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"Il Congresso nega nel principio il diritto legislativo" "In nessun caso la maggioranza di qualsiasi Congresso potrà imporre le sue decisioni alla minoranza"

Congresso Antiautoritario Internazionale di Saint Imier, 1872
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 03/12/2009 @ 01:28:30, in Commentario 2009, linkato 1899 volte)
La settimana scorsa la Lega Nord ha condotto in parlamento una messinscena che gli è consueta: una proposta di legge che poneva illegittimamente dei limiti temporali alla possibilità per i lavoratori immigrati di accedere alla cassa integrazione, è stata successivamente ritirata dalla stessa Lega dopo le prevedibili reazioni contrarie e le rituali accuse di razzismo. La Lega Nord ha comunque incassato il risultato che si proponeva: farsi passare come la sola forza politica che si oppone all’ondata migratoria, anche se talvolta deve arrendersi davanti alle schiere dei cultori della “accoglienza”.
È un gioco delle parti ormai annoso, in cui tutti gli attori hanno le proprie battute assegnate in anticipo, in cui la lega ha sempre buon gioco, poiché la vecchia obiezione che “anche gli Italiani sono stati emigranti” comincia a perdere colpi, in conseguenza dell’ovvia osservazione che gli emigranti italiani non avevano mai potuto beneficiare di alcuna pratica di “accoglienza”. Lo stesso vale per l’altra obiezione, secondo la quale “gli immigrati svolgono i lavori che gli Italiani non vogliono più fare”, dato che risulta ora evidente che la concorrenza fra residenti e immigrati si verifica sulle stesse offerte di lavoro; ormai la concorrenza è persino fra accattoni residenti ed accattoni immigrati. Inoltre intere zone industriali storiche del settore tessile sono passate in pochi anni sotto il controllo cinese: per il caso di San Giuseppe Vesuviano si può dare la colpa alla solita camorra, ma per Prato come lo si spiega?
L’antirazzismo intanto arretra sul terreno della propaganda, poiché diviene sempre più esigente, sino a pretendere di imporre come norma sociale una generosità spinta agli estremi dell’eroismo, e la pretesa di educare e correggere diviene spesso incentivo a reazioni più scomposte e sguaiate di prima. Sono reazioni scontate, poiché l’educazionismo progressista è diventato una sorta di criminalizzazione della società, che risulterebbe composta da xenofobi, omofobi, bulli, stupratori - singoli o in branco -, pedofili, camorristi, ecc. ecc., tutti da redimere e ricondurre al retto pensiero. Per fortuna pare che ci siano molti che si fanno carico di ricoprire più ruoli, altrimenti il numero di soggetti da redimere supererebbe quello degli abitanti del pianeta. Purtroppo questa contrapposizione propagandistica tra buonismo e cattivismo crea due alternative fittizie, che riconducono entrambe alla rappresentazione ufficiale.
Il problema è che questa rappresentazione poggia tutta su un falso, cioè sull’immagine di un fenomeno migratorio sostanzialmente spontaneo, dovuto a una somma di scelte individuali dettate dal bisogno, che poi assume dimensioni di massa. In tal modo si fa perdere di vista il rapporto consequenziale tra finanziarizzazione ed emigrazione. Non si emigra volontariamente, per quanto sotto l’urgenza del bisogno, ma perché si è indebitati e bisogna pagare il debito contratto in patria con agenzie finanziare di credito ai consumi. Non si emigra perché si è poveri, ma perché si è poveri e indebitati, e perché lo stesso creditore ti pone come soluzione, per riuscire a pagare il debito, la “scelta” dell’emigrazione.
L’immagine dei Paesi sottosviluppati che viene fatta passare agli occhi dell’opinione pubblica è quella di un mondo tradizionale e ancorato a forme arretrate di produzione; quindi un falso sul falso, dato che quasi ovunque sono i gruppi affaristici multinazionali ad imporre le regole del commercio, della produzione e della finanza. Il Fondo Monetario Internazionale ordina ai governi di comprimere il costo del lavoro e lasciar entrare le agenzie finanziarie di credito al consumo, in modo che i lavoratori, per poter accedere anche a consumi essenziali, siano costretti ad indebitarsi. Qualunque governo cerchi di sottrarsi alle imposizioni del FMI, finisce immancabilmente nella lista dei Paesi sotto sanzioni economiche e nel mirino delle Organizzazioni Non Governative per la difesa dei diritti umani (i diritti umani delle multinazionali, ovviamente). La finanziarizzazione dei consumi, cioè la sostituzione del salario con il credito, dimostra che per il sedicente "capitalismo" - in realtà affarismo criminale assistito dallo Stato - la miseria non è uno spiacevole effetto collaterale, ma un obiettivo preciso, uno schema fisso e ricorrente, poiché lo sfruttamento della povertà costituisce il più comodo e sicuro dei business.
Anche in Italia questo quadro di indebitamento a tappeto della popolazione è diventato familiare, ed accade oggi ciò che solo dieci anni fa appariva impensabile, cioè risultano indebitati con le agenzie finanziarie persino i titolari di pensioni sociali.
Un altro falso, ancora più insidioso, riguarda le effettive modalità dell’ingresso dei clandestini, legate nell’immaginazione comune a quella crudele, e spesso cruenta, rappresentazione delle barche di disperati che cercano di giungere in territorio italiano. Centinaia di persone sono mandate allo sbaraglio, e talvolta sacrificate, per alimentare l’inganno contenuto nelle dichiarazioni ufficiali, che cercano di far credere che le autorità contrastino le orde dei disperati del mondo che bussano alla porta del “florido” Occidente. Ancora una volta si deve constatare che l’immigrazione cinese non corrisponde a questo schema narrativo, dato che è palese che i cinesi non siano entrati in barca e ce ne siano molti di più di quanto i visti turistici possano giustificare; ma la spiegazione sinora non è mai andata oltre la barzelletta secondo cui i cinesi non muoiono mai.
Da tempo in realtà si è consapevoli che gli immigrati non sbarcano sulle spiagge italiane, ma entrano per gli scali dei porti, passando per le banchine soggette a servitù militare NATO o USA, quindi sotto la copertura del segreto militare. Nel Porto di Napoli più della metà delle banchine sono sotto la giurisdizione statunitense, che, in base ai Trattati, non deve rendere conto all’autorità italiana. Del resto il controllo di tante banchine da parte della U.S. Navy non ha alcuna giustificazione militare, e costituirebbe un costoso nonsenso se non vi fossero i traffici illegali - eroina, cocaina, immigrati - a motivare il tutto. Negli anni ’70 e ’80, prima dell’abolizione del monopolio statale dei tabacchi, da quelle stesse banchine del Porto di Napoli transitavano migliaia di tonnellate di sigarette di contrabbando: anche allora, per dissimulare la verità, si era messa in piedi la leggenda dei motoscafi blu dei contrabbandieri di Santa Lucia, di cui si narrava che sfidassero le onde per andare a fare carico presso navi ancorate al largo, oltre le acque territoriali. In quel periodo i gruppi dell’Autonomia Operaia avevano elevato i contrabbandieri al rango di moderni Robin Hood, in nome del mito di una illegalità che sorge dal basso per contrastare l’ordine costituito dei potenti e dei benpensanti. In realtà i veri benpensanti erano quelli dell’Autonomia Operaia, che non riuscivano ad immaginare che l’illegalità su larga scala la possono organizzare solo i potenti.
È bastato alla propaganda ufficiale presentare la cosiddetta “globalizzazione” come una “nuova sfida” perché gran parte del mondo “progressista” si calasse le brache, ritenendo proprio dovere non sottrarsi al confronto con la presunta novità. Sennonché l’attuale sistema del commercio internazionale “globale” si fonda sullo stesso assetto giuridico su cui sono nate le prime Compagnie Commerciali Privilegiate agli inizi del ‘600, in cui i trattati commerciali coprivano la realtà del monopolismo commerciale con fittizi slogan sul libero scambio, ed in cui i governi “occidentali” offrivano alla pirateria ed alla tratta degli schiavi sia patenti che coperture legali, e persino esenzioni fiscali. Il rilancio in grande stile del traffico degli esseri umani è appunto un ritorno ai tempi più bui delle Compagnie Commerciali, che sono le antenate delle attuali Multinazionali, specializzate da sempre in questa commistione di legalità ufficiale e illegalità sostanziale.
Il mito fuorviante dell’illegalità che sorgerebbe dal basso, trasforma invece l’attuale immigrato clandestino in un soggetto che, per quanto disperato, sarebbe comunque dotato di un alone trasgressivo, un mito che copre la sua reale condizione di deportato e di sequestrato a "piede libero", privato dei documenti e quindi controllabile in ogni momento dai trafficanti. Se la Lega Nord volesse davvero limitare l’immigrazione illegale, si batterebbe per la regolarizzazione immediata dei clandestini; una regolarizzazione che li sottrarrebbe al controllo delle organizzazioni del traffico di esseri umani, e darebbe loro anche la concreta possibilità di un ritorno in Patria. Ma la Lega Nord non vuole affatto questo, anzi usa la propaganda xenofoba come una forma di terrore per tenere vincolati gli immigrati alle organizzazioni che li sfruttano. È quindi una xenofobia in funzione dell’affarismo criminale.
La libertà della “Padania” non prevede infatti che questa sia liberata dalle basi militari straniere, che occupano il territorio usandolo per ogni tipo di traffico illegale, compreso quello degli immigrati clandestini.
 
Di comidad (del 26/11/2009 @ 01:43:55, in Commentario 2009, linkato 1482 volte)
Il maggiore quotidiano di “opposizione”, “La Repubblica”, ci ha fatto immediatamente capire da che parte stia sulla questione della privatizzazione dell’acqua, allorché, il giorno dopo l’approvazione del decreto legge di privatizzazione da parte del senato, ha dedicato il titolone di prima pagina alla vicenda dell’estradizione o meno di Cesare Battisti dal Brasile. Il terrorismo, o presunto tale, rappresenta da sempre per la disinformazione ufficiale il principe dei diversivi, così “La Repubblica” ha indicato chiaramente ai propri lettori quali siano le sue vere priorità.
Comunque si può esser certi che in futuro i dibattiti mediatici sulla privatizzazione dell’acqua non mancheranno, dato che non c’è nulla, come il “dibattito”, che consenta di trasformare tutto in scontro di opinioni, per cui, alla fine, un’opinione varrà l’altra. In particolare sarà interessante osservare il modo in cui affronterà il tema la cosiddetta “informazione alternativa” alla Santoro o alla Gabanelli, magari in trasmissioni che si faranno passare come contrarie alla privatizzazione. Un bel collegamento con Sandro Ruotolo, inviato in qualche sperduto paesino della sperduta Calabria, da dove una folla di cittadini scomposti e vocianti si lamenterà di essere da decenni senz’acqua, nonostante che da loro l’acqua sia pubblica, perciò qualche cittadino griderà, con il suo accento esotico, “ben venga la privatizzazione, se servirà a portarci l’acqua”. Lo spettatore progressista, educato al razzismo antimeridionale, constaterà ancora una volta che razza di reazionari sono i meridionali, mentre in studio, il povero Alex Zanotelli, ospite della trasmissione in quanto attuale alfiere dell’anti-privatizzazione, si troverà incastrato, costretto a prendere atto che il “popolo” non è con lui. A perfezionare la mistificazione, il giorno dopo i soliti portavoce del governo accuseranno Santoro di essere un “fazioso” e ne chiederanno ancora una volta la rimozione.
Qui non si tratta di profezie o di ritorni da viaggi nel futuro, ma semplicemente di copioni già visti. La drammatizzazione mediatica svolge appunto la funzione di sdrammatizzare le alternative, così che, in questa discussione fine a se stessa, anche le denunce degli anti-privatizzatori verranno usate come un rumore di fondo utile a creare assuefazione ed a far passare come “normale” il monopolio privato dell’acqua. Il dibattito democratico serve appunto ad insegnarti che se di una cosa puoi discutere tanto, in fondo quella cosa non è poi così importante. Insomma, se il movimento contrario alla privatizzazione dell’acqua vuole arenarsi, la via maestra è proprio quella di impantanarsi nella palude del dialogo con le finte opposizioni. Il punto è che i privatizzatori non hanno bisogno di convincere che il privato sia meglio del pubblico, ma gli basta far credere che le due scelte siano sullo stesso piano, i disservizi del pubblico da una parte e i disservizi del privato dall'altra; se poi si riesce ad insinuare l'idea che lo Stato non ha i soldi per riparare le condotte idriche e che quindi la privatizzazione costituisce uno stato di necessità, allora è fatta. In realtà lo Stato che non tira fuori i soldi per riparare le condotte, è poi lo stesso Stato pronto a dare ai privati i soldi per gestire il business dell'acqua. Finché la banale evidenza che le privatizzazioni le paga il contribuente non sarà al centro della discussione, ogni dibattito sarà sempre indirettamente a favore delle privatizzazioni.
Mentre le trasmissioni di Santoro sul tema acqua ce le dobbiamo per il momento immaginare, già sappiamo invece come la pensa la Gabanelli, che si è occupata della privatizzazione dell’acqua il 22 novembre, spostando la discussione sulla democrazia ideale, propinandoci perciò una lamentela sul parlamento umiliato dall’abuso dei decreti legge. Ma se è vero che per privatizzare l’acqua il governo ha agito con uno dei suoi soliti colpi di mano, è altrettanto vero che l’opposizione non ha fatto ricorso a nessuno degli espedienti regolamentari per rallentare il decreto.
Il Partito Democratico ha avuto poi la faccia tosta di presentare come un parziale risultato il fatto di aver ottenuto una dichiarazione di principio secondo cui l’acqua rimane un bene pubblico. Il falso è smaccato, dato che questa astratta dichiarazione si trovava già nell'articolo 23bis della Legge 133/2008 del ministro Tremonti, il quale, obbedendo alla direttiva del Fondo Monetario Internazionale, aveva posto le basi della privatizzazione lo scorso anno; e inoltre in nessun Paese in cui l’acqua in precedenza era stata privatizzata si è affermato che l’acqua in quanto tale fosse data ai privati, ma solo la sua distribuzione. D’altro canto, se raccogli un secchio d’acqua piovana per irrigare il tuo orticello, stai violando il monopolio della distribuzione dell’acqua, al quale si attribuisce anche la funzione di tutela della igiene pubblica, minacciata dal tuo secchio, forse infetto. Infatti nei Paesi dell’America Latina in cui la distribuzione dell’acqua era stata privatizzata a favore delle multinazionali, risultava proibito persino raccogliere acqua piovana. Tra l’altro in questi Paesi si sono svolte - e ancora si svolgono - lotte durissime per tornare agli acquedotti pubblici.
Da parte del PD è mancata l’osservazione più ovvia, e cioè che sarebbe impossibile per i Comuni privatizzare gli acquedotti rimanendo nella legalità, perché anche il più fatiscente degli acquedotti costituisce comunque una infrastruttura di un valore tale che risulterebbe impensabile per qualsiasi privato, compresa una multinazionale, di poterla acquistare ad un prezzo congruo. Anche solo il mantenimento in efficienza di una tale infrastruttura comporta costi talmente proibitivi che nessun privato sarebbe interessato ad acquisirla in quanto tale.
Non sarebbe possibile vendere regolarmente gli acquedotti, ma è possibile solo rubarli. Il furto viene perciò perpetrato attraverso l'inghippo di privatizzare la gestione della distribuzione mantenendo pubblica la rete, ovvero lo Stato e i Comuni tirano fuori i soldi per mantenere le infrastrutture in quanto ne sono proprietari, mentre il privato incamera i profitti. Quindi la funzione del privato è esclusivamente parassitaria e illegale. Quella norma che il PD ha presentato come un suo successo costituisce la base di tutto l'inganno: la rete idrica rimane pubblica, cioè a spese del contribuente, mentre le crescenti bollette degli utenti verranno pagate ad un privato che non tira fuori un soldo per mantenere in efficienza gli acquedotti. E queste non sono ipotesi, ma la cronaca di quanto accaduto laddove la gestione idrica sia stata privatizzata, come ad Arezzo.
Il PD, come anche “La Repubblica”, rappresenta interessi affaristici favorevoli alle privatizzazioni, dato che le imprese organizzate nella Lega delle Cooperative non vedono l’ora di partecipare alla spartizione delle infrastrutture idriche ed al relativo business. Sia la Lega delle Cooperative che la Compagnia delle Opere - legata a Comunione e Liberazione - agognavano da anni di partecipare all’affare, anche se sanno in anticipo che la parte del leone la faranno le multinazionali.
Si ricorre spesso al luogo comune secondo il quale ci sarebbe da una parte un capitalismo “cattivo” delle banche e delle multinazionali, e dall’altra parte un capitalismo “dal volto umano”, composto dallo sforzo produttivo di tanti piccoli e medi imprenditori. In effetti non esiste nessun “capitalismo”, né buono né cattivo, ma solo un affarismo privato assistito dallo Stato; ed all'interno di questo affarismo si verificano diversi gradi di capacità di vampirizzare la spesa pubblica. Quindi in democrazia esiste un partito unico degli affari, che non prevede l’esistenza di vere opposizioni.
La piccola e media impresa organizzata è una sanguisuga della spesa pubblica, e non a caso oggi la piccola e media impresa organizzata, tramite il controllo che esercita sui dipendenti, costituisce il maggiore serbatoio di voto organizzato a disposizione del sistema politico. Il fatto che la piccola e media impresa sia spesso vittima della prepotenza delle multinazionali e delle banche, non elimina questo dato di fondo. È vero che la piccola e media impresa può avere interesse ad uno sviluppo del mercato interno, e quindi non opporrà mai ai miglioramenti salariali e normativi dei lavoratori degli ostacoli paragonabili a quelli delle multinazionali, che esigono il costo del lavoro più basso possibile. È però altrettanto vero che la piccola e media impresa organizzata obbedisce allo stesso richiamo della foresta delle multinazionali, e quindi non vuole rimanere fuori del paradiso delle privatizzazioni.
La faccia pacioccona di un Bersani, la sua “comprensione” pelosa verso i diritti del lavoro, non devono far dimenticare che, quando si tratti di privatizzare, egli sarà sempre complice e battistrada delle multinazionali, anche se si tratta di partecipare solo alle briciole dell’affare.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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