Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il colonialismo
è una tecnica di dominio che si
riproduce con precise costanti nel corso della Storia. Queste prime
voci costituiscono l'avvio della stesura di un manuale a riguardo. Chi
fosse interessato, può anche fornire il suo contributo.
Comidad
6 - Droga e umanesimo
Uno degli strumenti più importanti cui l'Inghilterra fece
ricorso per mantenere il suo dominio in India, fu, insieme
all'alcolismo, l'oppiomania. Il papavero d'origine mediterranea fu
introdotto in India come in Cina dagli Arabi. Ma furono gli Europei a
dare un'ampiezza senza precedenti al commercio dell'oppio, che
utilizzeranno come mezzo per finanziare i loro acquisti di spezie, di
tessuti di cotone e seta, e ne faranno uno strumento di dominio
decisivo. E' qui che si può parlare davvero per la prima volta
di "denaro della droga" nel senso che il finanziamento di una politica
imperiale è deliberatamente ricavato dalla droga, puntando sulla
tossicomania dell'altro.
L'esportazione del narcotico indiano fu legalizzata dal trattato di
T'ien-tsin. L'oppio della valle del Gange rappresentava almeno i due
terzi del totale delle esportazioni indiane della droga, che era
fabbricata, a partire dal prodotto consegnato dai contadini, in
manifatture autorizzate e supervisionate dal governo. Gandhi diceva in
proposito che: "Prima degli Inglesi non c'era in India nessun governo
disposto a incoraggiare il male rappresentato dall'uso dell'oppio e ad
organizzarne l'esportazione a fini fiscali come hanno fatto gli
Inglesi."
Nel 1880, l'alto commissario della Birmania indirizzava al governo
britannico un rapporto ufficiale in cui si poteva leggere: "L'uso
abituale di queste droghe abbatte le forze fisiche e morali, demolisce
i nervi, emacia il corpo, diminuisce la sua forza e la sua resistenza,
rende le persone pigre, negligenti e poco pulite, annichilisce l'amor
proprio costituisce una delle fonti più orribili di miseria,
d'indigenza e di criminalità, popola le prigioni di ospiti molli
e fiacchi, in breve vittime della dissenteria e del colera, impedisce
l'estensione auspicabile dell'agricoltura e il progresso morale
dell'imposta fondiaria, blocca l'aumento naturale della popolazione e
indebolisce la costituzione della generazione successiva."
Ciononostante una commissione ufficiale invia nel 1895 a Londra un
rapporto molto più ottimistico; ecco i passaggi principali: "Il
consumo dell'oppio non è affatto un vizio nelle Indie [...]. Si
fa ampiamente ricorso a quel prodotto a fini non terapeutici
così come a fini semi-terapeutici, in alcuni casi con buoni
risultati e nella maggior parte dei casi senza conseguenze nocive
[...]. Non è necessario permettere in India la coltivazione del
papavero così come la fabbricazione e l'uso dell'oppio soltanto
a scopi medicinali. Un’esperienza tradizionale ha insegnato al
popolo indiano a far uso di questo prodotto solo con circospezione e
l'abuso che se ne fa è un tratto della vita del popolo indiano
sul quale non è il caso di soffermarsi. La maggior parte degli
oppiomani indiani non è asservita alla sua abitudine. Queste
persone prendono le piccole dosi di cui hanno bisogno sul momento e
possono rinunciare alla loro razione, passata l'appetenza.
L'oppio è il più comune e il più apprezzato tra i
rimedi empirici che hanno a disposizione. Lo prendono per prevenire la
stanchezza o attenuarla, come mezzo profilattico della malaria o ancora
per ridurre la quantità di zucchero nel diabete, e, in modo
più generale, è impiegato ad ogni età come
sedativo. L'uso dell'oppio a piccole dosi è uno dei mezzi
principali per trattare le malattie infantili [!]. Proibire la vendita
dell'oppio senza prescrizione medica sarebbe una misura ridicola e
decisamente disumana nei confronti di diversi milioni di esseri
umani.[!]"
Questo rapporto è davvero esemplare sul funzionamento
dell'ideologia coloniale. Il discorso dell'inferiorità razziale
degli Indiani passa attraverso schemi ricorrenti nel colonialismo: il
"rispetto" di presunte tradizioni del popolo colonizzato (cfr.
"L'invenzione della tradizione" in mpc), il "rispetto"
dell'identità culturale dei colonizzati, atteggiamento
protettivo e paternalistico del colonizzatore, il "rispetto" di una
medicina empirica e popolare che sottolinea il primitivismo dei
colonizzati e, più in generale, l'umanesimo come base
giustificativa dell'imposizione della droga a milioni di persone.
Com'è ovvio, il governo inglese sceglierà di continuare a
drogare milioni d'Indiani proprio accentuando il discorso della
diversità culturale; in altri termini, se la droga fa male agli
Inglesi, fa invece molto bene agli Indiani.
Questi argomenti permetteranno di non tener conto di ciò che era
già noto. In realtà, già nel 1892, cinquemila
medici avevano dichiarato in Inghilterra che fumare o mangiare oppio
era nocivo per il corpo e disastroso per la mente e che bisognava
considerare l'oppio in India come un veleno e trattarlo lì come
in patria. Con tutta la diffidenza che si deve avere verso una
dichiarazione ufficiale dei medici, questo elemento toglie ogni alibi
al colonialismo inglese, le cui scelte furono consapevolmente criminali.
Una commissione della Società delle Nazioni aveva stabilito in
meno di 6 kg ogni 10.000 abitanti (0,6 gr per abitante), la
quantità annuale necessaria per uso terapeutico. Ora, a Calcutta
intorno al 1900, la media del consumo era di 144 kg ogni 10.000
abitanti, ovvero l'assunzione di quantità enormi per ogni
oppiofago.
Secondo testimonianze dell'epoca (Liggins), erano gli stessi funzionari
inglesi a distribuire gratuitamente l'oppio agli Indiani proprio per
creare un mercato, e quando i sostenitori di Gandhi organizzarono una
campagna contro l'alcol e l'oppio riuscendo, con la loro azione di
propaganda, a far scendere il consumo del 50% nella provincia di Assam,
il governo intervenne immediatamente per arrestare quarantaquattro dei
sessantatre oratori che percorrevano il paese.
Comidad (marzo 2007)
Dopo la composta manifestazione del 17 febbraio contro l’ampliamento della base NATO di Vicenza, il Presidente del Consiglio Prodi ha dichiarato che la linea del governo non cambierà. Le contemporanee dichiarazioni del Ministro degli Interni Amato circa la contiguità di gruppi di manifestanti con i brigatisti, hanno indicato che anche la linea della propaganda non cambierà, cioè si continuerà a cercare di assimilare ogni tipo di opposizione sociale al terrorismo.
Nella stessa direzione sono andate anche le dichiarazioni rilasciate in un’intervista da Cofferati, sindaco DS di Bologna, che non ha esitato ad indicare i centri sociali come area di reclutamento per i brigatisti. Cofferati ha usato i suoi consueti toni da energumeno esaltato, mostrando anche tratti di mitomania quando ha fatto capire che considera le posizioni sulla sua persona come lo spartiacque tra l’ordine ed il caos terroristico. Sarebbe però un errore considerare queste dichiarazioni da un punto di vista psichiatrico invece che politico.
Lo stalinismo è storicamente definibile come la pratica di cercare di risolvere le proprie difficoltà attraverso la ricerca di nemici a sinistra. È una linea che si è sempre rivelata perdente, perché in tal modo la sinistra di governo fa terra bruciata proprio nell’area che può fornirle sostegno e spinta. Nel corso dell’esperienza di unità nazionale/compromesso storico tra il 1976 e 1979, l’allora PCI fece un errore analogo, ma non ne ha tratto alcuna lezione. Lo stalinismo è ancora un riflesso automatico, sopravvissuto alla fine del comunismo sovietico e dei suoi corrispettivi europei. Uno stalinismo senza comunismo.
Anche Stalin è stato spesso liquidato dall’analisi storica come caso psichiatrico, ma le sue azioni costituivano la inevitabile conseguenza pratica di una precisa scelta politica: meglio un interlocutore a destra che un alleato alla propria sinistra. I toni subdoli ed insinuanti di Amato - che è l’uomo di fiducia delle oligarchie europee - possono mantenersi soltanto tramite il sostegno fornito dagli atteggiamenti da ariete dell’ex sindacalista Cofferati, cioè è una sinistra degenerata che fornisce pretesti ed argomenti alla propaganda di destra.
Quando nei giorni scorsi i presunti brigatisti sono stati arrestati, il fatto che alcuni di loro avessero la tessera della CGIL ha spinto alcuni dirigenti della stessa CGIL a “fare l’autocritica per non aver vigilato abbastanza contro le infiltrazioni”. In realtà una tessera sindacale si concede a chiunque, non è materialmente possibile esercitare controlli, eppure la dirigenza CGIL si autofustiga per non aver saputo svolgere adeguatamente una funzione poliziesca, promettendo che per il futuro saprà “vigilare meglio”.
Questo è uno dei tipici paradossi staliniani: si accusano i centri sociali, in quanto area di dissenso, di essere potenziali covi di brigatisti; ma, allo stesso tempo, anche gli iscritti alla CGIL devono considerarsi ormai tutti potenziali sospetti di terrorismo. Quindi non soltanto si criminalizza il dissenso, ma anche il consenso.
La coscienza sporca dei dirigenti CGIL, la loro consapevolezza di star sempre meno dalla parte dei lavoratori, non farà altro che rafforzare questa diffidenza verso i loro iscritti: perché mai un lavoratore dovrebbe iscriversi oggi alla CGIL se non avesse qualche inconfessabile secondo fine?
È prevedibile ciò che avverrà nei prossimi mesi. I vertici CGIL lanceranno all’interno della loro organizzazione una spietata offensiva poliziesca del tipo di quelle che avvennero alla fine degli anni ‘70, ma qualsiasi cosa facciano i vertici CGIL, la propaganda di destra continuerà ad accusarli di non aver fatto abbastanza, di essere conniventi o, almeno, troppo indulgenti con i terroristi.
Più i dirigenti CGIL e DS inseguiranno il riconoscimento e il plauso della destra, più la destra approfitterà di questa loro condizione di sudditanza psicologica per ricattarli e pretendere sempre di più. Tutto ciò secondo un copione ormai storicamente consolidato.
22 febbraio 2007
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