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"Politically correct" è l'etichetta sarcastica che la destra americana riserva a coloro che evitano gli eccessi del razzismo verbale. "Politicamente corretto" è diventata la locuzione spregiativa preferita ovunque dalla destra. In un periodo in cui non c'è più differenza pratica tra destra e "sinistra", la destra rivendica almeno la sguaiataggine come proprio tratto distintivo."

Comidad
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 10/07/2008 @ 07:24:05, in Commentario 2008, linkato 1394 volte)
Il prossimo 25 luglio scadranno i termini per la raccolta delle firme per i tre referendum che propongono l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, il finanziamento pubblico ai giornali, ed anche della legge Gasparri sulle televisioni. Ancora non è chiaro se i referendum saranno ritenuti ammissibili o meno, data l’interferenza dello scioglimento anticipato del Parlamento, ma la questione più interessante riguarda piuttosto la validità degli obiettivi che vengono prospettati.
L’idea di una deregulation del giornalismo, affidato semplicemente al “mercato” dei lettori paganti, rappresenta davvero un’ipotesi realistica?
Come al solito la proposta referendaria, nel denunciare l’asservimento del giornalismo in Italia, finisce per configurare un mitico “altrove”, in cui il giornalismo starebbe svolgendo davvero un servizio informativo nei confronti dei cittadini.
Secondo gli schemi razzistici ufficialmente consolidati, questo mitico “altrove” sarebbe, ovviamente, identificabile con i Paesi anglosassoni; dove, al contrario, la libertà di informazione appare o scompare a seconda delle esigenze delle cosche affaristiche, in particolare di quelle del cosiddetto complesso “militare-industriale”. A posteriori si sono talvolta create delle leggende sull’influenza che la stampa avrebbe avuto nello screditare alcune guerre, come quella in Vietnam; in realtà, non soltanto la stampa statunitense, ma anche quella britannica, risultarono allineate al governo USA sino alla fine, prendendo le distanze dalla guerra solo quando il governo stesso decise di ritirare le truppe dal Vietnam. Storicamente, infatti, il giornalismo non nasce per servire la “opinione pubblica”, ma per formarne una compatibile con le esigenze belliche.
La miseria del giornalismo reale stimola il desiderio di un giornalismo ideale, ma questo giornalismo ideale non ha mai avuto nessun aggancio con nessuna realtà. La militarizzazione del giornalismo non è un elemento contingente o accessorio, ma qualcosa di ineliminabile dalla funzione dell’informazione/disinformazione nel quadro della guerra moderna e del colonialismo.
In altre parole, il giornalismo è sempre stato un’arma da guerra, e la sua funzione è incomprensibile al di fuori dell’intreccio militarismo/affarismo/servizi segreti. Giornali e servizi segreti sono nati addirittura insieme per funzionare come strumenti gli uni degli altri. È fuorviante quindi attirare l’attenzione sull’Ordine dei giornalisti, quando l’inquadramento più significativo che riguarda questa categoria, non è certo quello dell’ordine professionale, bensì la dipendenza dai servizi segreti, sia militari che civili.
L’occupazione militare di un territorio si basa su procedure precise, codificate ormai da due secoli. Queste procedure prevedono il reclutamento in loco, da parte delle forze militari occupanti, sia di criminali comuni che di giornalisti, i primi da usare per raccogliere informazioni vere, i secondi per affidargli la diffusione di informazioni false, atte a disorientare il nemico; un nemico nel quale viene inclusa anche, e soprattutto, la popolazione del Paese occupato.
Quando le forze militari USA giunsero a Napoli nel 1943, seguirono anch’ esse questo tipo di prassi: arruolarono sia un criminale comune come Giuseppe Navarra per la gestione dei traffici illeciti con le basi USA, sia un giornalista affermato come Curzio Malaparte per la costruzione dello scenario esotico in cui collocare le imprese di quel tipo di personaggi. Curzio Malaparte aveva già lavorato a Parigi per l’OVRA di Mussolini, e quindi poteva vantare un’esperienza sul campo da mettere al servizio dei suoi nuovi padroni. Malaparte - giornalista, spia e agente provocatore – inoltre usò a Parigi metodi e legami di criminalità comune per perseguitare gli antifascisti in esilio.
L’associare la funzione del giornalismo a quella della criminalità comune, indica perciò da parte dei militari una percezione realistica dei metodi e della psicologia di gran parte dei giornalisti. Il reclutamento dei giornalisti si fonda infatti su una selezione attitudinale che finisce per tagliare fuori tutti i soggetti dotati di scrupoli. La sensazione di trovarci di fronte ad un criminale comune risulta più evidente nel caso di un Vittorio Feltri e meno in altri, ma, se si osserva con attenzione, ci si può accorgere che nell’atteggiamento dei giornalisti vi sono delle costanti riscontrabili in generale.
Quando ci viene puntata contro una pistola, tendiamo tutti a renderci conto di essere oggetto di una minaccia; purtroppo, quando ci viene offerto un giornale - magari uno di quei giornalini quotidiani gratuiti -, la consapevolezza di essere sotto minaccia ci viene a mancare. L’informazione/disinformazione non è percepita come un’arma, e proprio questa è una delle maggiori chiavi della sua micidiale efficacia. Il complesso militare/industriale produce e vende bombe, carri armati, ecc., allo stesso modo in cui produce e vende informazione/disinformazione televisiva o stampata.
10 luglio 2008
 
Di comidad (del 03/07/2008 @ 09:05:13, in Commentario 2008, linkato 1388 volte)
Il punto qualificante del programma di governo della Lega Nord è il cosiddetto “federalismo fiscale”, cioè lo spostamento verso gli enti amministrativi locali di gran parte della esazione fiscale, comprese le imposte sul reddito e sul valore aggiunto. Il 28 giugno ultimo scorso è stato annunciato dal governo che ormai il federalismo fiscale fa parte del disegno della prossima legge finanziaria.
Ancora non è chiaro quale sia l’entità di questo spostamento, sta di fatto che, in questa fase di crisi finanziaria galoppante, si sta aprendo un nuovo sbocco affaristico, e cioè la privatizzazione della esazione fiscale, che già oggi copre la quasi totalità del prelievo a livello locale.
Non soltanto il costo delle privatizzazioni in genere ricade sempre sul contribuente, ma, in particolare, quando si privatizzano le esattorie, finisce che il fisco cessa del tutto di finanziare servizi pubblici, per convertirsi in pura fonte di profitto per le stesse esattorie private. In altre parole, si pagano tasse e imposte a totale beneficio delle esattorie. Al di là delle leggende storiche sulla nascita della borghesia, questo ceto si afferma e si consolida proprio a partire dal business esattoriale, cioè l’appalto a privati del prelievo delle tasse e delle imposte pubbliche: il fisco è oggi, come in passato, la matrice originaria del cosiddetto “capitale”.
Stabilita l’entità del business del cosiddetto “federalismo fiscale”, si comprende anche il motivo per cui, da quasi vent’anni a questa parte, la Lega Nord goda di una condizione di privilegio assoluto nell’ambito delle comunicazioni di massa. Cominciò più di quindici anni fa Gad Lerner con la trasmissione televisiva “Milano-Italia”, che costituiva una vetrina, o uno show, in cui la Lega Nord poteva esibire le sue presunte ragioni. Nel frattempo sociologi ed economisti, dalle colonne dei più “seri” giornali, si incaricavano di fornire una sorta di scenario socio-economico con cui giustificare l’ascesa del consenso della Lega: una rivolta fiscale ed antistatale dei ceti medi produttivi che rivendicavano una maggiore autonomia dalle scelte del governo centrale.
Questo scenario - o questa fiction - riuscì ad affascinare gran parte della sinistra, compresa quella di opposizione, la quale, di fronte agli slogan della retorica socio-economica, è abituata a reagire con una supina rassegnazione, in quanto ha una disposizione ad arrendersi di fronte a tutto ciò che le viene presentato come ineluttabilità dello sviluppo storico.
Il potere degli affari è in grado, attraverso i media, di creare un mondo virtuale, in cui gli affari stessi trovano giustificazione, soprattutto se sono presentati come assoluto stato di necessità.
Nessuno, che non sia un affarista, avverte il “bisogno” del federalismo fiscale, ma questo presunto bisogno può essere creato, diventare addirittura richiesta, rivendicazione, moto di opinione pubblica. Questo meccanismo, ovviamente, può funzionare solo sino ad un certo punto, poiché ogni cittadino già vive sulla propria pelle l’oppressione delle esattorie private, le loro angherie camuffate da “errori”, che si risolvono sempre nel monito “prima paga, e poi, eventualmente, reclama”.
È anche necessario perciò che i media introducano una serie di diversivi, di questioni vuote su cui dividere l’opinione pubblica, in modo da consentire alle cosche affaristiche di precisare nell’ombra termini e dettagli del loro super-business.
Nella guerra psicologica l’arma più efficace e letale che gli affaristi hanno a disposizione è sempre il razzismo. Il razzismo diviene così intrattenimento di massa.
L’opinione pubblica viene perciò indotta a trastullarsi in questo momento con la questione del prelievo delle impronte ai bambini rom, sulla “schedatura etnica”, e simili. Quanto sia pretestuosa questa diatriba, è dimostrato dal fatto che, in base alla legislazione vigente, il prelievo delle impronte digitali può essere già imposto a chiunque, che sia un Rom o meno. Di fronte alla legge, ogni cittadino è un Rom.
Il prelievo delle impronte digitali è quindi chiaramente una drammatizzazione che serve a distrarre dal problema del prelievo fiscale, che è quello che sta davvero a cuore alle cosche affaristiche ed al governo che ne costituisce l’agenzia.
Smascherare questo paradosso propagandistico - per il quale una sedicente “rivolta fiscale” sta portando ad un ulteriore aumento del prelievo fiscale a beneficio delle esattorie private -, non è certo facile. La retorica dell’autogoverno locale ha permeato molte argomentazioni della stessa opposizione, sempre troppo pronta a cavalcare quelli che vengono fatti apparire come movimenti spontanei, generati da una mitica “società civile”.
3 luglio 2008
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


19/03/2024 @ 12:35:30
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