed accogliere gli immigrati clandestini. Seguendo l’ordine gerarchico, la Meloni è fermamente intenzionata a chiedere alla Grecia e alla Turchia di fare di più per bloccare gli immigrati. Grecia e Turchia dovrebbero a loro volta rivolgersi alla Siria e all’Afghanistan e così via. Ma la Meloni probabilmente rimarrà delusa e dovrà subire qualche mandata a quel paese. Sono passati i bei tempi della psicopandemia, nei quali l’oligarchia dell’Italietta ascendeva di rango internazionale, dimostrando al mondo intero di essere la prima della classe nella capacità di ridurre il proprio popolo ad una cavia. Sunak ha parecchio da insegnare alla Meloni, infatti ha messo su una legge sull’immigrazione che tratta da clandestini tutti coloro che arrivano in modo irregolare, e li sottopone a fermo giudiziario per poi rispedirli verso uno Stato “sicuro” (?). Lo Stato sicuro in questione, nel quale deportare gli immigrati, è il Ruanda, che ha ricevuto finanziamenti per i campi di concentramento da allestire in loco. L’idea sembra demenziale quanto quella dei blocchi navali, ma non bisogna mai sottovalutare l’idiozia e la crudeltà di questi personaggi. Piantedosi e la Meloni non vogliono essere da meno, infatti dichiarano che daranno la caccia agli “scafisti” per appioppargli trenta anni di galera. In realtà gli “scafisti” non esistono e i barconi vengono affidati a migranti istruiti alla meglio. L’importante è non fare mai cenno alle leve finanziarie della migrazione, e continuare a far finta che i migranti lascino i loro Paesi di propria iniziativa.
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Titolo
FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


16/10/2024 @ 02:47:53
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