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"Il capitalismo non è altro che il rubare ai poveri per dare ai ricchi, e lo scopo della guerra psicologica è quello di far passare il vampiro per un donatore di sangue; perciò il circondarsi di folle di bisognosi da accarezzare, può risultare utile ad alimentare la mistificazione."

Comidad (2009)
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 03/08/2023 @ 00:28:52, in Commentario 2023, linkato 7985 volte)
La suscettibilità è una di quelle tecniche di sopraffazione che appartengono al novero del pre-politico e del pre-ideologico, attengono all’antropologia culturale e sono trasversali e riscontrabili in tutti i gruppi umani, anche i più insospettabili. Fare l’offeso ed invocare la “lesa Maestà”, sono facili espedienti per appellarsi al sostegno di seguaci e complici contro i disturbatori, però abusarne comporta degli inconvenienti. Le persone più serie cominceranno infatti a sgamare l’inconsistenza che si nasconde sotto la pretestuosità di certe indignazioni, mentre i soggetti della stessa specie di chi si atteggia a offeso, potranno a loro volta fare appello ai propri accoliti. Matteo Salvini ricorre a questo tipo di psicodrammi con sempre più frequenza e goffaggine; qualche anno fa gli era riuscito persino di miracolare una Giovanna d’Arco da strapazzo trasformandola in un’eroina mondiale. Ora Salvini ha messo su un altro gioco delle parti con un esponente della finta antimafia di establishment, don Luigi Ciotti.
Bisogna però riconoscere ai due contendenti della pantomima ed alle loro claque, di star svolgendo una funzione di distrazione non da poco, visto che l’attenzione si sta spostando, come al solito, sul ruolo delle mafie di rango inferiore, che, nella vicenda del fantomatico Ponte sullo Stretto di Messina, entreranno solo per ciò che riguarda i subappalti. Il primo mangiatore del grande affare è infatti la multinazionale Salini Impregilo, quella che oggi si fa chiamare Webuild, in modo da precostituirsi un’etichetta-alibi che celi la sua vera attività, cioè far soldi senza costruire nulla. C’era chi si preoccupava che, dopo la cessazione dell’incarico di presidente di Leonardo-ex Finmeccanica, l’ex poliziotto e agente segreto Gianni De Gennaro finisse ai giardinetti, invece è stato nominato presidente di Eurolink, il consorzio che rappresenta l’appaltatore del progetto del Ponte, di cui Webuild è il principale componente. L’affare del presunto Ponte quindi nasce con le “coperture” giuste.
Se Matteo Salvini fosse davvero convinto della realizzazione del Ponte, non avrebbe dato peso alle dichiarazioni di don Ciotti, invece nella circostanza gli è tornato utile qualcuno a cui attribuire il ruolo del disfattista. Come già si è visto in passato, il grande giro dei soldi non è legato alla costruzione dell’opera, bensì all’elaborazione del progetto ed alle speculazioni finanziarie e immobiliari che fanno da contorno. Il preventivo dell’opera è salito da dieci a quindici miliardi, ma già si ammette che neanche quelli basteranno; non è neppure prevista una copertura finanziaria, e sarebbe anche inutile, visto che i veri costi non si conoscono ancora. L’Unione Europea non dice di no al finanziamento, ma neanche di sì. Insomma, ci si spaccia il Ponte per un’altra Autostrada del Sole, che intercettava la motorizzazione di massa; mentre invece ci prospetta un doppione del caso TAV, cioè una dispendiosa finzione a vantaggio di imprese private specializzate non nel produrre ma nel prendere soldi pubblici.
Ormai il progetto del Ponte è legge e nessuna critica potrebbe mai fermarlo, se però ci fosse davvero l’intenzione di farlo. Al contrario, il tambureggiamento mediatico farà passare ogni perplessità come un attivo impedimento, come un atto di irresponsabile disfattismo, anzi di sabotaggio. Ma il campo nel quale la criminalizzazione preventiva del dubbio sta assumendo forme parossistiche, è certamente quello del riscaldamento globale da emissione di CO2. La proposta naif del deputato Angelo Bonelli di criminalizzare per legge il “negazionismo climatico”, ha svolto ancora una volta una funzione di distrazione, poiché certe operazioni di irreggimentazione dell’opinione non si fanno per legge, bensì attraverso il “principio del capo”, cioè imponendole attraverso il puro senso della gerarchia. Che dubitare non sia lecito l’ha detto l’ONU , soprattutto, l’ha detto Mattarella.

Secondo l’attuale vulgata, il ruolo di alfiere del negazionismo climatico sarebbe delle destre. Il governo Meloni però non nega un bel niente; anzi, ha approfittato del riscaldamento globale per bloccare i fondi stanziati per il riassetto idrogeologico, in quanto tutti i progetti a riguardo andrebbero riadattati alla nuova situazione climatica. Dato che, secondo la narrativa mediatica, l’emergenza climatica si aggrava con un’accelerazione esponenziale, anche i progetti di riassetto idrogeologico andranno nuovamente riadattati, perciò un pretesto per dirottarne i fondi si troverà sempre.
Ci sarà sempre il tonto che si presterà, per convenienza o ingenuità, a svolgere il ruolo del “negazionista climatico” da mettere alla gogna nei talk show. Nella finto-sinistra politicorretta c’era anche chi si illudeva che la Meloni, in quanto fascista, potesse incarnare il male del negazionismo climatico. Ma proprio perché è fascista, la Meloni agisce da macchinetta gerarchica, infatti si è già conformata al diktat dei capi. Ospite di Biden a Washington, la Meloni ha affermato che il riscaldamento globale è una “minaccia letale”. Bonelli sperava di essere prescelto lui per fare il grande ispettore delle nostre coscienze, invece ci penserà la Meloni.
La “minaccia letale” di cui parla la Meloni, sicuramente si materializzerà nelle tasche dei contribuenti poveri, che dovranno pagare una montagna di ecotasse sui consumi energetici e sulla riconversione “green”. Ciò che invece non è ancora chiaro, è perché sia così fondamentale per gli emergenzialisti climatici criminalizzare i dubbi. Il punto è che la riconversione green e la rinuncia ai combustibili fossili, rimangono allo stadio di mito di chimera; mentre la realtà in atto è solo quella di una bolla mediatico-finanziaria, quella dei titoli ESG, cioè la cosiddetta finanza “sostenibile” e “green”. Tutte le grandi multinazionali finanziarie concorrono a gonfiare nelle Borse la bolla ESG, ma chi si sta adoperando più degli altri è il fondo BlackRock, che tempo fa aveva persino annunciato che si sarebbe specializzato in questo ramo della finanza “sostenibile”.

Sennonché si è scoperto che non era vero niente. BlackRock si comporta come se la riconversione ecosostenibile fosse una bolla finanziaria destinata a scoppiare, come altre bolle finanziarie in passato; perciò BlackRock sta continuando ad investire in carbone, petrolio e gas. Il fatto che le multinazionali finanziarie investano nel “sostenibile” ed anche in carbone e idrocarburi, smentisce totalmente le fake news secondo le quali dietro il “negazionismo climatico” ci sarebbero gli interessi della lobby dei combustibili fossili. Ma anche senza sapere del doppiogiochismo di BlackRock, sarebbe bastato considerare gli attuali extraprofitti delle aziende che vendono gas in seguito all’esplosione dei prezzi dal 2021. L’annuncio della transizione energetica al green ha infatti creato immediatamente il timore che non si investisse più in estrazione di combustibile fossile e quindi si determinasse una scarsità del prodotto. L’ovvia conseguenza è stata una lievitazione dei prezzi, soprattutto del gas. In tal modo, oltre la bolla dei titoli ESG, ora abbiamo anche una bolla finanziaria delle “commodity” e dei “future” sul gas. In base al codice penale l’emergenzialismo climatico è un reato di aggiotaggio e di manipolazione del mercato.
Qualcuno si ricorderà dell’arroganza della rappresentante di Pfizer davanti al parlamento europeo. La stessa arroganza è stata esibita da BlackRock quando i parlamentari britannici hanno chiesto spiegazioni a proposito degli investimenti nel combustibile fossile. La vera notizia non sta nella protervia di BlackRock, che fa i suoi affari, ma nell’atteggiamento rassegnato dei parlamentari, che accettano tranquillamente questa gerarchizzazione antropologica, per cui c’è chi può fare quello che gli pare, e chi invece viene disciplinato nel comportamento e nel pensiero. Ai poveri si impongono ecotasse, mentre per BlackRock non si osa neppure avanzare l’ipotesi di sovra-tassare i profitti ricavati dagli investimenti sul fossile. La legge e lo Stato sono finzioni, ciò che conta sono le gerarchie antropologiche. A rispondere dei fallimenti della riconversione al “sostenibile” infatti non saranno gli esseri superiori che stanno nelle multinazionali e nei governi, bensì i “negazionisti”.
C’è quindi un’affinità tra il Ponte sullo Stretto di Messina e la riconversione energetica senza emissione di CO2. Nessuno di questi progetti è infatti in grado di prospettare neppure lontanamente un quadro dei costi ed un percorso di realizzabilità, perciò il tutto si risolve in una speculazione finanziaria fine a se stessa ed in una colpevolizzazione preventiva di chi fa domande. L’inconcludenza produttiva di quei progetti deve però assolutamente trovare un alibi, un capro espiatorio, un mostro contro cui indirizzare l’odio dell’opinione pubblica ed al quale attribuire la colpa del ritardo e del fallimento. La colpa del “sabotaggio” se la prenderanno i disfattisti nel caso del Ponte, e i negazionisti nel caso dell’emergenza climatica.
 
Di comidad (del 10/08/2023 @ 00:00:39, in Commentario 2023, linkato 7844 volte)
Uno dei mantra dell’ottimismo antropologico è che la verità alla fine verrebbe sempre a galla. La verità non ha però nessun bisogno di venire a galla, dato che se ne stava lì sin dall’inizio, evidente quanto irrilevante; magari qualcuno ogni tanto la nota, la richiama pure, ma poi tutto procede come se niente fosse. Riguardo alla guerra in Ucraina, i media nostrani continuano a disinformare con assoluta disinvoltura, ma la stampa ucraina purtroppo ha a che fare con un’opinione pubblica che verifica i fatti sulla propria pelle, per cui, per quanto gestita dal governo, qualcosa deve riconoscere di quanto effettivamente accade. Nel luglio scorso il “Kyiv Post” ha infatti dato la notizia sull’inefficacia dei sistemi di difesa “Patriot” e SAMP/T contro gli attacchi missilistici russi. Dall’articolo del “Kyiv Post” sembrerebbe però che i problemi del “Patriot” riguardino soltanto la minaccia da parte di missili di ultima generazione. La storia del “Patriot” è invece molto più lunga ed ancor meno gloriosa.
Il sistema SAMP/T è prodotto da un consorzio italo-francese, composto da Leonardo ed Airbus; tra progettazione e realizzazione, il sistema SAMP/T ha una ventina d’anni di storia, ma solo ora sta finalmente dando cattiva prova di sé. Il sistema statunitense “Patriot”, progettato in almeno otto versioni dalla Raytheon Technologies, ha invece un annoso curriculum di documentati fallimenti, a partire dal suo primo utilizzo nella Guerra del Golfo del 1991; tanto che può essere considerato un caso paradigmatico per comprendere come funziona il sistema. L’inefficacia del “Patriot” si era infatti manifestata nei confronti di una minaccia missilistica particolarmente “arretrata”, come gli “Scud” iracheni, cioè degli ordigni progettati dall’URSS sul modello delle V2 della seconda guerra mondiale, poi riadattati alla circostanza e ribattezzati “Al-Husayn”. La deludente prova del “Patriot” suscitò una serie di ipotesi e di inchieste, ed anche di insabbiamenti, sia da parte dell’esercito statunitense, sia da parte del Congresso.
Il 26 marzo del 2018 si verificò addirittura il “fattaccio” clamoroso nella capitale saudita Riad, quando, per reagire ad un attacco delle solite imitazioni V2 lanciate dai ribelli yemeniti, un missile antimissile “Patriot” causò una catastrofe, trasformandosi in un proiettile contro chi lo aveva lanciato. I tentativi di nascondere o minimizzare il fallimento furono vani e la notizia fu diffusa per un po’ di tempo da tutta la stampa internazionale; finché, ovviamente, le pressioni lobbistiche non l’hanno fatta cadere nel dimenticatoio.
Si può immaginare la soddisfazione del governo saudita, che aveva pagato a peso d’oro quel micidiale bidone. Ogni missilino “Patriot” costa infatti tra i tre ed i quattro milioni di dollari; basterebbe questo per capire che si tratta di una frode, persino se funzionasse. La stessa Raytheon, pur con i suoi prezzi gonfiati, secondo l’agenzia ANSA vende i suoi missili BGM-109 Tomahawk a “soltanto” ottocentomila dollari l’uno, quindi basta insistere con gli attacchi per rendere insostenibili i costi del sistema di difesa. Insomma, nella guerra reale vince il “low cost”.

La barriera del “Patriot” infatti non è stata infranta per la prima volta dai lussuosi missili ipersonici, bensì da economiche V2 riadattate dagli iracheni nel 1991 e, negli anni recenti, dagli iraniani che rifornivano i ribelli yemeniti. In un video registrato all’epoca si può osservare la dinamica di questa sorta di auto-bombardamento, di “fuoco amico”, causato dal “Patriot”. Non si sa come siano andate le cose quando è stata colpita la cattedrale di Odessa, ma i media mainstream hanno deliberatamente ignorato dei precedenti che potevano suggerire altre ipotesi oltre quella del bombardamento russo.
Pochi mesi prima, nel dicembre del 2017, il “New York Times” aveva dato notizia di un’altra figuraccia del sistema “Patriot” installato in Arabia Saudita. Il quotidiano forniva anche dettagli sui tentativi del governo saudita e del presidente Trump di occultare quella penosa performance e di spacciarla addirittura per un successo. Nei mesi scorsi i media occidentali si sono impegnati in narrative su inesistenti vittorie del “Patriot” contro i missili ipersonici russi; ma occorre tenere presente che qui la questione non riguarda l’eventuale obsolescenza del “Patriot” a fronte delle nuove tecnologie ipersoniche (ammesso che siano davvero nuove), bensì la sua accertata incapacità ad opporsi ad attacchi missilistici operati con tecnologie di ottanta anni fa, quando i missili fabbricati dagli schiavi alle dipendenze di Wernher von Braun bersagliavano Londra. Proprio perché il “Patriot” non è mai stato una difesa credibile, risulta oggi prematuro anche parlare di grandi risultati della tecnologia ipersonica russa. Ogni guerra è una vetrina delle armi, e può anche capitare che lo spot di un venditore possa ritorcersi contro di lui e diventare lo spot a favore di un suo concorrente.
C’era di che essere un po’ perplessi sull’acquisto del “Patriot”, una volta verificato che si trattava di un costoso sistema per auto-bombardarsi. Nel 2018 invece, in un accesso di masochismo, il governo polacco concluse un accordo con il governo USA e con Raytheon per la fornitura del “Patriot”, con una spesa di quattro miliardi e mezzo di dollari. Questa vendita di armi alla Polonia la dice lunga sui veri motivi per cui è stata mantenuta ed allargata la NATO dopo la fine dell’URSS; e spiega anche perché Madeleine Albright e la sua cosca di neocon abbiano fatto di tutto per fomentare il revanscismo degli ex sudditi dell’impero sovietico.

Il potere si quantifica in capacità di spesa. La spesa militare però non si traduce più in potenza militare, in effettiva potenza di fuoco, bensì in potere di corruzione. La spesa militare ha superato una soglia critica che ha determinato un’implosione del militarismo tradizionale, riconvertitosi in affarismo fine a se stesso. Nonostante il fatto che proprio in queste settimane la stampa ucraina abbia dato notizia degli insuccessi del “Patriot”, il governo polacco ha stretto accordi per nuove forniture, per un valore di quindici miliardi di dollari. Il “Patriot” protegge dagli attacchi missilistici esattamente quanto il siero Pfizer immunizza dal Covid. Magari questi campioni della tecnologia occidentale si limitassero soltanto ad essere inefficaci, purtroppo fanno anche danni, “auto-bombardano”; in compenso, con l’uno e con l’altro si fanno un sacco di soldi.
L’aspetto paradossale di questa vicenda è che si è tenuta in piedi la NATO per vendere sistemi d’arma costosissimi quanto improbabili nel funzionamento; sistemi che non hanno nulla a che fare con la guerra reale. Intanto però le guerre si fanno lo stesso, ovviamente per procura; e nella guerra in Ucraina il grosso del massacro viene perpetrato con i mezzi “poveri” del militarismo tradizionale, cioè artiglierie e mine. Ci sono quindi due militarismi: quello degli affari, che crea le condizioni per lo scoppio delle guerre, senza però essere in grado di condurre realmente lo sforzo bellico; e poi c’è il militarismo della tecnica tradizionale di macelleria di massa, quello che porta avanti le guerre sul campo. In questo sistema a più risvolti criminali, l’Italietta non è affatto la povera vittima dell’ingerenza NATO.
Leonardo, l’ex Finmeccanica, coopera alla produzione del sistema concorrente del “Patriot”, cioè il SAMP/T. In realtà questa posizione di concorrenza dell’industria europea degli armamenti è soltanto apparente. L’ex Finmeccanica fa parte a tutti gli effetti del cosiddetto “complesso militare-industriale” statunitense; anzi, questa locuzione resa popolare dal presidente USA Eisenhower risulta ampiamente incompleta, dato che si è di fronte ad un sistema nel quale l’industria delle armi ed i militari si integrano con i media e la grande finanza. L’ex Finmeccanica infatti vanta affari in comune non solo con Boeing e Lockheed Martin, ma anche con Raytheon. Il capitalismo militare tende a fare cartello, ad agire come un sistema di lobbying sovranazionale, in grado di regolare le carriere politiche e militari ed il prelievo sul denaro pubblico.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


03/05/2024 @ 12:47:06
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