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"Il Congresso nega nel principio il diritto legislativo" "In nessun caso la maggioranza di qualsiasi Congresso potrà imporre le sue decisioni alla minoranza"

Congresso Antiautoritario Internazionale di Saint Imier, 1872
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 13/02/2014 @ 00:15:33, in Commentario 2014, linkato 1519 volte)
Una delle caratteristiche della propaganda della destra è la spregiudicatezza, cioè il ricorso a qualsiasi tipo di argomento utile a mettere in difetto gli avversari. Quando certi argomenti vengono ripresi abitualmente dalla destra, si tende allora a ritenerli di per sé di "destra", senza notare che la stessa destra ne ricava soltanto conseguenze del tutto contingenti e strumentali, che non la impegnino più di tanto ad affrontarne le implicazioni di carattere generale. Ciò è capitato anche nella polemica contro la magistratura, ritenuta faziosa dalla destra quando se la prende con il Buffone di Arcore, ma attendibile allorché condanna Cesare Battisti. La propaganda di destra ha addirittura creato il fantasma di una "via giudiziaria al socialismo"; un fantasma che però è riuscito a colonizzare le menti della sinistra, compresa quella "antagonista", al punto che i partiti comunisti hanno rinunciato alla loro identità storica, puntando le loro carte elettorali su figure di magistrati come De Magistris e Ingroia.
Il fatto che oggi Beppe Grillo sia indagato per aver istigato i poliziotti a disobbedire alle leggi, pone invece seri interrogativi sul ruolo che settori della magistratura svolgono nel lobbying a favore delle banche o delle cosiddette "grandi opere". Il caso dell'ex procuratore generale di Torino, Giancarlo Caselli, aveva già suscitato stupore; e non solo per il suo impegno repressivo contro i No-TAV, dato che Caselli si era spinto alla spudoratezza di rilasciare dichiarazioni più consone ad un lobbista pro TAV che ad un magistrato.
La circostanza che Grillo non sia ancora condannato, ma semplicemente indagato, non può essere invocata a sostegno del mito dell'indipendenza della magistratura, dato che l'inconsistenza dell'accusa conferisce anche alla sola indagine un significato palesemente intimidatorio. Visto che Grillo non ha istigato i poliziotti a togliersi la divisa e ad unirsi agli insorti, ma li ha semplicemente invitati a non difendere un ceto politico che vive sull'illegalità, allora le sue dichiarazioni rientravano chiaramente in questioni che riguardano la legittimità degli ordini a cui disobbedire; quindi opinioni che dovrebbero essere pacifiche dopo il precedente del processo di Norimberga. Tanto che i poliziotti disobbediscano davvero, rappresenta un'ipotesi del tutto irrealistica.
La protervia del lobbying bancario si manifesta in questi giorni tanto più virulenta, quanto più appaiono inconsistenti gli argomenti a favore di operazioni come il decreto governativo sulla Banca d'Italia. Per criminalizzare l'opposizione parlamentare dei grillini, ci si è raccontato che la rivalutazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia urgeva assolutamente per salvare il Paese, dato che il loro valore era rimasto fermo al 1936, anno XIV dell'Era Fascista. Ci si è quindi immaginati Letta e Saccomanni sbirciare casualmente il calendario ed accorgersi d'improvviso con sgomento che erano passati settantotto anni, e quindi correre urgentemente ai ripari; magari non facendo caso al fatto che tale rivalutazione rende conveniente per i possessori privati il vendere le loro quote ad avventuristici acquirenti stranieri, ed oneroso per lo Stato ricomprarle.
La campagna giudiziaria e mediatica contro Grillo rischia peraltro di accreditarne più del dovuto il ruolo di opposizione, dato che in questo campo, se vi sono da parte di molti parlamentari del Movimento 5 Stelle iniziative ed interrogazioni ben documentate e fondate contro il lobbying più invasivo, da quello bancario a quello del gioco d'azzardo, non mancano neppure iniziative generiche, atte a creare solo confusione e facili vittimismi. In particolare la richiesta di messa in stato di accusa nei confronti dell'attuale presidente della Repubblica, è apparsa molto clamorosa nei toni, ma ben poco incisiva nei contenuti; e se da un lato era scontato per chiunque che il parlamento avrebbe in ogni caso respinto la richiesta, dall'altro lato si è reso sin troppo facile il respingerla.
Non si tratta soltanto di recriminare sulla responsabilità del M5S nell'aver favorito la rielezione di Napolitano facendo mancare i voti a Prodi, un uomo certamente compromesso con il lobbying bancario, ma comunque poco gradito alla NATO, tanto che questa aveva ritenuto di disfarsene prima di aggredire la Serbia per strapparle il Kosovo. Si tratta soprattutto di notare che nella richiesta di messa in stato di accusa mancano appunto le contestazioni sul ruolo "militare" assunto da Napolitano almeno in due circostanze ben precise. Sulla recente questione degli F-35, Napolitano è infatti intervenuto in prima persona negando al parlamento la facoltà di porre veti sull'acquisto di armi, come se il parlamento non fosse il principale organo costituzionale e non potesse interessarsi di tutto. L'atto d'imperio di Napolitano ha invece sottratto al parlamento il controllo su questioni militari, delegandole interamente al governo ed al Consiglio Supremo di Difesa.
Sotto la presidenza di Napolitano, il Consiglio Supremo di Difesa, da organo di rilevanza costituzionale che era, è diventato oggi organo costituzionale tout-court, e ciò costituisce un elemento che suggerisce parecchie cose interessanti sul ruolo che la NATO si sta ritagliando nell'ordinamento italiano grazie all'opera dell'attuale presidenza della Repubblica. La partecipazione dell'Italia all'aggressione contro la Libia nel 2011 è stata infatti il risultato di un'ingerenza diretta del presidente della Repubblica sull'azione del governo e sulle decisioni del parlamento; e qui non è tanto il decantato articolo 11 ad essere stato violato, quanto i limiti delle competenze dell'istituzione presidenziale. In quella circostanza Napolitano si sostituì letteralmente al governo, e condusse sfacciatamente questa supplenza per tutto il periodo della guerra. Per la stampa di destra Napolitano è ancora l'uomo che approvò l'invasione dell'Ungheria, mentre questo suo peccatuccio di gioventù è oggi sovrastato e surclassato dall'aver organizzato direttamente la partecipazione all'invasione della Libia.
In effetti la genericità delle accuse del M5S contro Napolitano riguarda proprio il non segnalare il ruolo che egli svolge come agente del colonialismo NATO. Qualcuno potrebbe sospettare che queste omissioni siano dovute al timore di interrompere il feeling di Grillo con gli ambasciatori USA e con la stampa estera. L'ambiguità del M5S consiste infatti nel non avere mai esplicitamente contestato il ruolo complessivo del colonialismo NATO sull'Italia, e di non aver messo in evidenza la subordinazione dell'Unione Europea alla NATO ed al suo braccio finanziario, il Fondo Monetario Internazionale. Al contrario, con rare eccezioni individuali, il M5S si è mosso nei limiti del luogo comune autorazzistico della "anomalia italiana" rispetto alle altre "grandi democrazie occidentali". Insomma, i cosiddetti grillini sembrano ancora dipendere un po' troppo dal Gabanelli-pensiero, sebbene Milena Gabanelli abbia cessato di essere una loro icona da quando, in una puntata di Report, ha gettato il sospetto sulle fonti di finanziamento del M5S.
 
Di comidad (del 06/02/2014 @ 00:07:13, in Commentario 2014, linkato 1705 volte)
In questi giorni a coloro che denunciavano dentro e fuori il parlamento il piano governativo di privatizzazione della Banca d'Italia, si è spesso obiettato che la Banca d'Italia era già privata. Si è fatta anche rilevare la contraddizione in cui cadrebbero quanti da anni denunciavano il carattere privato della Banca d'Italia, ed ora si scandalizzano per quello che sarebbe un semplice aggiornamento del valore delle quote, cosa che consentirebbe al governo Letta-Saccomanni anche di riscuotere un introito fiscale. Come risulta infatti dal sito della Banca d'Italia, le quote di partecipazione al capitale della banca centrale risultano già nelle mani dei maggiori istituti di credito e di assicurazione italiani, salvo una quota dell'INPS ed una dell'INAIL. Si verificava quindi da parecchio tempo il paradosso dei controllati che controllavano il loro controllore, anzi, lo possedevano.
In realtà questo tipo di obiezioni si basa su un fraintendimento, più o meno intenzionale, del concetto di privatizzazione, come se il privato potesse permettersi di fare a meno dell'assistenza costante della mano pubblica. Il "capitalismo" rappresenta un mero principio giuridico, per il quale è il possesso delle maggiori quote di capitale a conferire il potere nell'azienda; ma, come forma economica autonoma, il capitalismo non esiste. Se il lobbying privato riesce ad occupare lo Stato e la spesa pubblica ed a farne dei propri strumenti, allora il capitalismo prende vita nella forma delle privatizzazioni.
Inoltre, nessuna privatizzazione si dà una volta per tutte. Una privatizzazione può essere infatti declinata e ri-declinata più volte, in modi diversi, per corrispondere di volta in volta agli interessi della lobby delle privatizzazioni. Un bene reso già disponibile per un privato, gli può essere reso ancora più disponibile. La privatizzazione non è soltanto un furto, è un furto continuato.
La questione dell'aggiornamento del valore delle quote in questa storia funge anche da diversivo, dato che, come risulta dal documento elaborato da una commissione della stessa Banca d'Italia, la vera novità sta nella possibilità di trasferire le quote di partecipazione, cioè di venderle. Segnalare perciò la trasformazione della Banca d'Italia in una sorta di SpA non è affatto arbitrario.
Molti sostenitori del decreto del governo si sono lanciati in una serie di ipotesi, o di fiction, sul presunto nuovo protagonismo della finanza italiana che sarebbe alla base di questa nuova iniziativa sulla Banca d'Italia. A questo proposito, si è voluto vedere una conferma di tale presunto protagonismo nell'atteggiamento critico assunto dalla banca centrale tedesca, Bundesbank, nei confronti dell'ultimo decreto di Letta e Saccomanni. Coloro che si nascondono dietro questo argomento, dovrebbero però essere anche in grado di citare qualche caso in cui la Bundesbank non pronunciasse pregiudizialmente un severo diniego di fronte ad una iniziativa qualsiasi da parte di chiunque. I gonzi latini prendono sul serio la fiaba del moralismo finanziario di marca germanica, senza rendersi conto che si tratta del banale atteggiamento gerarchico di trattare sempre il dipendente come se stesse commettendo una marachella. I moralisti nordici e protestanti di Bundesbank dovrebbero infatti spiegare come mai si sono decisi a lanciare una timida inchiesta sul buco da titoli derivati di Deutsche Bank (settantremila miliardi di euro!), solo quando ormai lo scandalo era evidente e noto a tutti.
Le mitologie - da quella del moralismo nordico a quello delle icone del self-made man alla Steve Jobs -, appaiono spesso marginali ed innocue rispetto al quadro ideologico dominante; in realtà sono esche in grado di insinuarsi nelle costruzioni critiche delle opposizioni e di scardinarle dall'interno, riconducendole al conformismo ideologico. Mentre il nuovo protagonismo finanziario dell'Italia rimane una fiction, intanto il decreto del governo apre le porte della Banca d'Italia a mitici "investitori istituzionali" europei, tra cui c'è l'avventuristica e dissestata Deutsche Bank. Ma non ci sarebbe da stare più tranquilli se si trattasse di Barclays o di BNP Paribas. Una valutazione più realistica porterebbe invece a ritenere che la lobby delle privatizzazioni che agisce in Italia non sia composta soltanto da soggetti affaristici italiani.
L'iniziativa del governo sulla Banca d'Italia si colloca in uno scenario internazionale che mostra un nuovo, e grave, confronto Est-Ovest per il controllo dell'Ucraina. L'Unione Europea e la NATO non si preoccupano neppure più di nascondere la loro ingerenza negli affari interni dell'Ucraina, e neppure di dissimulare i piani aggressivi contro la Russia in cui si inquadra questo loro tentativo di annessione.
La fine dell'Unione Sovietica ha consegnato ad una equivoca "indipendenza" non solo Stati che erano finiti nella sua orbita in seguito alla seconda guerra mondiale, ma anche Paesi che erano da secoli parte integrante dell'impero zarista, come nel caso della Georgia e, appunto, dell'Ucraina. La dissoluzione dell'impero zarista/sovietico ha trasformato Paesi sudditi come l'Ucraina in Paesi clienti di Gazprom, il gigante russo del gas e del petrolio, privatizzato dal presidente Eltsin nel 1992-93. La cosa ha fatto sì che alcuni sospettassero che la dissoluzione dell'impero zarista-sovietico sia stata in qualche modo voluta, o agevolata, da una lobby delle privatizzazioni che operava da decenni in Russia.
Un interessante e documentato libro di Joyce Kolko "Gli Stati Uniti e la Crisi Mondiale del Capitalismo", già negli anni '70 osservava che in URSS era allora attiva una spregiudicata lobby delle "riforme economiche", cioè delle privatizzazioni. Secondo la Kolko si trattava della stessa lobby che esprimeva e manovrava i campioni del dissenso sovietico cari ai media occidentali, come Sacharov. La lobby delle privatizzazioni russa se n'è infischiata della sicurezza della Russia, poiché il punto di forza del lobbying sta proprio nel non farsi condizionare da una visione dell'insieme, perseguendo i propri obiettivi unilateralmente a scapito di tutto il resto, come un terminator. L'osservazione della Kolko, se notata ed opportunamente considerata, avrebbe potuto far capire e prevedere molte cose che sono avvenute successivamente in Russia.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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