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"Il vincolo statale funziona come un pastore che tiene unito il gregge, ma solo per metterlo a disposizione del predatore."

Comidad (2014)
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 02/02/2017 @ 00:57:18, in Commentario 2017, linkato 2510 volte)
In edicola è appena arrivata la collezione sui geni della matematica e già risulta necessario un aggiornamento urgente dell’elenco dei geni in questione. Bisognerà infatti inserirvi i giudici della Corte Costituzionale i quali hanno rivoluzionato l’aritmetica scoprendo che il 40% è la maggioranza. Per chi crede che le Costituzioni servano a qualcosa sarà anche difficile spiegare come una Costituzione parlamentare possa giustificare i capilista bloccati, cioè un parlamento di nominati. La legge elettorale renziana così restaurata dalla sentenza della Consulta potrà perciò passare agli annali come il “cialtroncellum”.
Intanto il governo lancia l’ennesimo decreto “anti-furbetti” nel Pubblico Impiego. Stavolta il pretesto riguarda il presunto assenteismo del venerdì e del lunedì. Una categoria viene criminalizzata infischiandosene dei dati che indicano che nel Pubblico Impiego l’età media è molto più elevata che nel settore privato e che negli ultimi tre anni l’assenteismo è persino calato in coincidenza con un relativo svecchiamento. Il governo agisce sfacciatamente da lobbista delle privatizzazioni, usa un linguaggio da guerra civile, lancia un appello a facinorosi, malviventi e malvissuti incitandoli all’odio di categoria. Ci sarebbe un Codice Penale che sanziona l’aggiotaggio e l’istigazione all’odio tra le classi sociali, ma il tutto è a favore delle privatizzazioni e quindi nessun magistrato mostra di accorgersene.
Minniti, l’attuale ministro agli attentati islamici, si trova, per pura coincidenza, anche a gestire un periodo in cui fioccano provocazioni contro sindacalisti di base, con la confezione ad hoc di inchieste giudiziarie infamanti. Quanto alla magistratura, essa continua a preferire alle indagini le provvidenziali imbeccate dei servizi segreti.
La pieghevolezza del principio di legalità è stata riconfermata dalla “authority” dell’Antitrust, come sempre in versione pro-trust a favore delle multinazionali. Stavolta nel mirino di quella lobby delle multinazionali che si fa chiamare Antitrust, sono le cooperative dei tassisti, colpevoli di gestire a favore del lavoro autonomo un business sempre più promettente, date le crescenti limitazioni al traffico privato e lo sfascio delle aziende metropolitane e tranviarie, ridotte a non poter assumere e comprare pezzi di ricambio a causa delle limitazioni alla finanza locale.

Per illustrarci il nuovo quadro internazionale, giornali e telegiornali sono pieni delle quotidiane imprese attribuite al nuovo occupante della Casa Bianca.
CialTrump annuncia l’annullamento del trattato di libero scambio per il Pacifico e la protezione dell’industria americana dall’invadenza della globalizzazione. Theresa May dichiara a Davos che il popolo è più importante dei mercati, che la globalizzazione va corretta attraverso una redistribuzione delle ricchezze. Insomma, Trump e May sarebbero dei no-global.
Meno male che il presidente cinese Xi Jinping difende il libero mercato. Le sue metafore confuciane ricordano i tempi di Aldo Brandirali: assumere atteggiamenti protezionistici equivale a chiudersi in una stanza buia; fuori restano freddo e vento ma anche la luce e l’aria fresca. Commovente. La Cina dovrebbe fare una nuova guerra dell’oppio all’incontrario per imporre agli USA e all’Inghilterra “l’apertura dei mercati”. Peccato che le fiabe e gli apologhi morali del mercantilismo debbano sempre fare i conti con i rapporti di forza, soprattutto militare. Ed appunto l’analisi dei rapporti di forza militari spiegherebbe tante cose.

Ci si viene a raccontare che CialTrump avrebbe saputo interpretare la “pancia” dell’elettorato americano. Sta di fatto che ha preso meno voti della pur ripugnante candidata Killary Clinton e che è stato eletto per le consuete alchimie elettorali dell’establishment di cui fa parte. L’evidenza è che questo establishment negli ultimi tre anni ha dovuto metter da parte i suoi sogni di smembramento e di spartizione della Russia tra le varie multinazionali statunitensi.
Sino al 2013 la Russia aveva sopportato senza reagire provocazioni mostruose. Nel 2011 Putin e colleghi avevano lasciato al suo destino un semi-alleato come Gheddafi, mettendo nei guai anche il principale mediatore d’affari e fornitore di tecnologia della multinazionale russa Gazprom, cioè l’ENI. Si ricordano giustamente le figure di merda a raffica del Buffone di Arcore nel 2011; d’altra parte non si sottolinea il fatto che nessun aiuto è arrivato al Buffone da parte del suo “amico” Putin. Sarebbe bastato che qualche nave militare russa attraccasse a Tripoli e Bengasi per bloccare l’aggressione NATO alla Libia, togliendo così il Buffone e l’ENI d’impiccio, con sommo vantaggio della stessa Russia che avrebbe potuto usufruire del feudo gas-petrolifero libico di ENI.
La debolezza dimostrata dalla Russia nel caso libico ha aperto la strada per un’aggressione in grande stile alla Siria, che non era un alleato di serie B come la Libia, bensì un alleato storico e strategico, con tanto di base navale russa nel porto siriano di Tartus. Ma neanche questo aveva commosso più di tanto Putin e colleghi. C’è voluto il colpo di Stato della UE e della NATO in Ucraina perché le forze armate russe si svegliassero e mettessero Putin di fronte all’evidenza; la conquista dell’Ucraina da parte della NATO avrebbe aperto a Nord la strada dei carri armati NATO verso Mosca ed a Sud il controllo del Mar Nero alla US-Navy grazie alla Crimea. E forse neppure questo da solo era bastato, c’è voluto anche il crollo del prezzo del petrolio con la conseguente diminuzione del potere di corruzione di Gazprom nei confronti dei generali.

Il risveglio militare della Russia ha fatto svanire i sogni di spartirsela e quindi ha reso superflua quella creatura statunitense che è l’Unione Europea, che svolge la sua funzione anti-russa a prezzo della depressione mondiale causata dal buco nero della moneta unica. Si mettono da parte anche i trattati commerciali internazionali perché comportano un prezzo inutile in termini di deficit di bilancia commerciale, visto che la Russia non è più disposta a lasciarsi accerchiare ed usa la minaccia militare per ristabilire rapporti con Turchia e Giappone. La Russia rimane e rimarrà per gli USA il bersaglio prioritario ma, per il momento, è meglio non fare la faccia troppo feroce ad un avversario che ha ricominciato a difendersi e, in qualche caso, ad attaccare.
Si potrebbe, del tutto legittimamente, osservare che questo riequilibrio dei rapporti di forza e l’eventuale fine dell’UE aprirebbero per l’Italia una finestra di opportunità, quale che sia il giudizio su CialTrump. Ma il punto è che l’euro potrebbe continuare con altri mezzi. Gli obiettivi non cambiano: tenere alti gli spread per consentire agli “investitori” esteri di lucrare alti interessi sul debito pubblico italiano, presentando il conto ai lavoratori che devono sostenere la produzione con salari sempre più bassi, e sostenere anche i servizi finanziari indebitandosi per poter consumare. In Italia c’è un ceto medio pronto a comprarsi i titoli del debito pubblico ad interessi molto più bassi; ciononostante i titoli decennali del Tesoro vengono riservati con alti interessi ad oscuri “investitori istituzionali” stranieri. La spiegazione del mistero sta forse nelle carriere in multinazionali del credito, come JP Morgan, di ex ministri del Tesoro come Grilli. Se si considera però che oggi a fondare il “Polo Sovranista” è quel Gianni Alemanno che da ministro dell’Agricoltura e da sindaco di Roma è stato un pupazzo della Philip Morris, bisogna concludere che ci sarà anche dell’altro su cui stare bene in guardia.
 
La cronaca “europea” della scorsa settimana è stata segnata dalle dichiarazioni, poi parzialmente rimangiate, del cancelliere tedesco Angela Merkel su una “Europa a due velocità” da formalizzare già al prossimo vertice di Roma. I media hanno sbrigativamente tradotto le posizioni della Merkel con l’ossimoro di una “doppia moneta unica”, una per i Paesi del nord ed un’altra per i Paesi del sud. Non sono mancati i consueti commenti circa l’influenza della campagna elettorale in Germania su questa presa di distanze della Merkel dalla consueta dogmatica dell’Unione Europea.
In realtà i Tedeschi sono scontenti dell’UE perché gli è stato fatto credere che il crollo dei loro redditi sia causato dalla necessità di sacrificarsi per soccorrere i cosiddetti PIIGS. Dato che così non è, alla Merkel basterebbe consentire un aumento dei salari in Germania per fare tutti contenti, all’interno come all’esterno. Un aumento della domanda in Germania stimolerebbe l’economia dei Paesi UE più in difficoltà ed il contestuale aumento del costo del lavoro nella stessa Germania renderebbe le merci tedesche un po’ meno competitive, diminuendo così il destabilizzante surplus commerciale tedesco.
Ma ciò non accadrà, poiché l’UE non era affatto nata per favorire l’integrazione economica dell’Europa. Gli interessi erano soltanto finanziari e militari. La deflazione causata dall’euro rende più forti i creditori nei confronti dei debitori, e quindi va a favore delle multinazionali finanziarie. Gli USA sono stati determinanti nella nascita dell’euro e nella sua conservazione, poiché l’euro consente di compattare in funzione anti-russa Paesi che, come l’Italia, rischiavano di farsi risucchiare economicamente nell’orbita della Russia. Sino a qualche anno fa gli USA erano disposti a pagare il prezzo salato che l’euro comportava in termini di depressione dell’economia mondiale. Pare che non siano più disposti oggi, dato che le merci tedesche hanno invaso il mercato statunitense a causa della sottovalutazione dell’euro rispetto all’effettivo potenziale dell’economia della Germania. D'altro canto il presunto "disimpegno" americano in Europa potrebbe davvero cambiare qualcosa? E' vero che gli USA non sono riusciti a mettere Putin all'angolo, che i costi dei loro impegni militari sono mostruosi, ma sembra esserci la necessità di una riorganizzazione della gerarchia internazionale senza la quale il "protezionismo coloniale" avrebbe qualche difficoltà. Senza una ostentazione di forza militare da parte degli USA, altri paesi potrebbero rispondere a loro volta col protezionismo. Certo è che l’UE e l’euro sarebbero travolti non tanto dai dazi ma da una svalutazione del dollaro che, per ora, non è arrivata.
Non sarebbe comunque la prima volta che gli USA distruggono ciò che essi stessi hanno creato perché non gli fa più comodo. Nel 1919 il presidente USA, Woodrow Wilson, impose la nascita della Jugoslavia per impedire all’Italia il controllo del Mare Adriatico. Per sostenere la sua posizione Wilson non esitò ad accusare l’Italia di imperialismo (per la serie del bue che dice cornuto all’asino). La stessa Jugoslavia negli anni ‘90 è stata poi distrutta dagli USA in concerto con la Germania e, grazie ad una notevole manipolazione mediatica, anche le “sinistre radicali” furono indotte a plaudire al “risveglio etnico” che dissolveva Stati che erano apparsi prima inamovibili.

Pur collocata dagli USA sul maggiore scranno della UE, la Germania non ha mai mostrato di credere realmente in questa costruzione. Nel 2003 tramontava l’illusione del governo francese di poter usare l’euro per acquistare direttamente materie prime sui mercati internazionali, poiché l’invasione USA dell’Iraq servì appunto a punire Saddam Hussein per il fatto che vendeva petrolio in cambio di euro invece che di dollari. Nello stesso 2003 il governo tedesco lanciò il piano Hartz per ridurre i salari in Germania. Il governo tedesco non si accontentava quindi del vantaggio che l’euro consentiva alle merci tedesche, ma apriva addirittura una corsa a comprimere il costo del lavoro in modo da accumulare il maggior surplus commerciale possibile.
Ciò indica che i governi tedeschi non hanno mai creduto alla sopravvivenza dell’UE e dell’euro; e che l’UE e l’euro, nati come armi da guerra contro la Russia, venivano usati dalla Germania anche per deindustrializzare il suo principale concorrente commerciale, cioè l’Italia, non a caso bersaglio preferito della Commissione Europea. La Germania non deve neanche affannarsi più di tanto per raggiungere il suo scopo, poiché ci pensa la lobby dello spread. La moneta “unica” è infatti un inganno. La moneta è composta di banconote e di debito pubblico, cioè di titoli del Tesoro: nel caso dell’euro le banconote sono controllate dalla Banca Centrale Europea, mentre i titoli del Tesoro sono ancora emessi dagli Stati, che però pagano interessi diversi. In questa tenaglia è stata stritolata la Grecia e si può stritolare l’Italia.

Risulta quindi fuori luogo la sorpresa suscitata dalla minaccia della Commissione Europea di mettere l’Italia in procedura d’infrazione per il famoso “zero virgola due”. La Brexit e CialTrump non hanno per niente indotto Juncker e colleghi a maggiore prudenza e buonsenso poiché la Commissione Europea, e l’apparato che la supporta, non si pongono affatto problemi di sopravvivenza dell’UE, ma ragionano esclusivamente in base agli interessi della lobby dello spread, cioè la lobby di finanzieri internazionali che esige alti interessi sul debito pubblico da Paesi che sono ancora in grado di pagarli, come l’Italia. L’Unione Europea è un allevamento di lobbisti e costituisce il paradiso delle porte girevoli tra cariche pubbliche e carriere nel privato, ed il tutto è rigorosamente documentato da tempo, con dovizia di dettagli. La porta girevole che ha portato l’ex presidente della Commissione Europea, Manuel Barroso, alla dirigenza di Goldman Sachs dovrebbe costituire una preoccupazione urgente per tutti gli “europeisti”, i quali insistono invece a distrarci con voli pindarici. Ma gli europeisti non esistono, i lobbisti invece esistono, eccome. La delegittimazione delle istituzioni europee è tale che oggi la vera domanda che tutti si pongono è in quali multinazionali finanziarie concluderanno felicemente la loro carriera gli autori della lettera dello “zero virgola due”, Juncker e Moscovici.
A proposito di lobbisti mascherati, ci si è chiesti da più parti come si collochi l’ultima sortita del Super-Buffone di Francoforte in questo contesto di sfaldamento dell’UE. Mario Draghi farnetica di trecentoquaranta miliardi di euro di tangente da versare per permettere all’Italia di uscire dall’euro, quando ormai sarebbe evidente che è l’euro che sta uscendo dall’Europa.
La farneticazione del presidente della BCE contiene comunque un messaggio recondito, e cioè che la vita dell’euro dovrà perpetuarsi oltre la sua morte, con una scia di ulteriori sacrifici da imporre a lavoratori e risparmiatori.
La risposta immediata a Draghi dovrebbe essere quella di sottrarre il debito pubblico ai cosiddetti “mercati” (cioè la lobby dello spread) per usare i titoli del Tesoro solo all’interno, per effettuare i pagamenti della Pubblica Amministrazione e per mettere al sicuro il risparmio delle famiglie. Si tratta di una vecchia proposta, ripresa qualche giorno fa - non si sa quanto seriamente - anche dalla Lega. A rendere improbabile una tale misura di autonomia finanziaria non sono soltanto gli enormi rischi personali di chi dovrebbe adottarla, ma anche il fatto che lo spread e l’austerità si avvalgono di una lobby interna, tutta italiana, che lucra sugli alti interessi del debito pubblico, sul credito al consumo (e sul relativo recupero crediti), sul caporalato istituzionalizzato, sulle privatizzazioni e sull’intermediazione per la svendita all’estero dei patrimoni immobiliari.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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