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"Il capitalismo non è altro che il rubare ai poveri per dare ai ricchi, e lo scopo della guerra psicologica è quello di far passare il vampiro per un donatore di sangue; perciò il circondarsi di folle di bisognosi da accarezzare, può risultare utile ad alimentare la mistificazione."

Comidad (2009)
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 20/07/2023 @ 00:10:08, in Commentario 2023, linkato 7706 volte)
Ogni tanto la cosiddetta divulgazione scientifica si invaghisce di qualche narrazione e ce la propina in tantissime versioni, diverse per alcuni dettagli, ma sostanzialmente univoche nel messaggio “pedagogico”. Da qualche anno c’è una documentaristica molto ricca sul tema dell’estinzione dell’Uomo di Neanderthal; e il busillis sta appunto nel capire come avremmo fatto noi, della specie Homo Sapiens Sapiens, ad accoppare quel fesso di Uomo di Neanderthal. Ovviamente si tratta del solito cumulo di elucubrazioni costruito su dati empirici assolutamente insufficienti, ma l’importante è sollecitare la nostra vena di megalomania. L’arte del pedagogo e quella del truffatore in fondo si somigliano, perché entrambe consistono nel premere il bottoncino della tua mania di grandezza per indurti a fare qualcosa. Abbiamo visto come si sia riusciti ad indurre le masse a sorvolare sull’inefficacia e sulla tossicità dei cosiddetti vaccini, semplicemente trasformando la vaccinazione in un test di moralità e di intelligenza.
Anche la nostra Giorgia Meloni è un po’ pedagoga e un po’ truffatrice, infatti sta sempre a fregarti o negarti qualcosa in nome dell’alternativa di qualche luminoso destino. Quasi tutti i governi europei hanno istituito il salario minimo come meccanismo parzialmente compensativo alle leggi sulla precarizzazione, che hanno determinato un crollo verticale del potere contrattuale dei lavoratori. Nell’avara Italietta invece diventa impossibile. Secondo la Meloni infatti il salario minimo sarebbe uno specchietto per le allodole, mentre la strada maestra per aumentare i salari sarebbe quella di diminuire le tasse sul lavoro. Cari lavoratori, non disperate, perché un giorno anche voi farete parte della razza eletta di quelli che non pagano le tasse. La Meloni rincara la dose spiegandoci che non si può pagare un ventenne perché se ne stia davanti alla televisione, magari a guardare la stessa Meloni che rilascia interviste a Vespa. Giorgia inoltre irride i 5 Stelle che si illudevano di comprarsi i voti con la promessa del Reddito di Cittadinanza. In effetti può darsi benissimo che la promessa di togliere il RDC abbia reso in termini elettorali molto di più della promessa di mantenerlo. Demagogia e pedagogia non sono affatto incompatibili. Ve la siete spassata e adesso dovete espiare: è un messaggio che fa presa. Lo slogan elettorale della Meloni era “la pacchia è finita”; non si è capito bene quale pacchia fosse, ma l’importante era di vendere questa aspettativa punitiva di regolamento di conti e di vendetta sociale.
Giuseppe Conte dovrebbe rifletterci. Quand’è stato che gli è toccato il massimo della popolarità? Quando il suo primo governo ha istituito il Reddito di Cittadinanza? No. Allora quando il suo secondo governo ha istituito il Superbonus? No. Il top del successo personale il nostro “Giuseppi” lo ha riscosso quando ha imposto il lockdown, cioè quando ha inflitto all’economia italiana danni analoghi a quelli della seconda guerra mondiale, gettando sul lastrico milioni di persone. Eppure quel clima di palingenesi sociale è stato un evento unico ed irripetibile. I soliti media mendaci hanno attribuito a Draghi il “merito” della campagna vaccinale. Ma non è vero, infatti il momento magico della campagna vaccinale è stato durante il governo Conte, quando milioni e milioni di persone si sono trasformati in cavie felici di esserlo, andando incontro ai sieri sperimentali con l’euforia e l’ebbrezza del primo appuntamento per un adolescente. C’è chi ancora rimpiange quei bei tempi, quelle meravigliose prove tecniche di demapedagogia.
Qualunque sprovveduto può sentirsi un grande economista sputando la solita ovvietà: “Non ci sono pasti gratis”. Intanto per qualcuno i pasti gratis ci sono, eccome; perché paga qualcun altro, più povero. Nel 2003 è fallito il fondo pensionistico dei dirigenti d’azienda, perciò a farsi carico delle faraoniche pensioni, assegnate con contributi insufficienti, sono stati i pensionati dell’INPS, costretti persino a dilazionare l’età pensionabile. Si può indurre la gente a pagare anche per vendergli digiuni, stenti e miserie.

L’accesso alla moneta unica ha comportato una spesa onerosa per l’Italia, cioè si è investito per creare deflazione, cioè miseria. La quota di adesione dell’Italia al Meccanismo Europeo di Stabilità è di centoventicinque miliardi, i quali, una volta versati, si potrebbero riottenere in prestito ad interesse e persino con vincoli di spesa. Il MES è un esempio classico, canonico, di digiuno a pagamento; e c’è da molto prima che inventassero le app per dimagrire col digiuno intermittente. La distribuzione iniqua del reddito è il fondamento di ogni gerarchizzazione sociale, e garantire questa iniquità non è automatico, bensì comporta costi e spese. Questa costante storica delle società gerarchiche si è però esasperata nell’attuale epoca del dominio del lobbying finanziario, per cui l’Unione Europea, pur di perpetuare le bolle finanziarie dei titoli “green”, non esita a gettare risorse in un irrealistico progetto di abbandono in tempi stretti dei combustibili fossili.
Per digiunare si è spesso costretti a pagare molto di più che per mangiare. La caduta nella spirale dell’indigenza è dovuta più al lavoro che al non lavoro. I bassi salari possono determinare un fenomeno sociale molto pericoloso, cioè il lavorare in perdita, accettando salari che non coprono i costi di trasporto pur di non rimanere tagliati fuori dal mercato del lavoro. Per molte persone la più importante tassa sul lavoro è rappresentata dalle accise sulla benzina; il problema è che quelle accise sono una tassa anche sulla ricerca del lavoro, dato che non c’è app che possa sostituire il presentarsi di persona. La Meloni aveva promesso non solo la castrazione chimica degli stupratori, ma anche la “sterilizzazione” (?) delle accise; mica di togliere le accise, infatti le ha aumentate. Il lavoro può diventare un devastante fattore di pauperizzazione. Spesso coloro che più si sono dati da fare, sono anche quelli che più rapidamente sono caduti nell’indigenza; e magari gli tocca pure sentirsi chiamare fannulloni. L’Homo Sapiens Sapiens questo è. Che vi credevate?
“Non ci sono digiuni gratis” è una formula che indica una costante della società, cioè che i poveri sono chiamati a pagare per impoverirsi, spesso a pagare per farsi licenziare. Il lavoratore paga tasse e accise con le quali i governi finanziano le imprese, le quali con quei fondi possono delocalizzare la produzione, oppure spostare la loro attività verso la speculazione di Borsa. Alla fine degli anni ’70 furono i soldi pubblici della legge per la riconversione industriale a consentire alla FIAT di licenziare migliaia di lavoratori; e intanto i media ci distraevano con la pagliacciata della Marcia dei Quarantamila. Milioni di italiani non hanno mai sentito nominare Invitalia, l’agenzia nazionale per lo sviluppo d’impresa; eppure si tratta del maggior ente assistenziale per ricchi, e quell’assistenzialismo costa. Miliardi di denaro pubblico devono essere elargiti per creare bolle imprenditoriali di vita breve, ma che in compenso alimentano sostanziose ricchezze private.
Fortunatamente c’è ancora una “sinistra” politicorretta che sta lì a far credere alla gente che le tasse servano a pagare i servizi pubblici. A ben guardare, la fascista Meloni ed i politicorretti suoi avversari non sono poi così diversi, si muovono sulla stessa demapedagogia punitiva ed espiatoria che tanto affascina l’opinione pubblica. Tutti insieme fanno una sorta di “fascisticamente corretto” all’insegna del pauperismo. Ogni tanto fascisti e politicorretti fanno finta di denunciarsi a vicenda e di rinfacciarsi le loro rispettive magagne; e sono talmente meccanici che finiscono per credere alle loro stesse pantomime. Su twitter il senatore Lucio Malan, di Fratelli d’Italia, ha “denunciato” i progetti pauperistici del network C40, composto da sindaci di tutto il mondo che si impegnano nell’ecosostenibilità. Tra i finanziatori di questo network c’è di tutto, compreso il solito Soros. Forse Malan pensa davvero di spaventare l’opinione pubblica facendole sapere quanto siano malintenzionati i politicorretti, i quali ci prospettano un futuro di razionamenti persino del cibo e del vestiario. Non si sa se Malan lo è o ci fa; però dovrebbe sapere che questo è il business, cioè vendere miseria e restrizioni scegliendo ogni volta lo spot ed il testimonial adatti. Un domani potrebbe essere proprio la Meloni ad ammonirci che “la pacchia è finita”, e che bisogna pagare per digiunare.
 
Di comidad (del 27/07/2023 @ 00:11:22, in Commentario 2023, linkato 8106 volte)
Da circa due anni i media mainstream stanno cercando di riciclare il mito della “stagflazione”, che già tanta fortuna riscosse negli anni ’70. Oggi il termine “stagflazione” viene però rivenduto in accoppiata semantica col termine “spettro”, come nel famoso incipit del “Manifesto dei Comunisti” di Marx ed Engels. La parola “spettro” consente infatti di immergere il tutto in un’atmosfera gotica e notturna per rendere meno evidenti le contraddizioni narrative. Un articolo di “Lavoce.info” dell’ottobre del 2021 (prima della guerra e delle supersanzioni alla Russia) si nascondeva dietro lo “spettro” della stagflazione per non spiegarci a cosa fosse dovuta un’inflazione dei prezzi delle materie prime che non corrispondeva ad alcun aumento della domanda.
I creduloni affezionati alla fiaba edulcorata del capitalismo produttivo e “sviluppista” ci sono sempre. Ma oggi è meno facile vendere il mito della stagflazione a tutti, perché si sa che a Chicago e Amsterdam ci sono mercati finanziari di titoli sulle materie prime (le “commodity”); titoli la cui funzionalità dovrebbe consistere nell’ottenere la merce sottostante indipendente dal luogo o dal produttore. Sulle “commodity” ci sono anche dei titoli derivati, i ”future”, che dovrebbero essere delle assicurazioni a scadenza sulla materia prima in questione. In astratto tutto questo mercato di titoli dovrebbe garantire compratori e venditori dall’alea del mercato; di fatto è l’opposto, perché consente di scommettere sui prezzi futuri delle materie prime. Si crea così l’effetto bisca, fatto di scommesse e di rilanci sulle scommesse. Il prezzo di un “future” può lievitare al punto di superare di molte volte il valore del bene assicurato; sennonché tra il titolo ed il suo sottostante si crea un effetto di rimbalzo, per cui l’uno insegue il prezzo dell’altro.
Queste cose è già difficile capirle oggi; anzi, non si è mai sicuri di averle proprio capite. Ma negli anni ’70 certi fatti non li potevamo neppure sapere, perché non c’era internet, quindi non era possibile accedere agli archivi del “New York Times”. Chi avesse letto il NYT del 4 aprile del 1972 avrebbe saputo che a Chicago e New York il mercato delle “commodity” stava registrando un boom senza precedenti; si stava cioè creando una bolla finanziaria che non corrispondeva alla domanda ed all’offerta di beni reali, bensì alla speculazione su titoli derivati. In base a quell’articolo era facile prevedere ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, cioè l’esplosione dei prezzi delle materie prime, ed in particolare del petrolio. Come si potevano dissimulare gli effetti depressivi delle bolle finanziarie sull’economia reale? Venne chiamato qualche pubblicitario con talento di poetastro, e gli si fece confezionare un bell’ossimoro che confondesse le menti: “stagflazione”.
Il capitalismo non è quello che ci hanno raccontato; anzi, il capitalismo, e persino lo Stato, sono astrazioni giuridiche, mentre i soggetti concreti in campo sono le lobby d’affari, trasversali al pubblico ed al privato, al legale ed all’illegale. Nel cosiddetto capitalismo il ruolo del lobbying finanziario è sempre stato prevalente rispetto alle esigenze produttive. Oggi qualche sospetto comincia a diffondersi, ma negli anni ’70 fu molto facile scaricare la colpa sui “salari troppo alti” e convincere i dirigenti sindacali a calarsi le brache. Di questi tempi è un po’ ostico parlare di salari troppo alti, però l’Italietta, con la sua finta aria frivola e svagata da Paese dei Campanelli, riesce sempre ad eccellere in campo internazionale quando si tratta di crudeltà e avarizia; perciò ci vengono negati anche i palliativi diffusi quasi ovunque, come il salario minimo ed i sussidi di disoccupazione. L’imbecille professionista riesce sempre a travisare certe notizie come se riguardassero teorie cospirative, mentre in effetti si tratta di automatismi mentali e comportamentali. I potenti non cospirano: sono cospirati dal loro status e dai loro interessi di lobby.

Nel 1962 l’Italietta era in pieno boom economico, il PIL si era raddoppiato in pochi anni; eppure anche allora si aggirava uno “spettro”. Di che spettro si trattasse, ce lo spiegò l’anno dopo la relazione della Banca d’Italia relativa all’anno1962, redatta dall’allora Governatore Guido Carli. Lo spettro apparso a Carli era quello dei “salari troppo alti”; in quanto, secondo lui, i salari italiani non corrispondevano alla “produttività”. Ovviamente non si forniva alcun riscontro empirico di tale affermazione, che veniva data per scontata. Ciò perché i lavoratori guadagnano sempre troppo; anzi, è pure troppo che vengano pagati, dato che, come si dice comunemente: “si stanno imparando un mestiere”. In quella relazione del 1963, Carli lanciava un’espressione che avrebbe incontrato sempre più successo negli anni successivi: “politica dei redditi”.
Insomma, secondo Carli la priorità non era lo sviluppo economico; anzi, troppo sviluppo consentiva ai lavoratori di approfittarne per allargarsi ed avanzare pretese, facendo saltare le gerarchie sociali, dove il rango è indicato dal reddito. I poveri ci devono essere per forza, altrimenti si creerebbe una sgradevole sensazione di uguaglianza. La Banca d’Italia è l’ente assistenziale per creditori, perciò Carli indicava la priorità di tutelare la lobby dei creditori (le “aziende di credito”, alias le banche), quindi occorreva evitare il rischio di svalutazioni della lira con l’eccessivo acquisto di materie prime, anche a costo di comprimere la domanda interna e di sacrificare un po’ di industrie. Alla politica si intimava di adeguarsi; infatti negli anni successivi il segretario del Partito Repubblicano, Ugo la Malfa, si incaricò di rendere popolare l’espressione “politica dei redditi”, un eufemismo per dire “compressione dei salari”. Più di vent’anni prima del best seller “Donne che amano troppo”, Guido Carli aveva già scritto il grande libro-guida, la bibbia dell’Italietta: “operai che guadagnano troppo”.
La politica si adeguò immediatamente ai consigli di Carli. Nel 1964 avvenne una fuga di capitali all’estero, attratti da titoli con interessi più alti, a dimostrazione che i soldi seguono i soldi e non lo sviluppo economico. Niente di irreparabile, ma l’evento avverso divenne il pretesto per il primo grande esperimento di austerità, cioè il raffreddamento forzato dell’economia, ovviamente a partire dal Meridione, che da sempre funziona da valvola quando si vuole sgonfiare l’economia. I media sintetizzarono questi eventi con un appellativo di origine astrologica: “congiuntura”. Ma si seppe fare anche di meglio che semplici provvedimenti di austerità, infatti il 1964 fu l’anno del “Piano Solo”, il colpo di Stato allestito dal generale De Lorenzo e dal Presidente Segni. Il golpe si fermò a metà, ma ottenne ugualmente l’effetto intimidatorio; infatti il Partito Socialista, da poco entrato nell’area di governo, si affrettò, quasi al completo, a sottomettersi al Carli-pensiero; con l’unica eccezione dell’ultimo dei grandi sindacalisti, Giacomo Brodolini. Un giornale che aveva denunciato il golpe, “l’Espresso”, fece addirittura ammenda, ospitando articoli che Carli firmava con lo pseudonimo di Bancor.

Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, il “Piano Solo” avrebbe inaugurato la “Strategia della Tensione”, che poi sarebbe letteralmente esplosa cinque anni dopo a Piazza Fontana. In effetti non era “Strategia della Tensione”, ma “Politica dei Redditi”. Gli aumenti salariali ostacolano la riproduzione delle gerarchie sociali, perciò i salari vanno contenuti con ogni mezzo, anche con i colpi di Stato e con le bombe. Un sistema che ha come ragione sociale la disuguaglianza percepirà ogni rivendicazione salariale come un atto sovversivo, e come tale lo tratterà. Lo stesso Carli, in un dibattito televisivo, sbatté questa verità in faccia al segretario della UIL, Giorgio Benvenuto, facendolo quasi scoppiare in lacrime. Coloro che oggi si atteggiano ad amici del salario potranno reggere il ruolo finché l’avversario è la Meloni; ma quando bisognerà vedersela con le Procure, l’illusione crollerà.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


03/05/2024 @ 10:00:51
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