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"Un'idea che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata idea."

Oscar Wilde
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 21/02/2008 @ 11:35:46, in Commentario 2008, linkato 1519 volte)

Il tema dell'aborto arriva in campagna elettorale e già si è allestita la solita rappresentazione di alternative astratte da talk show: "sacralità della vita" da un lato e "libertà di scelta" dall'altro. In realtà, l'unica alternativa davvero concreta riguarda da una parte l'aborto pubblicamente assistito - che consente anche di prevenire gli aborti e ridurli - e, dall'altra parte, un aborto lasciato in preda all'affarismo privato, il quale ha tutto l'interesse a tenere il numero degli aborti il più alto possibile. Questo è il motivo per cui anche molte persone sinceramente contrarie all'aborto, difendono l'attuale legge 194, proprio perché temono l'invasione dell'affarismo su questo versante.

Il problema è che oggi il business dell'aborto si presenta in termini molto diversi rispetto a quarant'anni fa: non è più un affare di "cucchiai d'oro" cattofascisti, o di cliniche svizzere, o di pionieri "progressisti" del metodo Karman. Le nuove biotecnologie hanno trasformato gli embrioni e i feti, da scarto biologico che erano una volta, in una materia prima indispensabile per le multinazionali farmaceutiche. Mettere le mani su questa materia prima è da almeno vent'anni per le multinazionali farmaceutiche un imperativo che spiega anche l'ingresso sulla scena dei cosiddetti neoconservatori americani, che sono i pubblicitari del sistema affaristico, incaricati di conferire un alone idealistico anche al più criminale dei business.

In questa campagna propagandistica ovviamente non manca il consueto appello ai facinorosi e sadici, a cui non interessa per niente la salvezza del nascituro, ma solo che la donna che abortisce venga umiliata il più possibile. Ma c'è anche qualcosa di più sottile ed ammiccante e, proprio per questo, l'operazione pubblicitaria è stata affidata al "neocon" Giuliano Ferrara, il quale, con il suo tono un po' intimidatorio ed un po' ruffianesco, lascia intendere che il suo obiettivo non sia di abolire la legge 194, ma di fare esclusivamente una battaglia di principio con finalità educative. Insomma, si cerca di far credere che si tratterebbe di condannare l'aborto come "idea", ma di tollerarlo come pratica, come in effetti già molti fanno.

Qui si annida l'aspetto più subdolo della questione, poiché per eliminare l'assistenza pubblica all'aborto non è affatto necessario abolire la legge 194, ma è sufficiente sabotarla con una serie di circolari applicative, il che è esattamente ciò che Ferrara afferma di voler fare se diventasse ministro della Salute.

Se l'aborto pubblicamente assistito diventasse impraticabile a causa di un iter eccessivamente inquisitorio e umiliante, ecco che si creerebbero le condizioni per far apparire la privatizzazione dell'aborto come una liberazione. Bisognerà quindi fare attenzione al gioco di squadra che stanno mettendo su l'aspirante ministro Giuliano Ferrara e la leader del partitino biotecnologico, Emma Bonino.

La soluzione che si sta prospettando è di dar modo alle donne di abortire anche presso strutture private che abbiano finalità di ricerca scientifica. In questo modo le donne, oltre ad abortire in modo più rapido e sicuro rispetto alla struttura pubblica, potrebbero anche dare il loro contributo al progresso scientifico, alla sconfitta delle malattie genetiche, eccetera, insomma tutta la storiella propagandistica che le multinazionali farmaceutiche ci propinano ogni volta.

Occorre ricordarsi che la privatizzazione dell'aborto è un vecchio obiettivo del Partito Radicale, che richiese un referendum in tal senso subito dopo l'approvazione della legge 194, contro la quale aveva votato in Parlamento. Il referendum abrogativo radicale fu presentato del tutto in parallelo a quello del cosiddetto "Movimento per la Vita", di ispirazione cattofascista;  del resto, la proibizione dell'aborto e la sua privatizzazione hanno in comune gli stessi sbocchi affaristici. Che si tratti della "Vita"  o del  "Progresso Scientifico", l'affarismo ha comunque bisogno di un Moloc al quale obbligare a sacrificarsi.   

21 febbraio 2008

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Di comidad (del 28/02/2008 @ 11:37:12, in Commentario 2008, linkato 1384 volte)

La notizia secondo cui Fidel Castro sarebbe uscito definitivamente di scena per motivi di salute, ha determinato la prevedibile ondata di commenti, in cui si è distinta la stampa ufficiale europea e americana, tesa a dipingere il leader cubano come un tiranno ormai fuori dal mondo, aggrappato sino alla fine alla sua ideologia. Questa rappresentazione propagandistica aggira però la questione essenziale, e cioè che la popolarità di Castro in America Latina, in particolare tra le nuove generazioni, è iniziata dopo la fine del socialismo reale e la dissoluzione dell'Unione Sovietica, e molto dopo il definitivo tramonto del modello di socialismo cubano, quando i limiti umani e politici dello stesso Castro erano ormai evidenti.

Gli anni '90, e non gli anni '60, sono stati il periodo in cui il prestigio personale di Castro ha cominciato a costituire un elemento di inciampo per la politica latino-americana; tanto che il papa Karol Woytila nel 1998 fu costretto ad organizzarsi una visita a Cuba per rifarsi una verginità di fronte all'opinione pubblica latino-americana, essendosi troppo esposto a favore del colonialismo statunitense con le sue prese di posizione contro Ortega in Nicaragua e a favore di Pinochet in Cile, mollando inoltre Noriega nel 1990 a Panama quando questi, per sfuggire ai soldati statunitensi, aveva chiesto asilo nella Nunziatura Apostolica, cosa che gli sarebbe stata dovuta, secondo il Diritto internazionale.

Contrariamente a quanto si vuol far credere all'opinione pubblica europea, la popolarità di Castro in America Latina non è dovuta ad un'attrazione ideologica del castrismo, anzi di castrismo non si parla nemmeno più. Le giovani generazioni latino-americane che vedono in Castro un punto di riferimento, non sanno nulla dello "Hombre Nuevo" e di tutte le altre palle al piede di carattere ideologico che si produssero a Cuba quaranta anni fa.

Negli anni '60  e '70 era dato per scontato che chi si opponeva all'aggressione colonialistica, avesse come minimo il dovere di creare il paradiso in terra, cosa che ha determinato da parte del regime cubano una serie di stupidaggini ed efferatezze che avrebbe potuto tranquillamente risparmiarsi. 

Quel che rimane oggi di Cuba è solo l'immagine di un Paese che ha dimostrato di poter reggere per mezzo secolo all'aggressione militare, economica e terroristica da parte di una superpotenza coloniale, perciò Cuba, per il resto dell'America Latina, non costituisce un modello, bensì l'esempio della possibilità di resistenza allo strapotere del colonialismo degli USA e delle multinazionali.

Questa concretezza dei Latino Americani è ciò che oggi manca ai commentatori "occidentali", i quali vorrebbero farci credere che il ritiro di Castro dalla scena politica ponga le condizioni per libere elezioni a Cuba e quindi per un superamento del contrasto con gli USA. In realtà, qualunque regime vi fosse a Cuba, rimarrebbe quanto già scritto da Thomas Jefferson più di due secoli fa, e cioè che Cuba costituisce geopoliticamente una tappa essenziale della espansione coloniale degli Stati Uniti verso l'America Latina.

Sino alla rivoluzione del 1959, Cuba aveva svolto, a causa della sua posizione a ridosso della penisola della Florida, il ruolo di ponte dell'economia illegale statunitense. Le multinazionali sono organizzate su un livello legale ed un altro illegale, ed è l'intreccio tra questi due livelli a creare il maggior numero di occasioni affaristiche. Ad esempio, il petrolio iracheno, acquistato sul mercato illegale a meno di venti dollari, può esser rivenduto sul mercato legale al prezzo ufficiale di cento dollari. A sua volta, il livello illegale delle multinazionali è agganciato alle classiche organizzazioni malavitose che svolgono una funzione di manovalanza e di copertura.

Il Proibizionismo dell'alcol negli Stati Uniti fu imposto nel 1919 con motivazioni moralistiche da organizzazioni create dal businessman Pierpont Morgan, ritenuto allora l'uomo più ricco del mondo; la maggiore entità del traffico era svolta da un altro businessman di chiara fama, Joseph Kennedy - padre del futuro presidente John Kennedy -, anche se alla fine erano personaggi come il gangster Al Capone a risultare evidenti all'opinione pubblica. Allo stesso modo, in Campania è oggi la camorra a risultare in primo piano, anche se questo "sistema" camorristico non è certamente all'altezza degli affari che gli vengono attribuiti, come lo smaltimento dei rifiuti tossici prodotti dalle multinazionali statunitensi, che passano attraverso i porti militari della basi americane. 

Nel momento in cui tornasse nella sfera d'influenza statunitense, anche Cuba riprenderebbe perciò quel ruolo di Stato fantoccio dell'affarismo criminale che già svolgeva negli anni '50. 

Il mito della democrazia americana è servito da sempre a mettere in ombra il vero problema, e cioè che monstrum costituiscano gli Stati Uniti dal punto di vista geopolitico: un Paese che, per posizione geografica, è in grado di minacciare, aggredire e destabilizzare tutto e tutti, pur di realizzare i propri scopi affaristici camuffati di idealismo, senza avere però altrettanto da temere, grazie al suo isolamento continentale.

È l'Europa oggi a trovarsi minacciata e destabilizzata dall'indipendenza del Kosovo, imposta da Clinton ancora prima che da Bush. È l'Europa inoltre ad essere costretta a dover mantenere un altro staterello fantoccio dell'affarismo criminale, un Paese privo di vera autosufficienza economica, ma che già possiede quasi più banche che abitanti, e che è stato definito giornalisticamente una "Mafialand", anche se, tecnicamente, è più una "N.AT.O.land". 

È infatti la presenza delle truppe NATO a garantire in Kosovo la zona franca per le organizzazioni criminali, e non accorgersene costituisce lo stesso tipo di svista per cui in Campania si nota il potere della camorra e non le  tredici basi americane, come se queste fossero una componente del paesaggio. Il Kosovo è oggi uno specchio in cui l'Italia può intravedere molti dei suoi stessi lineamenti.

L'imprinting dei gruppi dirigenti europei è la loro incapacità di opporsi agli Stati Uniti, perciò essi devono sperare che qualcun altro lo faccia per loro, riservandosi peraltro di condannarlo ufficialmente per tanta arroganza. La situazione paradossale è che oggi pare che siano proprio i gruppi dirigenti europei a dolersi maggiormente del fatto che le minacce di intervento militare in Kosovo da parte del presidente russo Putin abbiano uno scopo puramente rituale. È molto difficile infatti che Putin si lasci davvero distrarre dai suoi obiettivi affaristici in un momento in cui i prezzi del suo petrolio e del suo gas sono alle stelle, così in Europa non vi sarà nessuno a contrastare l'ennesima offensiva colonialistica statunitense. 

28 febbraio 2008

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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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