Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
A volte le ironie del caso e le coincidenze sarcastiche esistono davvero. Negli stessi giorni in cui alla Banca d'Italia si consumava la Caduta degli Dei, con le dimissioni del Governatore Fazio, la prima rete della RAI trasmetteva in prima serata uno sceneggiato televisivo di argomento storico sui Templari, i monaci cavalieri medievali resi popolari dal romanzo/pasticcio di Dan Brown.
La soppressione dell'Ordine dei Templari da parte di Filippo il Bello, re di Francia, dimostra come anche altre volte nella Storia, nel corso delle sue faide interne, il Potere sia stato costretto a dissacrarsi. Non c'è dubbio che Filippo il Bello sia stato uno degli attori principali del processo di secolarizzazione che avviò la fine della teocrazia medievale. Il re di Francia riuscì dapprima ad umiliare il papato e ad asservirlo, e poi liquidò addirittura i Templari. La Curia di Roma e l'ordine dei monaci cavalieri Templari costituivano le principali potenze finanziarie dell'epoca, perciò, nei primi anni del XIV secolo quasi più nulla sembrava contrastare il predominio della monarchia francese.
Sennonché un nuovo potere economico e politico si stava affacciando: le banche. Nate nei Comuni dell'Italia Centrale e Settentrionale, le banche divennero nel corso del'300 le principali finanziatrici dei re e quindi della guerra. La monarchia francese rimase così invischiata nella Guerra dei Cento Anni contro la monarchia inglese. I banchieri italiani prestavano denaro ad entrambi i contendenti, dissanguandoli entrambi.
Sino a pochi decenni prima, il prestito ad interesse era ancora considerato dalla Chiesa Cattolica un peccato mortale, un atto contro natura (si veda il Canto XI de "L'Inferno" di Dante); ma i banchieri riuscirono ad imporre al papato un cambiamento ufficiale della morale religiosa.
La dissacrazione non è mai definitiva, come se il potere del denaro avesse sempre bisogno di passare per il sacro. In pochi secoli, la banca è infatti riuscita a passare da una condizione peccaminosa ad un ruolo sacrale. Alle loro banche centrali, le nazioni hanno sempre tributato una devozione esasperata sino alla venerazione.
Sino a pochi mesi fa l'opinione pubblica italiana era indotta ad onorare una sorta di casta sacerdotale: i funzionari della Banca d'Italia. Anzi, in un'Italia in cui tutti sono consapevoli della venalità dei preti, tutti erano però disposti a credere che esistessero dei sacerdoti della lira capaci di curarne le sorti per puro spirito di servizio, senza cedere ad alcuna tentazione.
La scomparsa della lira - scalzata dal marco tedesco, camuffato da euro - ha distrutto anche il carisma del suo Sommo Sacerdote, Fazio. Infatti già si parla di un nuovo Governatore della Banca d'Italia, non soltanto con un mandato a termine, ma addirittura di nomina governativa. La svolta sarebbe epocale, se si pensa che sino a ieri la nomina del Governatore della Banca d'Italia si svolgeva in un alone di mistero al confronto del quale sfigurava anche il Conclave dei cardinali.
In una Roma in cui regna un papa eletto per opera della finanza tedesca, colui che era il papa della lira - Fazio -, è caduto vittima della stessa finanza tedesca.
Il 21 dicembre Fazio, insieme con la sua famiglia, era a Piazza San Pietro ad ascoltare le parole del suo ex collega Ratzinger, che era bardato con una berretta che sembrava uscita da un ritratto rinascimentale. Forse l'ex Governatore era andato a compiere atto di sottomissione nei confronti della finanza tedesca che lo aveva appena spodestato, inchinandosi davanti al suo più prestigioso esponente oggi risiedente in Italia.
Comidad, 22 dicembre 2005
Il fatto che il governo, che ha imposto una sedicente riforma federalistica della Costituzione, sia anche lo stesso governo che ha allestito l'aggressione coloniale in Val di Susa, non costituisce una semplice coincidenza o un'ironia del caso. C'è sempre un preciso nesso consequenziale tra la realtà e la sua rappresentazione mistificata dall'ideologia dominante.
Il federalismo è una forma di unione in cui si precisano preventivamente le regole e le garanzie reciproche. Il federalismo vero è quindi un rapporto sociale comprendente tutti gli aspetti della convivenza, e non è necessariamente da ricondurre - e ridurre - alla categoria di territorio.
Il finto federalismo pubblicizzato in questi ultimi anni, punta invece sul mito dell'autogoverno locale, riducendo tutte le persone a delle identità locali e particolaristiche, cioè a componenti di un territorio, come i servitori della gleba di medievale e feudale memoria. In altre parole, la condizione di inferiorità e sudditanza viene fatta vivere con un fittizio senso di orgoglio di appartenenza.
Nel frattempo il potere centrale si assume l'onere del punto di vista generale contro la frammentazione delle ottiche locali. Nel caso della Val di Susa, il governo e i suoi manganelli pretendevano di rappresentare il "progresso" contro le resistenze localistiche.
D'altra parte, la propaganda ufficiale ha ottenuto il suo effetto, e infatti, in queste settimane, non sono mancate le solite ambiguità persino fra coloro che pur dichiaravano di sostenere la lotta degli abitanti della Val di Susa.
Mentre si affermava di comprendere le ragioni degli abitanti della Val di Susa, gli si rimproverava contemporaneamente di saper dire solo dei no e di non farsi carico delle esigenze del progresso tecnologico. Nella mente di molti sedicenti oppositori, le astrazioni purtroppo soffocano le alternative concrete e la credulità nei confronti della propaganda ufficiale viene da loro rivendicata come un distintivo di libero pensatore.
In realtà il "progresso" è solo un'utile astrazione e non una parte in causa, e tantomeno un giudice.
Oggi in Val di Susa il problema concreto è lo stesso di più di quaranta anni fa nel Vajont: chi controllerà i controllori?
Comidad, 15 dicembre 2005
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