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"Un'idea che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata idea."

Oscar Wilde
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 21/02/2003 @ 00:00:00, in Documenti, linkato 1474 volte)

Comunicazione del Comidad alle giornate anticlericali di Napoli 22-23 febbraio 2003

Le tesi anarchiche hanno messo in evidenza non solo le pratiche oppressive e criminali degli apparati di potere clericale, ma anche la funzione esemplare del potere religioso. La religione, in altri termini, ha fornito il modello essenziale per le più varie concezioni, strutture e organizzazioni gerarchiche della società moderna. La critica anarchica della religione non può infatti essere confusa con l'anticlericalismo generico, il quale in realtà intende opporsi alle malefatte dell'apparato clericale e alla credulità dei fedeli. Non è certamente una cosa trascurabile, ma su questo genere di critica converge, da Voltaire in poi, un'ampia parte del pensiero borghese.

Le insulsaggini della credulità religiosa sono messe alla berlina dagli illuministi e dai liberi pensatori, dai libertini e dai trasgressivi in genere, correnti di pensiero che mettono ben di rado in discussione la struttura gerarchica della società. Questo perché si è scoperto che si poteva criticare e persino irridere alle forme esteriori del clericalismo, senza mettere in discussione la sacralità della gerarchizzazione sociale. Insomma bisogna tener conto del carattere mistificatorio della modernità, che si rivela essere solo un mascheramento del sacro, mentre la «laicizzazione» della società prospetta in realtà una divinizzazione della società stessa.

Nell'ambito di una critica anarchica, l'anticlericalismo preanarchico finisce per mostrare dei limiti molto seri, perché sembra avallare l' idea della divisione della società in laica e religiosa senza tener conto di quanto il sacro pervada oggi le relazioni sociali.

Insomma, l'anticlericalismo preanarchico rischia di non colpire nel segno e di essere persino controproducente dando solo l'illusione di liberarci da un'oppressione. In altri termini, mentre l'anticlericalismo attacca l'aspetto abitudinario, un po' rituale e un po' paganeggiante, della religione cattolica; aspetto spesso marginale; rischia di trascurare le forme più invasive ed efficaci del sacro. La stessa idea dello sbattezzo non ci ha mai entusiasmati proprio perché distrae dalla sacralità del vincolo gerarchico, di cui il clero è l'archetipo ma non il detentore esclusivo.

In realtà, la divinizzazione della società e quindi l'intangibilità del vincolo sociale vengono espressi, al di là della retorica modernista, nelle forme più arcaiche e brutali. La pratica del sacrificio impone di immolare vite umane sull'altare del progresso o della sicurezza sociale; i «diritti umani» vanno garantiti anche a costo del sacrificio di innumerevoli individui; le guerre degli Stati non rinunciano mai a vestirsi di sacro (le bandiere, i confini, il suolo).

Ma è il vincolo sociale l'elemento centrale di questa sacralità: il vero anatema, la vera condanna non è l'accusa di ateismo o agnosticismo, ma quella di asocialità. Il rifiuto del vincolo sociale, cioè il rifiuto di sacrificarsi e sacrificare altri per qualcosa che si chiami interesse generale o patria, umanità o progresso, questo rifiuto provoca l'emarginazione o l'esclusione dell'individuo asociale dalla collettività.

comidad - febbraio 2003

 
Di comidad (del 30/08/2002 @ 00:00:00, in Documenti, linkato 5393 volte)

Nell'approssimarsi della ricorrenza dell'11 settembre, proponiamo qualche annotazione su: LA GENESI STORICA DEL TERRORISMO

Nel 1812, i neonati Stati Uniti d'America invasero il Canada per annetterselo. Pretesto ufficiale di questa aggressione fu, manco a dirlo, il problema degli attacchi terroristici di indiani provenienti dal territorio canadese.
Come è noto, quella guerra non andò come gli statunitensi avevano sperato, dato che gli inglesi, nonostante il loro grosso impegno militare in Europa, riuscirono a ristabilire i precedenti confini e persino ad incendiare Washington.

Aldilà dell'insuccesso, questa aggressione statunitense seguiva uno schema tutt'altro che improvvisato, che si sarebbe ripresentato più volte nella Storia, che si era anzi già presentato all'affacciarsi degli Stati Uniti sulla scena mondiale.
Nel primissimo documento di politica estera statunitense, la Dichiarazione d'Indipendenza dei Tredici Stati Uniti d'America del 4 luglio 1776, redatta da Thomas Jefferson, tra le varie accuse rivolte al re di Gran Bretagna, c'è infatti anche questa affermazione:

"ha tentato di istigare contro gli abitanti delle nostre zone di frontiera i crudeli selvaggi indiani la cui ben nota norma di guerra è la distruzione indiscriminata di tutti gli avversari, di ogni età, sesso e condizione".
(la traduzione che presentiamo è tratta dall'antologia di documenti storici di Gaeta e Villani, Principato Editore).

La Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti è invece universalmente, e ingiustamente, famosa solo per quel preambolo in cui dice che tutti gli uomini sono stati creati uguali e che sono stati dotati dal Creatore di certi inalienabili diritti come la Vita, la Libertà e la Ricerca della Felicità.
Questa fama universale è però dovuta ad un equivoco, cioè a una confusione che molti fanno tra Dichiarazione d'Indipendenza e Costituzione degli Stati Uniti d'America.
Nella Dichiarazione d'Indipendenza questa enunciazione di diritti non ha nessun effetto giuridico, ma solo propagandistico. Laddove avrebbe potuto invece avere effetto giuridico - cioè nella Costituzione degli Stati Uniti -, questa enunciazione NON c'è. Nella Costituzione americana infatti non si accenna neppure all'uguaglianza, mentre la libertà è definita un bene e non un diritto. Il preambolo sui diritti aveva quindi nella Dichiarazione una mera valenza autocelebrativa, che serviva a sottolineare la non umanità dei propri avversari. Non a caso oggi Bush può sospendere le garanzie costituzionali nei confronti di un cittadino americano in quanto terrorista, cioè disumano.

Come si vede, l'oligarchia americana si è saputa parare le spalle, per evitare ciò che era accaduto nel 1772 in Inghilterra, dove la sentenza di un tribunale aveva abolito l'istituto della schiavitù riconoscendone la incompatibilità con le leggi vigenti. Dato che l'agricoltura delle colonie americane si fondava sulla schiavitù, nel 1773 cominciò il movimento d'indipendenza: nel porto di Boston un gruppo di coloni, travestiti da indiani, irruppe su una nave inglese e gettò in mare il suo carico di tè (ieri travestiti da indiani, oggi da terroristi islamici). La leggenda vuole che Thomas Jefferson avesse previsto nella Dichiarazione d'Indipendenza l'abolizione della schiavitù, ma poi il congresso non l'avesse seguito su questa linea. Anche questo però è un falso: il testo originale di Thomas Jefferson (vedi la sua antologia di scritti politici, Cappelli Editore) NON accennava all'abolizione della schiavitù, ma si limitava ad addossare la responsabilità di questo istituto al re di Gran Bretagna, accusandolo inoltre di voler fomentare rivolte di schiavi. Nel testo originale di Jefferson si ritrova invece la frase sulla crudeltà degli indiani.

La leggenda ufficiale ci presenta Thomas Jefferson come la figura idealistica della indipendenza statunitense, mentre il ruolo pratico viene attribuito a George Washington. Sta di fatto che la biografia di Jefferson non corrisponde a questa icona.
Tra il 1785 ed il 1789 Jefferson fu ambasciatore statunitense in Francia; se ne tornò in patria nel settembre del 1789, dopo che la Rivoluzione era già scoppiata. Mentre le ricostruzioni storiche si soffermano spesso sugli aspetti pittoreschi del soggiorno parigino di Benjamin Franklin durante la guerra d'indipendenza, sorvolano invece, con evidente imbarazzo, su quello di Jefferson e sul suo documentato ruolo nella destabilizzazione in Francia.
Lo scopo di Jefferson, e della politica estera statunitense, non era evidentemente quello di esportare la propria rivoluzione, ma di favorire una guerra in Europa che permettesse agli Stati Uniti di espandersi a spese delle colonie che Francia e Inghilterra avevano in America. Il progetto riuscì a metà: nel 1803 Napoleone fu costretto a svendere al presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson (sempre lui) la colonia francese della Louisiana, ormai tagliata fuori dalla madre patria a causa della marina britannica; ma, come abbiamo già detto, gli stessi artigli inglesi non si fecero sfuggire il territorio del Canada.

Non tutti i progetti di Jefferson andarono a buon fine. Dai suoi scritti (vedi l'antologia citata) apprendiamo anche che il suo sogno era di annettersi Cuba, non appena le condizioni si presentassero (ancora un po' di pazienza).
Ritiratosi dalla vita politica ufficiale, Jefferson fondò l'Università della Virginia, con l'evidente proposito di allevare la futura oligarchia statunitense.
Jefferson fu il vero architetto degli Stati Uniti e il suo modello di dominio è attuale: tuttora la sua classe dirigente viene selezionata e addestrata nel segreto delle confraternite universitarie, mentre la politica estera statunitense è ancora quella della destabilizzazione sotterranea su scala planetaria, per giustificare interventi e aggressioni.

Rabin, per raggiungere un accordo con Arafat, era stato costretto a scavalcare gli Stati Uniti e ad affidarsi a una mediazione norvegese. Fatto fuori Rabin, oggi gli Stati Uniti hanno ripreso il controllo della situazione, e infatti il Medio Oriente è nel caos.
Ma tutta la Storia del '900 è falsata dalla mancata messa in evidenza di "dettagli" grossi come macigni; fatti che pure sono noti agli esperti, e che riguardano il ruolo di destabilizzazione svolto in Europa dagli Stati Uniti:
- dopo la prima guerra mondiale, Henry Ford (quello delle automobili) divenne nel mondo il maggior esponente dell'antisemitismo, scrivendo e pubblicando un best seller: L'Ebreo internazionale;
- decisivo, e documentato, fu inoltre il ruolo dell'altra grande multinazionale dell'auto, la General Motors, nell'ascesa di Hitler e nel riarmo tedesco.

Perché si è fatto finta, e si fa finta, di non vedere? È una questione storica da approfondire. Accontentiamoci per ora di citare gli immortali versi di Giuseppe Giusti:

rimarrà come un babbeo
l'Europeo.

Comidad - Napoli
Agosto 2002

 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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