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"Propaganda e guerra psicologica sono concetti distinti, anche se non separabili. La funzione della guerra psicologica è di far crollare il morale del nemico, provocargli uno stato confusionale tale da abbassare le sue difese e la sua volontà di resistenza all’aggressione. La guerra psicologica ha raggiunto il suo scopo, quando l’aggressore viene percepito come un salvatore."

Comidad (2009)
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 20/01/2011 @ 01:38:13, in Commentario 2011, linkato 2416 volte)
La dignità dei poveri risulta molto più irritante dell'arroganza dei ricchi. E così il rifiuto della stragrande maggioranza degli operai di subire il ricatto di Marchionne, per i media e per i politici, non deve essere considerato come manifestazione di dignità, ma va catalogato come espressione di "disagio". Ecco la nuova parola d'ordine antioperaia lanciata dal sindaco di Torino, Chiamparino, per minimizzare e umiliare: "disagio".
Un Marchionne sempre più berlusconizzato ha dovuto addirittura ricorrere nelle ultime ore alla compravendita dei voti dei colletti bianchi per evitare un tracollo al referendum e poter realizzare la sua "svolta storica"; espressione che, nel lessico della propaganda, indicava il suo obiettivo di seppellire il contratto collettivo. In realtà la "svolta storica" non c'è stata, poiché, dato il risultato referendario si è dimostrato non solo che la FIOM possiede una tenuta imprevista, ma che gli operai sono in grado di capire quando vengono presentate carte truccate.
L'effetto a valanga paventato dal segretario del Partito Democratico, Bersani, in seguito al cosiddetto "accordo" di Mirafiori, per il momento, non ci sarà, e quindi la destabilizzazione del quadro delle relazioni industriali, voluta da Marchionne, sembra rimandata a data da destinarsi. A differenza degli incompetenti Fassino, D'Alema e Veltroni, invece Bersani ha dato segno di essersi accorto che l'abolizione del contratto collettivo avrebbe penalizzato le piccole e medie imprese, consegnandole alle pressioni illecite dei sindacati gialli e malavitosi controllati dalle multinazionali. Dove non ci sia la contrattazione collettiva, non è possibile l'esistenza di una piccola/media impresa autonoma dalle multinazionali; perciò per la Lega delle Cooperative sarebbe stato un disastro, e quindi anche per la base economico/finanziaria del PD.
Se non altro Bersani poteva esprimere, se non gratitudine, almeno rispetto per gli operai di Mirafiori che avevano indirettamente salvato anche i suoi personali interessi dal saccheggio coloniale delle multinazionali. Macché! L'antioperaismo costituisce un dogma ideologico che non consente pentimenti o ripensamenti.
Passato il referendum, Bersani ha abbandonato il suo finto "equidistantismo" e si è messo a plaudire servilmente al presunto rilancio dello stabilimento di Mirafiori, di cui invece la sola cosa sicura che si sa, è che sarà utilizzato solo per il mero assemblaggio di pezzi prodotti dalla Chrysler, con gli ovvi costi del trasporto. Si tratta di un dato che fa pensare più ad un destino di chiusura per Mirafiori che ad un suo rilancio. Sembra proprio che Marchionne non solo non abbia rinunciato alla delocalizzazione in Serbia degli impianti italiani della FIAT, ma che pensi di portarsi dietro in cordata anche una serie di piccole/medie imprese italiane rimaste orfane dell'ombrello confindustriale.
Nelle sue dichiarazioni del dopo-referendum, Bersani non ha esitato poi a contraddirsi senza ritegno. Da un lato il segretario PD ha contestato al governo di non aver mai convocato Marchionne per prendere finalmente visione del suo fantomatico piano industriale; dall'altro lato ha espresso soddisfazione per l'arrivo del leggendario investimento di un miliardo di euro da parte dello stesso Marchionne. Ma se il piano industriale di Marchionne non l'ha ancora visto nessuno, chi ci assicura che il miliardo di investimenti esista realmente? Se veramente la posta in gioco fosse stata un investimento del genere, allora come mai tutto il cosiddetto "accordo" risulta calibrato esattamente sugli impianti di Mirafiori così come sono attualmente?
Un "accordo" per il pieno utilizzo nei prossimi anni degli impianti già esistenti, non può preludere ad un rilevante investimento, semmai lo esclude del tutto. Certo, se Marchionne non mostra mai i piani, allora anche la sostituzione di qualche bullone potrà essere spacciata per investimento, tanto i media sono dalla sua parte. Marchionne mesi fa suscitò scalpore con la sua proterva esibizione alla trasmissione "Che tempo che fa?", ma adesso la storia del suo miliardo potrebbe finire a "Chi l'ha visto?".
Mentre il miliardo di investimenti rimane avvolto nei miti e nelle nebbie della propaganda mediatica, gli stessi media tengono ai margini la notizia concreta e reale della cassa integrazione straordinaria a Mirafiori per tutto il prossimo anno. Non si tratta solo dell'effetto di distrazione di massa dovuto alle ultime vicissitudini giudiziarie del Sardanapalo di Arcore, ma di una strategia mediatica che pone in evidenza esclusivamente ciò che fa comodo a Marchionne. Che poi Marchionne si atteggi anche a vittima ed attribuisca a sua volta il risultato della FIOM ad "una accorta strategia mediatica" contro di lui, conferma appunto il berlusconismo del personaggio, che non si accontenta di monopolizzare la scena, ma pretende un unanimismo assoluto. Ora Marchionne minaccia di estendere il cosiddetto "accordo" di Mirafiori anche a Melfi e Pomigliano, il che, se i dati hanno un senso, vorrà dire cassa integrazione anche lì. A smentita di quanto falsamente dichiarato al TG La-7 dal sindaco di Firenze, il massoncino carrierista Matteo Renzi, infatti Marchionne non soltanto non sta tirando fuori un soldo, ma continua tranquillamente ad incassare fondi pubblici dall'INPS, che è diventato l'ente assistenziale per i padroni, poiché la cassa integrazione consente loro di risparmiare sul costo del lavoro sfruttando maggiormente i lavoratori rimasti in fabbrica. Marchionne, nella sua smisurata arroganza, contava sul fatto che la sua sfacciata malafede contribuisse a terrorizzare ancora di più gli operai, ma così non è stato, poiché fa parte della dignità del lavoro il dimostrare di capire il proprio lavoro, per quanto organizzato in modo brutale esso sia. La psicoguerra di Marchionne e dei suoi accoliti ha fatto un buco nell'acqua, in quanto è servita solo a mettere in evidenza le loro menzogne e la loro totale inaffidabilità. Più Marchionne straparla, più i commentatori ufficiali gli dedicano pensose esegesi, meno gli operai gli credono. L'ultima amenità di Marchionne, poche ore prima del referendum, è stata quella di prospettare un trasferimento della FIAT in Canada. Forse al canadese Marchionne manca la mamma, o forse, semplicemente, parla a vanvera per confondere le acque. Se si tratta solo di assemblare pezzi Chrysler, tanto vale farlo a Detroit; e se invece si vogliono costruire nuovi stabilimenti, lo si può fare meglio in Serbia, con i soldi della Unione Europea per lo Sviluppo Regionale e con gli sgravi fiscali del governo serbo: altro che basso costo del lavoro in Serbia!
Il segretario generale della CGIL, Susanna Camusso, continua intanto a far finta di credere che si tratti soltanto di un problema di autoritarismo da parte di Marchionne, un dettaglio che potrebbe essere, almeno in parte, sanato attraverso un negoziato che permetta il rientro della FIOM in fabbrica. Si sarebbe profilato un "asse" fra la Camusso e nientemeno che la presidente di Confindustria, Marcegaglia, cioè la stessa persona che non si è potuta permettere neppure di accennare una vaga perplessità quando la FIAT ha mollato e delegittimato Confindustria. L'organo di stampa ufficiale della Confindustria, "Il Sole-24 ore", in questi mesi ha tenuto infatti una linea editoriale di questo tenore: "Marchionne ci considera una merda, viva Marchionne". E questi sarebbero gli interlocutori per i quali la Camusso sarebbe disposta a sacrificare il rapporto con la FIOM, e inoltre non ha esitato ad ingannare per giorni i dirigenti delle altre federazioni CGIL che avrebbero voluto sostenere Landini.
Dieci giorni fa l'annuncio dello sciopero generale di tutte le categorie da parte della CGIL appariva infatti imminente e scontato, ma la Camusso ha dilazionato l'atteso annuncio per far passare la scadenza del referendum; e per fortuna che lo sciopero generale di tutte le categorie l'hanno proclamato i sindacati di base, altrimenti tanti lavoratori non potrebbero testimoniare la loro solidarietà agli operai di Mirafiori. La Camusso ha contato sul fatto che, dopo il referendum, i media avrebbero messo in atto le tattiche di pseudo-pacificazione che seguono le loro ondate di ferocia propagandistica. In questi giorni si sta creando un finto clima da "e vissero tutti felici e contenti": Marchionne ha ottenuto il sì, la FIOM ha vinto fra gli operai e Mirafiori avrà l'investimento, quindi adesso si possono trovare le basi per riaprire una trattativa. Sembra quasi di risentire gli slogan di Piero Fassino nel 2003, dopo l'annuncio da parte di Bush della "fine" della guerra in Iraq: gli USA hanno vinto la guerra, gli Iracheni hanno avuto la democrazia, i pacifisti hanno riavuto la loro pace e perciò possono smettere di lamentarsi. In realtà in Iraq continua il genocidio, ed alla FIAT idem.
 
Di comidad (del 27/01/2011 @ 01:35:45, in Commentario 2011, linkato 2172 volte)
Un sistema mediatico appeso per giorni all'attesa degli oracoli sibillini della Conferenza Episcopale Italiana, ha invece totalmente ignorato l'approssimarsi della scadenza dello Sciopero Generale del 28 gennaio. Intanto lo stesso sistema mediatico sta affilando le sue armi per cercare di liquidare questo sciopero come una espressione di attaccamento all'ideologia in un mondo che cambia. In effetti, tutti pensano e si esprimono in base a modelli ideologici, quindi non si può essere ideologici o non-ideologici. La differenza è, semmai, fra coloro che accettano di confrontarsi con le smentite provenienti dai dati di fatto, e invece coloro che trasformano ogni smentita in un'ulteriore conferma dei loro slogan.
Quindi vi sono ideologie che non vengono affatto formulate per cercare di capire la realtà, ma solo per mistificarla; in questo caso ideologie che nascono per funzionare come armi psicologiche nella guerra mondiale dei ricchi contro i poveri.
Il mitico "Mercato" rappresenta una tipica ideologia auto-confermativa: i disastri provocati dal sedicente "Mercato" divengono infatti la prova provata del "fatto" che non c'è mai abbastanza Mercato. Una cosa che pretende di esistere, ma ritiene sempre di non esistere mai a sufficienza, è, con ogni evidenza, una non-esistenza, un mito o, più precisamente, un alibi ideologico.
Da venti anni si succedono provvedimenti ed "accordi" sulla flessibilità del lavoro, presentata come la panacea al problema della produttività. La Legge 30/2003, reclamizzata come la soluzione ultra-"flessibile" al problema della disoccupazione giovanile, ci ha condotto al record della disoccupazione giovanile. Secondo i governi e il padronato, la risposta a questo disastro sociale dovrebbe essere però quella di imporre ancora più "flessibilità", cioè di precarizzare ogni forma di lavoro.
Le ideologie auto-confermative usano anche le mezze verità come esca per far passare una menzogna. In queste settimane si è cercato di spacciare il fatto che la FIAT in passato abbia preso il denaro pubblico, come prova che oggi non lo stia più incassando. Sono stati messi in ombra non soltanto i milioni di ore di Cassa Integrazione, tramite le quali l'azienda ha potuto liberarsi del peso del costo del lavoro di parte dei suoi dipendenti per aumentare lo sfruttamento di quelli rimasti in fabbrica; ma si è anche taciuto sugli stessi dati ufficiali che rivelano che i fondi comunitari, versati dall'Unione Europea a titolo di "Sviluppo Regionale", sono in realtà usati per finanziare le delocalizzazioni nell'Europa dell'Est. Con questi fondi la FIAT ha potuto aprire i suoi stabilimenti in Polonia, quindi il basso costo del lavoro polacco in questa delocalizzazione non c'entra nulla.
Certo che i padroni cercano in ogni modo di risparmiare anche sulle frazioni di punto del costo del lavoro, ma nessun risparmio sul costo del lavoro, persino un costo del lavoro ridotto a zero, potrebbe mai coprire le spese di una delocalizzazione. A coprire queste spese ci pensano i fondi pubblici europei (cioè i contribuenti), e gli sgravi fiscali imposti dal Fondo Monetario Internazionale ai Paesi sito delle "relocation" (quindi ancora tutto a carico dei contribuenti).
L'imprenditore che "crea ricchezza" rappresenta la più subdola delle menzogne sociali, dato che il cosiddetto "capitalismo" ed il sedicente "Mercato" costituiscono le sigle di comodo di oligarchie affaristico-criminali che saccheggiano il denaro pubblico ed i beni pubblici. Con questo sciopero generale finalmente, anche se in modo ancora timido e parziale, lo scontro va a centrarsi proprio sull'uso del denaro pubblico. Potrebbe sembrare un tentativo di riedizione del compromesso socialdemocratico che ha retto in Europa sino alla fine degli anni '70, con una parte del reddito redistribuito in termini di salario individuale e salario sociale (il cosiddetto "welfare").
Ma oggi non può essere più così, poiché non esiste più un ceto politico che detenga almeno una parte del potere economico/finanziario. Le privatizzazioni hanno determinato la fine del modello di economia mista pubblico/privato, e ci presentano oggi un ceto politico non solo asservito, ma dipendente dalle multinazionali anche per le proprie prospettive di carriera o di semplice salvezza personale. La kermesse sloganistica organizzata da Walter Veltroni al Lingotto di Torino, di proprietà della FIAT, ha conferito a questa supina dipendenza persino una plastica visibilità.
Le privatizzazioni hanno impoverito la società senza raggiungere i miracoli produttivi che promettevano, cosa che però confermerebbe ugualmente la necessità di ulteriori "liberalizzazioni" e "riforme strutturali", cioè di altre privatizzazioni. La povertà diffusa ha consentito all'affarismo multinazionale di intensificare lo sfruttamento dei consumatori attraverso la tecnica del "finanziamento ai consumi", cioè l'indebitamento di massa, facendo così comprendere i veri moventi criminali alla base dello slogan della "stabilità finanziaria", il nome d'arte della miseria pianificata.
La convocazione di questo sciopero generale costituisce già di per sé un risultato, una manifestazione della volontà di resistenza contro la guerra psicologica del dominio; una guerra psicologica che non riposa mai e che ha trasformato l'Italia in un laboratorio ideologico della sudditanza coloniale. La scelta delle multinazionali di mantenere alla "guida" del governo italiano un fantoccio che dà di matto ogni giorno, rappresenta la dimostrazione pratica della formula della "psywar", resa nota dal presidente statunitense Harry Truman: "Se non puoi convincerli, confondili". Nelle colonie i governi divengono sub-agenzie della guerra psicologica e sponde del terrorismo mediatico, strumenti di avvilimento della coscienza collettiva, per generare depressione e schizofrenia di massa. A Pomigliano la guerra psicologica ha però fallito in parte, a Mirafiori ha fallito quasi del tutto. La guerra psicologica quindi non è onnipotente e, dopo lo sciopero del 28 gennaio, ci saranno ancora occasioni per dimostrarlo.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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