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"Politically correct" è l'etichetta sarcastica che la destra americana riserva a coloro che evitano gli eccessi del razzismo verbale. "Politicamente corretto" è diventata la locuzione spregiativa preferita ovunque dalla destra. In un periodo in cui non c'è più differenza pratica tra destra e "sinistra", la destra rivendica almeno la sguaiataggine come proprio tratto distintivo."

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 19/01/2023 @ 00:25:44, in Commentario 2023, linkato 23120 volte)
Il fatto che colei che nel settembre scorso il settimanale tedesco Stern definiva la “donna più pericolosa d’Europa”, si sia rivelata invece la servetta più prona dell’orbe terracqueo, viene moralisticamente annoverato come un caso di incoerenza. In realtà l’incoerenza non esiste, e ciò che potrebbe apparire come tale, è in effetti solo la diretta conseguenza dell’inconsistenza pratica delle proprie idee politiche. Il nazionalismo, che la Meloni diceva di professare, è una suggestione propagandistica spesso efficace; ma, come categoria politica, il nazionalismo è stato sempre un gran vuoto. La Meloni si dimostra quindi del tutto coerente con la propria nullità.
Il nazionalismo è uno dei babau preferiti dal politicamente corretto poiché la malvagità dei nazionalisti consente, in base allo schema buono-cattivo, di legittimare indirettamente l’internazionalismo del capitale finanziario. Ma il nazionalismo non esiste sul piano della prassi politica, per cui nell’agire o si è imperialisti o si è antimperialisti; e, se si vuole essere antimperialisti, il primo imperialismo da combattere è il proprio. Le nazioni non esistono in natura, sono a loro volta prodotti artificiosi di un imperialismo, per cui gli Stati nazionali sono il risultato storico di campagne di conquista, quindi di imperialismi interni. L’imperialismo inoltre non è soltanto il rapporto di forze tra una nazione dominante ed una nazione dominata, ma è una strada a due sensi, per cui si vedono le oligarchie locali cercarsi una sponda estera, un “vincolo esterno”, che faccia loro da scudo e da alibi contro la propria popolazione. L’Italia ha perso una guerra mondiale ed è militarmente occupata dagli Stati Uniti, ma occorre anche ricordare che gli oligarchi nostrani erano in cerca di protezione straniera già da molto prima, oscillando tra la sudditanza all’imperialismo britannico a quella nei confronti dell’imperialismo germanico. Poi è arrivata la benvenuta sconfitta bellica a suggellare la compressione delle classi subalterne sotto la cappa della NATO.
Il potere militare statunitense sull’Italia è sin troppo reale, ma il fanatismo pro NATO degli oligarchi nostrani non è soltanto zelo servile, bensì un pretesto per esercitare un proprio lobbying delle armi. Che la rappresentazione narrativa crei anche vincoli esterni fittizi, è dimostrato dal fatto che la Germania ha un potere contrattuale praticamente nullo nei confronti dell’Italia, poiché un default del debito pubblico italiano affosserebbe automaticamente l’euro. Eppure gli oligarchi nostrani sono riusciti ad inventarsi uno strapotere finanziario tedesco per giustificare le angherie nei confronti dei propri lavoratori e contribuenti. La mitica avarizia tedesca non è altro che una proiezione dell’avarizia dell’oligarchia italiana. Del resto non c’è bisogno di scomodare le tesi di Diogene o di Hegel per capire che il servilismo può diventare una tecnica di condizionamento e di manipolazione nei confronti dei presunti padroni.

Ogni oligarchia ha un suo specifico percorso di grandeur, di ascesa nelle gerarchie internazionali; e gli oligarchi italici cercano la propria distinzione di rango nella dimostrazione di come riescono a controllare la popolazione, imponendole ogni sorta di umiliazione. Certe esibizioni parossistiche della propria capacità di dominio, spesso pavoneggiandosi di fronte ad esponenti stranieri, indicano l’origine arcaica e rurale dello schema di potere in Italia, ancora basato su un asse analogo a quello tra latifondista e campiere. Tra certe esibizioni di strapotere e certe ostentazioni di servilismo da parte dei nostri oligarchi, non c’è nessuna contraddizione, poiché rientrano entrambe in quello schema di oppressione rurale. Va rilevato che in Italia sono avvenute esagerazioni impossibili altrove, come il green pass per accedere al lavoro, l’obbligo vaccinale per un siero non ancora approvato, ed anche le liste di proscrizione dei “putiniani”. In fatto di brutalità in Francia il potere non è mai stato secondo a nessuno, eppure il presidente Macron ha potuto beccarsi uno sberlone da un cittadino senza che se ne facesse una tragedia nazionale. In Italia la sacralità del potere è tale che un episodio del genere sarebbe stato immediatamente catalogato come terrorismo ed avrebbe, come minimo, scatenato una caccia all’uomo per stanare uno per uno i “mandanti morali” dello sberlone. Gli sfrenati deliri vendicativi del potere nostrano rappresentano un ulteriore indizio delle sue matrici rurali, perciò si riconosce lo schema della faida, con quella suscettibilità programmatica dietro cui si nasconde la bramosia latente di regolamento di conti. La matrice arcaica della faida viene però dissimulata e mistificata attraverso verniciature pseudo-moderne, come gli schieramenti ideologici.
Ogni volta che si parla di mistificazione sociale, l’imbecille professionista grida al complottismo. In realtà la mistificazione sociale è una relazione sociale essa stessa, per cui si entra automaticamente in giochi delle parti e ci si appassiona a false alternative. La finta dicotomia tra fiscofobia della destra e fiscolatria della sedicente sinistra, non trova un riscontro nella realtà. Oggi la Meloni si “contraddice” aumentando le accise sulla benzina, ma, da brava “conservatrice”, sta facendo esattamente ciò che faceva la Thatcher, la quale spostava il peso della tassazione dalle imprese ai consumatori, con le accise. Gli sgravi fiscali sul reddito delle persone fisiche e delle società furono infatti finanziati dalla Thatcher soprattutto tramite l’aumento delle tasse sulla benzina, come a dire che si riscuoteva un balzello dai cittadini per permettergli di arrivare al posto di lavoro. Meno male che c’è il sito web della fondazione Thatcher a fornircene i documenti storici, perché se aspettavi di essere informato dai giornalisti, stavi fresco.

Molta di quella che si spaccia come critica del capitalismo, è invece adulazione del capitalismo. Chi lamenta che il capitalismo sia fondato sulla “logica del profitto”, dimentica che un certo Marx parlava di caduta tendenziale del saggio di profitto, per cui un capitalismo che si basasse sul profitto industriale non andrebbe molto lontano. Il capitale finanziario è creazione di valore fittizio, per cui quando in Borsa si gonfia il valore delle azioni vuol dire che si è preso da qualche altra parte. Questa è la routine burocratica della cleptocrazia: si spillano soldi al contribuente povero per finanziare le imprese quotate in Borsa. Questo capitalismo dipinto sempre come “muscolare” si rivela poi assistito dal denaro pubblico, cioè dipendente dall’elemosina che gli elargiscono i poveri. Sono i poveri a dover cercare di evadere il fisco, mentre i ricchi detengono il privilegio di eluderlo grazie alla mobilità internazionale dei capitali.
L’attuale governo, come già i precedenti, ha infatti stanziato agevolazioni fiscali per favorire ed incentivare la quotazione azionaria delle piccole e medie imprese. La finanziarizzazione delle piccole e medie imprese, cioè il loro ingresso in Borsa, potrebbe apparire come un’idea geniale; ed in effetti lo è, ma solo per i grandi fondi di investimento, i quali potranno facilmente scalare la proprietà azionaria di quelle imprese e impadronirsene. Il fisco quindi non serve a finanziare istruzione e sanità, bensì a favorire la concentrazione dei capitali.
 
Di comidad (del 26/01/2023 @ 00:13:50, in Commentario 2023, linkato 25938 volte)
Finalmente è tutto chiaro. Ora sappiamo che cosa ha messo fuori gioco per trent’anni i trecentomila sbirri, le telecamere di sorveglianza, le microspie, le intercettazioni telefoniche ed ambientali, i tracciamenti elettronici, il riconoscimento biometrico e facciale, le foto satellitari, eccetera. La colpa è tutta del salumiere, del tassista e del pescivendolo del paesino, che con la loro omertà coprivano la latitanza del superboss. Dannati favoreggiatori.
Questo tipo di recriminazioni, in cui i media oggi si stanno impegnando, risulta persino più demenziale del gossip sulla vita intima di Messina Denaro, un super-divo di cui la gran parte dell’opinione pubblica non sapeva nemmeno l’esistenza, ed assurto alla gloria in funzione dello spot pro governo della presunta cattura. Basti considerare che si è di fronte ad uno Stato che tranquillamente ammette di non essere impermeabile alle commistioni col crimine organizzato; per cui un cittadino che volesse denunciare, non potrebbe mai essere sicuro dello “sportello” a cui rivolgersi senza incorrere nel rischio di diventare a propria volta un bersaglio. Si tratta del consueto paradosso, per cui lo Stato e le sue Forze dell’Ordine, per poter funzionare, richiederebbero un popolo ideale, capace di fare tutto lui; ma, se esistesse un popolo così, si renderebbe del tutto superfluo lo Stato. Il paradosso si scioglie se si riconosce che lo Stato non esiste, è solo una finzione giuridica che fa da alibi per gerarchie sociali tutt’altro che trasparenti, ed inoltre trasversali alle astratte categorie del Diritto, come il pubblico ed il privato, o il legale e l’illegale. Chi una volta diceva che la mafia non esiste, pronunciava una mezza verità, che risultava però fuorviante se non completata con la constatazione che non esiste neppure lo Stato. Esiste il potere, il quale è superiore a certe distinzioni pretestuose e naviga a gonfie vele nell’incertezza del Diritto, tanto che neppure i potenti risultano effettivamente consapevoli di operare fuori della legalità. Il potere non è regola ma gerarchia; e la gerarchia si esalta tanto più nell’incertezza normativa, per cui la sottomissione al potente resta l’unico punto fermo.
A molti dà fastidio scoprire che la realtà non può essere rappresentata a compartimenti stagni e che il potere si ripresenta ovunque con gli stessi schemi, di cui il principale è sempre l’incertezza, la confusione; e non per niente ci troviamo nell’epoca dell’emergenzialismo cronico, dello stato di eccezione permanente.

L’istituzione sociale di base, la Scuola, è il campo in cui la tecnica confusionale è stata maggiormente sperimentata, per cui ogni ministro dell’istruzione, compreso l’ultimo, arriva proclamando di voler ristabilire la “autorevolezza” degli insegnanti; il che è già un bel casino, dato che nessuno è ancora riuscito a dare un minimo di definizione della autorevolezza. Lo stesso ministro poi non perde occasione di umiliare ulteriormente gli insegnanti, annunciando che essi saranno vessati in base ad un’altra categoria fumosa: il “merito”. In più il ministro pretenderebbe un’irreprensibilità degli insegnanti anche fuori scuola, impedendogli persino di bestemmiare nei post. Come a dire: cercate di entrare nelle grazie del dirigente scolastico e nella sua “cupola”, altrimenti ci inventeremo qualcosa per perseguitarvi.
Insomma, il potere reale sfugge alla dimensione istituzionale e rivendica la propria extralegalità, per cui sostenere un’alterità della mafia risulta poco plausibile. Tutta la narrativa ottimistica sul potere, dal Leviathan di Hobbes alla leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij, descrive la vicenda come la cessione della propria libertà da parte dei singoli in cambio di ordine; sennonché all’atto pratico il potere per riprodursi ha bisogno di moltiplicare il caos, tanto che il confine tra forze dell’ordine e crimine organizzato, tra legale ed illegale, non è per niente delineato; per cui il potere fa appello proprio a quei facinorosi che dovrebbe tenere a bada.
La tardiva cattura del superboss Messina Denaro ha alimentato le annose polemiche sulla “trattativa Stato-mafia” sulla questione del regime carcerario del 41bis, tanto che alcuni ipotizzano che anche l’anarchico Alfredo Cospito venga usato in questo negoziato come un ostaggio, come a dire: se non abolite il 41bis per i mafiosi, allora lo useremo anche contro chi non c’entra nulla col crimine organizzato. Pare accertato a livello giudiziario che si sia svolto effettivamente un negoziato tra funzionari delle forze dell’ordine e ministri da una parte, e boss latitanti dall’altra parte. Il quadro potrebbe vantare però una maggiore attendibilità se tenesse conto anche del terzo interlocutore che non può mancare, visto che ci si trova in un territorio iper-militarizzato come la Sicilia.
A suo tempo Pio La Torre denunciò il ruolo svolto dalla mafia nell’installazione dei missili nella base di Comiso, per cui i contadini furono “convinti” con metodi non ortodossi a cedere senza proteste i propri terreni. L’aver segnalato questo fatto costò la vita a La Torre ed al suo autista, Rosario Di Salvo. Negli anni successivi Francesco Cossiga, che da Presidente del Consiglio aveva avviato l’installazione dei missili, confermò le denunce di La Torre, e riconobbe anche di aver usato la vicenda dei rapporti tra NATO e mafia come arma di ricatto per sedare alcuni attacchi personali che gli provenivano dagli USA. Ovviamente i media non raccolsero minimamente queste “rivelazioni”, dato che Cossiga era ormai entrato nel ruolo del “matto” che può dire ciò che vuole senza conseguenze. L’identico paradigma si è ripresentato nel caso del MUOS di Niscemi, un sistema militare di comunicazione e di armamento satellitare. In questa circostanza il ruolo svolto dalla mafia è stato ancora più esplicito, non soltanto negli appalti ma anche nell’esercitare l’intimidazione nei confronti dei cosiddetti NO-Muos. A causa della vicenda del MUOS vi fu anche una guerra di mafia, ed alcuni boss attuarono uno scisma di Cosa Nostra, dando vita ad una nuova organizzazione denominata “Stidda”.

Pur nell’apparente dicotomia delle rispettive posizioni, gli ex magistrati Nordio e Scarpinato riconoscono che Cosa Nostra e 'Ndrangheta fanno parte dell’establishment. La cosa a Nordio magari piace mentre a Scarpinato no, ma il problema vero è vedere a che titolo le cosiddette mafie sono entrate a far parte dell’establishment, cioè come agenzie di controllo coloniale sul Meridione; colonia militare ma anche colonia deflazionistica, perché il crimine organizzato è anche uno strumento per deindustrializzare il Sud. La presenza mafiosa ha quindi svolto una funzione ideologica non indifferente, visto che è diventata un ottimo alibi per il sottosviluppo del Sud; perciò nella propaganda ufficiale il “magistrato antimafia” ha assunto il ruolo di “civilizzatore” del territorio barbaro. Ma anche in questo quadretto c’è un inghippo, dato ciò che le stesse indagini ufficiali mettono in evidenza, cioè che anche le mafie drenano risorse dal Sud per reinvestirle al Nord o addirittura in Germania.
Vi è un gioco delle parti tra destra e sedicente sinistra, per cui ad una sinistra dedita alla fiscolatria ed alla magistratolatria, corrisponde una destra fiscofoba e magistratofoba; cosa che sembrerebbe strana, dato che la maggior parte dei magistrati fa riferimento alla destra, sennonché si tratta appunto di un gioco delle parti. Ogni potere deve recitare la parte della vittima per poter fare meglio il carnefice. Per la sedicente sinistra, la magistratolatria è l’ovvia conseguenza dell’abbandono dell’internazionalismo proletario a favore dell’internazionalismo della finanza. Se ci sono i poveri, non è perché c’è lo sfruttamento, bensì perché c’è la “corruzione”, a cui devono porre argine i mitici PM. La corruzione è un falso bersaglio davvero ideale, perché è un tema interclassista e tipicamente coloniale; infatti solo un potere esterno ad uno Stato può valutarne oggettivamente il grado di corruzione, per cui la corruzione è una sorta di discrimine tra popoli di serie A e popoli di serie B. La lotta alla corruzione è quindi diventata uno dei nuclei ideologici principali del neocolonialismo. In questa specifica campagna di propaganda si distingue la Banca Mondiale, la quale come budget non è granché rispetto alla banca consorella, il Fondo Monetario Internazionale, però nella funzione di indottrinamento e di intossicazione mediatica svolge un ruolo di primo piano.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


29/04/2024 @ 06:19:20
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