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"La privatizzazione è un saccheggio delle risorse pubbliche, ma deve essere fatta passare come un salvataggio dell’economia, e i rapinati devono essere messi nello stato d’animo dei profughi a cui è stato offerto il conforto di una zuppa calda. Spesso la psico-guerra induce nelle vittime persino il timore di difendersi, come se per essere degni di resistere al rapinatore fosse necessario poter vantare una sorta di perfezione morale."

Comidad (2009)
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 19/08/2008 @ 14:10:49, in Commentario 2008, linkato 1397 volte)
Per una curiosa ricorrenza storica, l’invasione russa della Georgia è andata a coincidere con il quarantennale dell’invasione sovietica di Praga, avvenuta nell’agosto del 1968. La liberazione della Cecoslovacchia dal giogo sovietico, ha fatto sì che, anzitutto, la stessa Cecoslovacchia non esista più, sostituita da due staterelli-fantoccio degli Stati Uniti, di cui uno, la Cekia, è già una base NATO, mentre l’altro, la Slovacchia, si appresta a diventarlo. L’arruolamento dei Paesi ex-realsocialisti nella NATO, è avvenuto peraltro contravvenendo a solenni impegni presi dagli Stati Uniti nei confronti di Gorbaciov, quando questi sciolse l’impero sovietico. L’industria meccanica di cui, sin dagli anni ’20 e ’30, la Cecoslovacchia andava fiera, era di proprietà pubblica da molti decenni prima del dominio sovietico e del “socialismo reale”, mentre oggi è privatizzata a favore di multinazionali americane e tedesche. Oltre alla Germania Est - che peraltro era la parte della Germania meno industrializzata anche ai tempi di Hitler -, la Cecoslovacchia era l’unico Paese del blocco sovietico che potesse vantare un’antica tradizione industriale, mentre Polonia, Ungheria, Romania e Bulgaria prima del socialismo reale avevano un’economia da terzo mondo, basata su monocolture agricole per l’esportazione; quindi l’attuale colonizzazione economica costituisce per l’ex Cecoslovacchia una condizione particolarmente umiliante. Anche il prestigio morale ed intellettuale della Cecoslovacchia si è vanificato da quando il drammaturgo Vàclav Havel, da presidente della Cekia, divenne il cantore e l’apologeta dei bombardamenti americani, da lui indicati come un luminoso esempio pratico di supremazia dell’etica sulla politica.
Questo quarantennale cade perciò in un momento in cui l’inesausto battage della propaganda anticomunista trova sempre meno credito, ed anzi si deve confrontare, anche all’interno dei Paesi dell’ex-blocco sovietico, con una sorta di nostalgia dell’Unione Sovietica; ovviamente non dell’Unione Sovietica in quanto tale, ma del contrappeso che le sue armi e la sua proprietà pubblica costituivano nei confronti dello strapotere e della prepotenza delle multinazionali.
Pare che la vampata militaristica russa stia provocando nostalgia anche fra i gruppi dirigenti della “vecchia Europa”, che sperano di riacquisire un ruolo di mediazione che era stato soffocato dalla prepotenza statunitense e dall’inerzia russa. Nei giorni scorsi Sarkozy - presidente francese e presidente di turno dell’Unione Europea - ha potuto finalmente fingere di servire a qualcosa, attivandosi per un accordo per il cessate il fuoco tra Russia e Georgia.
Questo atteggiamento europeo non costituisce una sorpresa, poiché era da tempo che i gruppi dirigenti europei speravano di essere “salvati” da Putin. Di tutto questo, dalla propaganda ufficiale, sempre rigorosamente filo-americana, è filtrato pochissimo, poiché le speranze europee vengono covate nel silenzioso timore di irritare gli USA.
La propaganda ufficiale ci parla di un Putin “nuovo zar” che mediterebbe ambizioni neo-imperiali. Se davvero Putin cova di queste ambizioni, allora le ha nascoste sinora molto bene, perché la precisa sensazione è sempre stata che gli affari fossero la sua prima preoccupazione. La realtà è che, se non fosse intervenuto militarmente in Georgia, Putin avrebbe rischiato di essere abbattuto da un colpo di Stato militare, poiché la ex-Armata Rossa non avrebbe tollerato che l’accerchiamento statunitense nei confronti della Russia si chiudesse.
Le due forze in campo in Russia sono l’ex KGB, riconvertitosi nella compagnia commerciale Gazprom, attuale roccaforte dell’affarismo, e la ex Armata Rossa; e questi due costituivano i poteri in concorrenza già nella vecchia Unione Sovietica, poteri che si confrontavano sotto la facciata del guscio ormai vuoto del Partito Comunista. Dopo la sconfitta ed il discredito subiti in Afghanistan, l’esercito ha dovuto lasciare campo libero ai “riformatori” del KGB, ansiosi di fare affari con il petrolio e, soprattutto, con il gas di cui abbonda il sottosuolo russo. Abbandonato il vecchio e costoso impero in nome della conversione al culto del denaro, la Russia oggi annovera molti fra gli uomini più ricchi del mondo, a fronte di una popolazione impoverita e priva di garanzie.
Mentre negli USA, il militarismo e l’affarismo costituiscono un intreccio inestricabile che procede come un’unica entità, in Russia invece i due poteri sono ancora separati e spesso in contrasto. Nonostante che la Russia costituisca ancora uno dei maggiori produttori ed esportatori di armi, queste non costituiscono l’affare principale, come avviene negli USA; anzi in Russia un militarismo troppo accentuato disturberebbe gli affari del petrolio e del gas. Ogni Paese dell’Est Europa che rientrasse nell’orbita russa, lo farebbe inoltre solo a patto di ritornare alle antiche condizioni di favore nella vendita di petrolio e gas, e questo desiderio si sta facendo strada in questi Paesi massacrati dalle privatizzazioni dell’economia e dalle cleptocrazie imposte dagli Stati Uniti.
Nel 2004 Putin dovette cedere alle pressioni dei militari e sperimentare il nuovo missile intercontinentale Topol M - denominato SS-27 nel codice NATO -, un supermissile che può essere lanciato da rampe mobili, che, dopo quattro anni di produzione e gli ultimi testi del 2007 e del 2008, conferisce nuovamente alla Russia la superiorità strategica in campo nucleare. Forte di questa superiorità missilistica, ora l’esercito sovietico ha nuovamente gettato il suo peso sulla bilancia del potere russo e del potere mondiale.
Ciò che sta accadendo perciò non riguarda un presunto confronto fra Putin e l’Occidente, ma è soprattutto l’effetto di uno scontro interno alla Russia, con il riaffacciarsi di un esercito in cui l’affarismo dominante incontra critiche dettate da motivazioni molto varie: velleità neoimperiali, ma anche un nazionalismo tradizionalistico alla Solgenitsin, suggestioni terzomondistiche, ma anche posizioni anticolonialistiche e socialiste.
Era già successo nel Portogallo del 1974, che l’esercito diventasse l’unica sede di dibattito politico e si radicalizzasse in senso socialista ed anticolonialista, in quel caso evolvendosi nel confronto con le lotte di liberazione. Anche in Russia l’esercito e la marina militare stanno diventando un luogo di confronto politico, che coinvolge sia ufficiali che sottoposti, e ciò, curiosamente, coincide con quanto avvenne nella stessa Russia agli inizi del ‘900, con i tentativi rivoluzionari del 1905, del febbraio del 1917 e del 1920.
20 agosto 2008
 
Di comidad (del 28/08/2008 @ 09:09:13, in Commentario 2008, linkato 1245 volte)
La guerra in Georgia ha costituito un indiretto insuccesso militare degli Stati Uniti, che è stato interpretato da alcuni come un segno significativo del declino americano, cosa che, sempre secondo alcuni, potrebbe favorire uno sganciamento dell’Europa dal dominio USA.
Non c’è dubbio che la vittoria russa in Georgia abbia incontrato una malcelata simpatia nei gruppi dirigenti europei, stanchi dei soprusi statunitensi ed ansiosi di ritrovare un margine di manovra tramite il contrappeso russo. Il problema è però che il dominio americano non rappresenta un semplice riflesso della potenza militare ed economica degli USA. Anzi, sin dal 1946 - anno di inizio di ciò che è impropriamente definito “impero americano”- le difficoltà incontrate dagli Stati Uniti per realizzare i propri progetti di dominio globale sono risultate sempre più evidenti.
La storia militare statunitense di questi ultimi sessanta anni è, infatti, più una storia di insuccessi militari che di vittorie. Già prima delle sconfitte nella guerra di Corea, i marines americani diedero prove disastrose sul terreno quando accorsero in appoggio di Chiang Kai-shek nella guerra civile cinese, che vide poi la vittoria dei comunisti di Mao Tse Tung.
Fu nella guerra di Corea che il comandante in capo delle forze USA e ONU, Mc Arthur, inventò la formula propagandistica per la quale gli eroici soldati statunitensi venivano defraudati della vittoria dai loro pavidi dirigenti politici, timorosi di vincere davvero la guerra.
Questo tipo di propaganda vittimistica fu utilizzato poi massicciamente durante la guerra del Vietnam e negli anni successivi a quella guerra. Il vittimismo militare americano costituì infatti l’oggetto di famosi film come “Apocalypse Now”, in cui un pelato Marlon Brando pronunciava un monologo in cui attribuiva la sconfitta in Vietnam all’incapacità americana di emulare i Vietnamiti in fatto di crudeltà, e si richiamava ad un episodio in cui i Vietcong avrebbero tagliato un braccio a dei bambini loro connazionali, colpevoli di essersi lasciati vaccinare dai soccorrevoli soldati americani; questo episodio di crudeltà dei Vietcong non ha nessun riscontro in nessuna delle cronache dell’epoca, perciò costituisce una pura invenzione, anche se, grazie all’impatto del film, ha assunto la consistenza di un fatto realmente accaduto.
Gli Stati Uniti hanno quindi costruito una propaganda che aveva il preciso scopo di dissimulare i limiti della loro potenza militare, attribuendo le sconfitte ad un eccesso di scrupoli morali. Tutto il dibattito imposto dalla propaganda americana è sempre infarcito di dilemmi morali, dilemmi tanto più fasulli dal momento che sono dei criminali in servizio permanente effettivo a proporli. Del resto non si capisce quali scrupoli morali oggi si stiano facendo le truppe ed i mercenari statunitensi in Iraq ed in Afghanistan.
Il dominio statunitense non è quindi legato esclusivamente o principalmente alla potenza militare, ma soprattutto all’alleanza organica con i reazionari di tutto il mondo. In Europa la reazione ha sognato l’America sin dagli inizi del ‘900 e, dalle pagine del “Mein Kampf”, si apprende che Hitler non faceva eccezione. La propaganda statunitense inventa ogni giorno un “nuovo Hitler”, però quello originale era un filo-americano.
Nel 1946 le oligarchie europee sono diventate “americane” non per il timore di un’Unione Sovietica prostrata dalla guerra, ma per timore dei loro operai. Un avvenimento del 1946 di cui pochi storici si sono occupati - ad esempio: Joyce e Gabriel Kolko - riguarda l’esperienza dei consigli operai nella Germania Est. Questa parte della Germania era stata da sempre la meno industrializzata e, nello stesso periodo, la Germania Ovest deteneva l’ottanta per cento dei suoi impianti industriali ancora intatti, poiché in gran parte di proprietà di multinazionali americane, e infatti i bombardamenti USA si erano concentrati soprattutto sulle abitazioni civili e sulle città d’arte come Dresda.
Nonostante questa inferiorità in fatto di impianti industriali, la Germania Est superò nel corso del 1946 la produzione dell’Ovest, dimostrando che i consigli operai costituivano un’alternativa non solo in termini di giustizia, ma anche di efficienza. Per un certo periodo, Stalin non si oppose all’esperienza dei consigli a causa dell’impellente bisogno di prodotti industriali da parte della Russia. Quando gli operai di Berlino Est nel 1953 tentarono di riproporre quell’esperienza, la risposta del potere fu invece una brutale repressione.
L’esperienza dei consigli operai è stata screditata anche a causa dell’apologetica dei consiliaristi e dei situazionisti, che li hanno proposti come un improbabile modello di potere assoluto; in realtà la loro validità si dimostrò proprio nel determinare una spinta sociale a cambiamenti molto più vasti e profondi, cosa che determinò il terrore nelle oligarchie europee, che si dimostrarono pronte ad inchinarsi agli USA purché li difendessero da questa prospettiva.
Il piano Marshall è presentato nei libri di storia come una grande prova di generosità americana, mentre in realtà costituì un finanziamento governativo alle esportazioni statunitensi; ma la cosa più rilevante è che esso fu accompagnato dalla imposizione di una serie di stretti vincoli alla spesa pubblica dei Paesi europei che determinarono una terribile depressione e una disoccupazione di massa. Con il piano Marshall arrivarono in Europa anche le basi militari americane e, nel 1949, la NATO. Le basi americane e NATO per le oligarchie europee sono come tanti baluardi antioperai sparsi sul territorio, veri e propri templi dell’antioperaismo.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


19/03/2024 @ 03:33:36
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