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"La privatizzazione è un saccheggio delle risorse pubbliche, ma deve essere fatta passare come un salvataggio dell’economia, e i rapinati devono essere messi nello stato d’animo dei profughi a cui è stato offerto il conforto di una zuppa calda. Spesso la psico-guerra induce nelle vittime persino il timore di difendersi, come se per essere degni di resistere al rapinatore fosse necessario poter vantare una sorta di perfezione morale."

Comidad (2009)
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 01/10/2015 @ 00:35:49, in Commentario 2015, linkato 1860 volte)
Un intervento diretto della Russia in Siria a sostegno del regime di Assad sarebbe uno di quei fatti in grado di cambiare sostanzialmente lo scenario mondiale. Per il momento però non è dato di conoscere l'effettiva entità del coinvolgimento russo, ed anche le dichiarazioni lanciate lunedì da Putin all'Assemblea dell'ONU non hanno sciolto i dubbi a riguardo. Dato che Putin non è lo "zar" che dipingono i media occidentali, ma solo un mediatore tra la multinazionale Gazprom e le forze armate, resta l'incognita di quanto le forze armate russe riescano ad imporre il proprio punto di vista. Rimane comunque il risultato diplomatico di aver costretto Obama a scoprirsi davanti all'Assemblea dell'ONU e ad ammettere che il suo vero obiettivo in Siria rimane l'abbattimento del "tiranno" Assad.
In attesa di capire qualcosa di più sull'attuale grado di resistenza russa all'imperialismo USA, occorre nel frattempo accontentarsi di osservare come continua a procedere il meccanismo imperialistico. Il caso della Volkswagen, "scoperta" a frodare sulle emissioni inquinanti dalle autorità statunitensi, è stato oggetto di molti commenti riduttivi, gli uni centrati sul vezzo germanico di predicare bene e razzolare male, gli altri tendenti a sospettare una volontà statunitense di umiliare la Germania, la quale, secondo alcuni, sarebbe troppo arrogante e riottosa ad uniformarsi ai diktat di Washington.
In realtà l'imperialismo non ha una mente unica ed una strategia centralizzata, ma è un meccanismo che procede in base agli interessi delle lobby multinazionali. Se si considerano i commenti giornalistici sino allo scorso anno, nulla faceva supporre che la Volkswagen fosse nel mirino dell'imperialismo USA. Nel 2014 un quotidiano del tutto allineato agli interessi della finanza internazionale, come "La Repubblica", celebrava in modo sperticato i record di bilancio dell'azienda tedesca plaudendo al suo modello industriale.
Nulla di strano se si considera che le grandi aziende automobilistiche tedesche hanno imposto al consumo di massa i modelli di lusso, favorendo il meccanismo del finanziamento ai consumi. Puoi comprare un bel macchinone tedesco, ma ti devi indebitare; e questo indebitamento crescente dei consumatori verso l'estero va anche a pesare sulle bilance dei pagamenti dei Paesi più poveri dell'Unione Europea. La finanza multinazionale, attraverso il Fondo Monetario Internazionale, ti rimprovera di "vivere al di sopra dei tuoi mezzi", ma poi ti spinge a fare proprio questo, cioè ad indebitarti per potere accedere ai consumi.
Il meccanismo si complica perché non c'è solo il colonialismo delle lobby finanziarie, ma anche di quelle commerciali. Il successo del modello industrial-finanziario dell'industria tedesca ha creato troppi problemi alle aziende statunitensi, ed ecco che si scatena una misura protezionistica mascherata da ambientalismo e da provvedimento moralizzatore. Questa è la "schizofrenia" dell'imperialismo. Una lobby ti tira su, ma un'altra ti spinge giù. I servi vanno bene quando fanno il tuo interesse in determinate aree, ma non quando sconfinano.
Soltanto la meticolosa complicità dei media nei confronti del pretestuoso moralismo statunitense fa sì che la gran parte dell'opinione pubblica non si renda conto dell'assurdità di circoscrivere lo scandalo delle emissioni inquinanti camuffate esclusivamente alla Volkswagen. Se persino l'industria automobilistica tecnologicamente più avanzata del mondo deve ricorrere a certi trucchetti, è l'intero sistema che ne risulta delegittimato; perciò i vari modelli "Euro 4", "Euro 5", "Euro 6", ecc., si rivelano dei truffaldini espedienti per costringerti a cambiare automobile.
Qualcosa di analogo è accaduto a Roberto Saviano. Anche lui è stato utilissimo per creare il mito di un crimine organizzato come mera espressione di degenerazione sociale nei Paesi sudditi, quindi senza responsabilità della NATO e delle multinazionali. Saviano andava benissimo quando scagionava gli USA da ogni sospetto di compromissione col traffico di stupefacenti, ed accusava, senza alcuna prova, l'ETA basca e le FARC colombiane di fare traffico di cocaina in combutta con la mafia.
Saviano andava altrettanto bene quando "depotenziava" tutte le notizie in grado di smentire il carattere localistico di faide come quella di Scampia del 2004. In un articolo su "il Manifesto" Saviano ammetteva tranquillamente che la forza di fuoco della faida era composta da killer kosovari; ma poi non ricordava che il Kosovo è una colonia della NATO, e risolveva il tutto ricorrendo alla mitizzazione delle capacità del boss Di Lauro di crearsi relazioni internazionali.
Saviano però non va più bene quando sconfina con i suoi best-seller internazionali, e va a pestare i piedi alla lobby editoriale statunitense, ed ecco che allora gli si fa la morale con le accuse di plagio; un tipo di accusa in base alla quale si potrebbe inchiodare non solo una mezza calza come Saviano, ma anche un genio come Shakespeare, il quale riprese pari pari il "Romeo e Giulietta" da una novella di Matteo Bandello. Persino Bandello aveva ripreso a sua volta la storia di Romeo e Giulietta da un'altra novella di Luigi da Porto, il quale, tanto per cambiare, aveva rielaborato una novella ancora più antica, di Masuccio Salernitano.
Una lobby ti può creare, ma un'altra lobby ti può distruggere o, quantomeno, ridimensionare; ma ciò che fa il potere di una lobby è il suo retroterra imperialistico. Il protezionismo mascherato infatti è un privilegio esclusivo dei Paesi al vertice della gerarchia imperialistica. Ancora nel 2007 l'Unione Europea osava alzare qualche timida vocina di protesta contro il protezionismo commerciale degli USA che si dissimulava dietro le esigenze di sicurezza. Con i controlli sui container infatti è possibile tenere le merci bloccate per mesi e danneggiare irrimediabilmente gli interessi degli importatori indesiderati. Il bello è che i container sono un'invenzione proprio degli USA, che hanno tratto vantaggio dalla difficoltà di controllarli per fare contrabbando ai danni dei Paesi colonizzati. Chi impone le regole, le può anche piegare a proprio uso e consumo.
 
Di comidad (del 08/10/2015 @ 00:01:03, in Commentario 2015, linkato 1462 volte)
Mentre i miti possono nascere anche spontaneamente, una peculiarità dei media è quella di fabbricare "miti dei miti", cioè diffondere l'idea che esistano dei miti che in effetti da soli non avrebbero alcuna vita propria. La morte dell'ex dirigente del PCI Pietro Ingrao, è stata per i media l'occasione per riciclare in grande stile la tesi secondo cui questo personaggio avrebbe goduto di un grande prestigio personale nella sinistra cosiddetta radicale. In realtà, al di là degli aspetti affettivi - del tutto rispettabili, ma politicamente irrilevanti -, sarebbe ben arduo sostenere che la figura di Ingrao abbia rappresentato un punto di riferimento, persino fra coloro che appartenevano alla sua area politica. Al contrario, sin dagli anni '70 la presenza di un personaggio come Ingrao è spesso stata motivo di imbarazzo, data la palese inconsistenza della sua figura. Imbarazzava la sua riduzione del comunismo ad una letterina di natale, ad una lista di buoni propositi per l'anno nuovo; sconcertava la sua tendenza a tirarsi sempre indietro, mollando coloro che egli stesso aveva mandato avanti, come il gruppo de "Il manifesto" nel 1969, radiato dal PCI, senza che lo stesso Ingrao accennasse a una pur timida difesa. Allorché, una decina di anni fa, fu dedicato ad Ingrao un libro dal titolo "Il Compagno Disarmato", in molti commentarono che sarebbe stato più appropriato per lui l'epiteto di compagno "armiamoci e partite".
D'altro canto questo imbarazzo è stato vissuto senza quasi mai approfondirne contesti e motivazioni, poichè ciò avrebbe costretto a mettere in discussione un altro mito - quello sì realmente diffuso - sul professionismo del gruppo dirigente del PCI. Nella sua inettitudine, Ingrao era un caso estremo, ma niente affatto un caso anomalo nel gruppo dirigente del PCI, caratterizzato da una spocchia che mascherava un impacciato dilettantismo, dimostrato in termini clamorosi dal modo isterico in cui fu gestita la fase dei governi di Unità Nazionale e del rapimento di Moro nel 1978.
Per fortuna, in appoggio al "mito del mito" di Ingrao è arrivato il solito livore della stampa di destra, che ha fatto ricorso allo scontato argomento denigratorio dell'appoggio di Ingrao all'invasione dell'Ungheria nel 1956. Si potrebbe facilmente replicare agli eterni recriminatori sull'invasione dell'Ungheria del '56, che, se quell'invasione fu un crimine, è stato allora tanto più criminale dare ragione agli invasori inglobando nella NATO gli ex Paesi sudditi dell'URSS dopo la dissoluzione dell'impero sovietico prima, e della stessa Unione Sovietica poi, portando la stessa Nato ai confini con la Russia.
Ma non è questo l'aspetto più interessante, poiché proprio la rivisitazione di quel 1956 potrebbe costituire la chiave per tentare una qualche spiegazione in più rispetto ai soliti luoghi comuni. Il 1956 si era aperto con il XX Congresso del Pcus, segnato dal rapporto di Kruscev sui crimini di Stalin. Quel rapporto costituisce una sorta di paradosso storico, poiché screditava certamente Stalin, al quale si poteva chiedere conto dell'eliminazione fisica del gruppo dirigente storico della Rivoluzione Russa, per poi far emergere uno come Kruscev. La più evidente confutazione dello stalinismo è data proprio dall'incompetenza dei gruppi dirigenti che ha espresso, sia nel PCUS che negli altri partiti comunisti. Infatti quel rapporto del XX Congresso delegittimava soprattutto lo stesso Kruscev, posto nella direzione del PCUS proprio da Stalin.
Il nonsenso politico del rapporto Kruscev del '56, acquisterebbe però un qualche senso se si ammettesse l'ipotesi che in Russia ha agito una lobby del petrolio da molto tempo prima della fondazione ufficiale di Gazprom nel 1989. L'ipotesi potrebbe essere retrodatata sino all'epoca di Stalin, smentendo il mito del dittatore/monarca assoluto. L'ipotesi andrebbe storicamente verificata, ma risulta a tutt'oggi fondamentale la ricerca di Joyce Kolko, che nel pieno degli anni '70 demoliva l'immagine di un gruppo dirigente sovietico avviluppato nelle questioni di ideologia, ed illustrava l'azione in Russia di una lobby degli affari che manovrava anche il cosiddetto "dissenso" dei vari Sacharov.
Il comunismo sovietico non era affatto un trucco o un travestimento, ma comunque rimase una vernice ideologica che non ha mai inciso in profondità nei reali rapporti di potere interni alla Russia. La dissoluzione dell'impero sovietico nel 1989, e dell'Unione Sovietica nel 1991, corrisposero agli interessi di Gazprom, poichè trasformavano i vecchi Stati sudditi in Stati clienti del petrolio e del gas russi. L'impero aveva ostacolato gli affari, poiché costringeva a vendere il petrolio ai sudditi a prezzi stracciati; quindi per rilanciare gli affari, l'impero doveva essere liquidato.
L'attuale crollo del prezzo del petrolio ha però indebolito il dominio di Gazprom, dato che questa multinazionale russa non ha più a disposizione le risorse finanziarie sufficienti a consolidare il proprio potere; ed ecco che può rifarsi vivo il "partito imperiale", quello della continuità storica con l'impero zarista, un partito ancora attivo nelle forze armate. Lo squilibrio dei rapporti di forza a scapito di Gazprom, fa sì che oggi la Russia intervenga direttamente in Siria a difesa della propria base navale di Tartus. Il prezzo del petrolio può fare la Storia. Ma tutta la Storia dell'ultimo secolo potrebbe essere riletta come storia del petrolio.
I tafferugli in Polonia e la rivolta in Ungheria che si verificarono nel corso del '56 potrebbero essere letti col senno di poi come l'effetto di uno scontro in atto nel gruppo dirigente sovietico, in cui la lobby del petrolio già premeva per l'abbandono di un impero costoso e non remunerativo sul piano degli affari. Negli anni '50 il petrolio era diventato il grande business mondiale, e se ne accorse anche l'Italia, dove nel 1953 fu fondato l'ENI. Nel 1953 USA e Regno Unito avevano anche organizzato il colpo di Stato "petrolifero" contro il governo di Mossadeq in Iran. Nel 1955 in Europa era iniziato il boom economico e cresceva la domanda di petrolio, legata anche alla produzione di energia elettrica, perciò sarebbe comprensibile che la lobby russa del petrolio temesse di rimanere per sempre tagliata fuori dal business.
Sennonché, contemporaneamente alla rivolta d'Ungheria, nell'ottobre del 1956, Francia, Regno Unito e Israele invasero il Canale di Suez appena nazionalizzato dal presidente egiziano Nasser. Il business del petrolio aveva reso il Canale di Suez ancora più strategico ed aveva posto le condizioni per la futura instabilità di tutta l'area del Vicino Oriente. Stalin fu certamente un esponente del partito imperiale, ma neppure lui deve essere stato immune dalle pressioni della lobby russa del petrolio, se si considera che nel 1948 fece un favore alla British Petroleum aiutando con armi ed appoggio diplomatico la nascita dello Stato d'Israele, il guardiano dell'Occidente a ridosso del Canale di Suez. La crisi di Suez del '56 fu l'occasione per il risveglio del partito imperiale in Russia, che costrinse Kruscev prima a minacciare l'intervento in difesa di Nasser e poi a stroncare la rivolta d'Ungheria. L'invasione sovietica dell'Ungheria iniziò infatti il 4 novembre del 1956, poco meno di una settimana dopo che era stata invasa Suez da Francia, Regno Unito e Israele. La coincidenza delle date non viene mai posta in evidenza dai recriminatori di professione sull'invasione sovietica dell'Ungheria.
La lobby russa del petrolio fu quindi ancora costretta ad aspettare la sua grande occasione, che arrivò negli anni '80, con la sconfitta dell'Armata Rossa in Afghanistan. Ma fu ancora una volta il prezzo del petrolio a forzare gli eventi. La Guerra del Golfo del gennaio 1991 fece schizzare in alto in prezzo del petrolio, e perciò Gazprom ebbe a disposizione i soldi per finanziare nell'agosto dello stesso anno la messinscena del colpo di Stato militare e del contro-putsch di Eltsin che mise fine all'Unione Sovietica.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


19/04/2024 @ 12:18:56
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