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"Feuerbach aveva in parte ragione quando diceva che l'Uomo proietta nel fantasma divino i suoi propri fantasmi, attribuendogli la sua ansia di dominio, la sua invadenza camuffata di bontà, la sua ondivaga morale. Anche quando dubita dell'esistenza di Dio, in realtà l'Uomo non fa altro che dubitare della propria stessa esistenza."

Comidad
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 24/11/2005 @ 21:10:43, in Commentario 2005, linkato 1260 volte)
Da quando la multinazionale General Motors ha annunciato le sue perdite, il bollettino della crisi ha seguito il rituale consueto e consolidato, un rituale che ha uno sbocco altrettanto prevedibile e obbligato, cioè il licenziamento di decine di migliaia di operai. Nel frattempo l'informazione ufficiale ci sta spiegando che i guai della multinazionale di Detroit sono conseguenza della spietata concorrenza delle emergenti potenze economiche dell'Asia.
Nel rituale, con tutta probabilità, rientreranno anche i commenti della sinistra di opposizione, che ci parlerà del capitalismo sensibile solo alle leggi del profitto e del mercato, e perciò indifferente ai problemi umani. In realtà il capitalismo è una relazione umana - una relazione di potere fra esseri umani - e va analizzato proprio come tale.
Alla fine degli anni '70 ed inizio anni '80, i tagli ed i licenziamenti furono spiegati con la concorrenza del colosso economico giapponese. Oggi il nuovo "pericolo giallo" è rappresentato dalla Cina e dai suoi mostruosi tassi di sviluppo. Sia il richiamo alla potenza economica cinese che a quella giapponese, costituiscono però l'elemento di un tipico sofisma della propaganda: si prendono dei fatti reali ed incontestabili, ma si stabilisce tra loro una relazione del tutto fittizia.
L'emergente potenza economica cinese è un dato di fatto, ma è tutto da dimostrare che la concorrenza asiatica possa spiegare la presunta crisi della GM e l'altrettanto presunta inevitabilità dei licenziamenti. La mitologia del mercato serve a coprire una realtà economica in cui il potere delle oligarchie è assicurato da una rete di protezionismi doganali. Ad esempio: la schiacciante superiorità agricola degli Stati Uniti, in un settore strategico come quello del grano, è certamente motivata da oggettivi fattori geografici, ma è anche perpetuata da dazi e sanzioni che colpiscono i potenziali concorrenti. Le multinazionali del grano non si cimentano mai col mercato: vengono protette sia contro i potenziali concorrenti, sia contro le rivendicazioni dei produttori agricoli americani, remunerati sempre al minimo.
Il problema è che l'ideologia della crisi e del mercato serve a coprire la realtà del conflitto di classe. Per il capitalismo, le concentrazioni operaie stabili costituiscono da sempre una spina nel fianco. L'organizzazione del lavoro tende a divenire un'opposizione organizzata, che mette in questione il potere assoluto delle oligarchie. Il garantismo sindacale diviene infatti l'aggancio per tutta un'altra serie di garanzie sociali e giuridiche.
Proprio per il fatto che costituiscono un contrappeso sociale al potere delle oligarchie, le concentrazioni operaie devono essere ciclicamente destabilizzate, anche se i capitalisti coprono il loro movente di classe con lo spauracchio del nemico esterno.
Anche la credibilità dei bilanci aziendali è tutta da dimostrare. La Enron e la Parmalat erano in perdita, ma, proprio per questo, non segnalavano nessuna perdita. Al contrario, la GM, denunciando le proprie presunte perdite, è entrata in una sorta di stato di grazia. Al momentaneo calo del titolo in borsa, corrisponde un immediato rialzo alla notizia dei prossimi licenziamenti e degli sgravi fiscali con cui il governo li finanzierà.
Quest'ultimo aspetto va tenuto in debito conto: i licenziamenti di massa non sono mai un'operazione a costo zero, dato che scompaginano la produzione, e perciò vanno incentivati dal governo. Anche i licenziamenti di massa operati a Mirafiori all'inizio degli anni '80 furono sovvenzionati dal governo di unità nazionale, che aveva versato oltre sessantamila miliardi nelle casse della FIAT, in base alla legge per la riconversione industriale.
Comidad, 24 novembre 2005
 
Di comidad (del 01/12/2005 @ 18:17:24, in Commentario 2005, linkato 1170 volte)
Le condizioni di salute di Adriano Sofri hanno riproposto in questi giorni all'attenzione uno dei casi giudiziari più assurdi e misteriosi della Storia. Condannato sulla base della testimonianza contraddittoria di un sedicente pentito, oggi l'ex capo di Lotta Continua, dal carcere dov'è rinchiuso, svolge un ruolo di "padre nobile" nel sistema della comunicazione. Con eleganza dialettica, Sofri ripropone i più triti luoghi comuni della propaganda ufficiale, rendendoli appetibili al palato dei raffinati. Ma si tratta degli stessi luoghi comuni in base ai quali egli ha potuto essere condannato senza prove.
Su "Panorama" del 27/9/2001, Sofri liquidava così i dubbi di fronte alle incongruenze della versione ufficiale sul crollo delle Twin Towers: "Il difficile non è di sventrarli con un aereo civile, i grattacieli: il difficile è pensare di farlo. La gente sopravvaluta la difficoltà tecnica perché è brava gente e non si è posta il problema. I terroristi pensano cose che gli altri non accettano di pensare, e questa è la loro vera forza".
Insomma la cattiveria del terrorista è sufficiente a spiegare come egli superi qualsiasi ostacolo e qualsiasi difficoltà. Questo è lo stesso motivo per il quale i giudici non si sono fatti carico di spiegare come quattro improvvisati - Sofri, Bompressi, Pietrostefani e Marino - abbiano potuto organizzare e realizzare un attentato contro una persona abile e ben protetta come il commissario Calabresi. A sua volta, Sofri non si è mai veramente difeso nei tanti processi in cui è stato giudicato, non si è mai posto il problema di domandare ai suoi accusatori se Calabresi fosse o meno ritenuto in pericolo dai suoi colleghi. Possibile che un commissario di polizia nell'occhio del ciclone non fosse sotto scorta?
Queste domande Sofri non le ha rivolte, perché sarebbero state implicitamente un dito puntato contro i soli che avevano la possibilità tecnica ed il movente per uccidere Calabresi: i suoi colleghi poliziotti. Sofri doveva subire un processo per calunnia per la sua campagna giornalistica contro Calabresi. Questi avrebbe mantenuto la calma o avrebbe finito per coinvolgere gli altri responsabili dell'assassinio di Pinelli?
Sofri è rimasto nell'ambiguità, non fuggendo - come gli era stato consentito di fare -, un'ambiguità rivendicata con dignitosa coerenza, come la costante di una vita in cui i mutamenti sono stati più apparenti che sostanziali. Chi sia stato realmente Sofri e cosa sia stata realmente Lotta Continua, non è facile rispondere. Certo è che persino negli ingenui anni '70, non si poteva fare a meno di notare come al pressappochismo ideologico e organizzativo di Lotta Continua corrispondesse una vitalità assicurata da trasfusioni di valuta di dubbia provenienza.
Le ambiguità di Sofri non risolvono il mistero. Perché egli è stato colpito a tanti anni di distanza. Per quale movente? Depistaggio?
Forse, ma comunque non sarebbe una risposta sufficiente. Nell'accanimento contro Sofri che ancora oggi dimostrano gli esponenti del partito della polizia (cioè Alleanza Nazionale), si intravede un rancore che non si placa. La vendetta può essere stato il movente della macchinazione contro Sofri, non la vendetta contro l'assassino di Calabresi, ma la vendetta contro colui che avrebbe reso "necessario" questo omicidio.
I poliziotti non sono macchine, ma esseri umani che vivono fra loro autentiche relazioni affettive oltre il limite della morbosità. Lo spirito di corpo per loro non è un modo di dire, ma una condizione esistenziale. I poliziotti possono essere persone intelligentissime e furbissime, ma la loro maturazione emotiva supera raramente lo stadio dell'adolescenza. La totale mancanza di scrupoli dei poliziotti non è dovuta ad un freddo calcolo, ma alla assoluta convinzione di essere delle vittime. Quando sono costretti ad eliminare dei loro colleghi - cosa che capita assai spesso: gli assassini di poliziotti sono quasi sempre altri poliziotti - rimane comunque in loro un sincero desiderio di vendetta, che si indirizza verso chi, secondo loro, li abbia messi in condizione di fare ciò che hanno fatto.
Comidad, 1 dicembre 2005
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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