"
"La privatizzazione è un saccheggio delle risorse pubbliche, ma deve essere fatta passare come un salvataggio dell’economia, e i rapinati devono essere messi nello stato d’animo dei profughi a cui è stato offerto il conforto di una zuppa calda. Spesso la psico-guerra induce nelle vittime persino il timore di difendersi, come se per essere degni di resistere al rapinatore fosse necessario poter vantare una sorta di perfezione morale."

Comidad (2009)
"
 
\\ Home Page : Archivio : Commentario 2016 (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 07/07/2016 @ 00:11:12, in Commentario 2016, linkato 1868 volte)
La Brexit ha infranto il tabù europeo, specialmente in un Paese come l’Italia, dove l’anglolatria costituisce una vera religione; quindi la Brexit ha suscitato in molti, che prima non avrebbero osato, la voglia di riportare nel dibattito l’espressione “interesse nazionale”. Un esempio di “interesse nazionale” dovrebbe essere rappresentato dall’istruzione pubblica, soprattutto nel versante tecnico e professionale. In un articolo del gennaio scorso sul quotidiano confindustriale “Il Sole-24 ore”, l’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi ha perorato la causa dell’istruzione tecnica nella Scuola, esaltando la sua funzione nello sviluppo industriale di un Paese e lamentando la sua decadenza, dato che il numero di iscritti nei licei tecnici tende a calare paurosamente. L’articolo è piuttosto generico e meramente esortativo, evitando accuratamente di smascherare gli interessi che hanno portato allo smantellamento dei gloriosi istituti tecnici così decisivi in passato.
Prodi mette sì in evidenza l’assurda dilatazione delle competenze universitarie a scapito di quelle scolastiche, ma si trova a parlare di corda in casa dell’impiccato, sia perché dimentica le responsabilità del suo primo governo e del ministro Berlinguer nell’affossare la Scuola, sia perché Confindustria non ha mai levato una protesta nei confronti delle riforme Moratti e Gelmini, tutte rivolte a liquidare l’istruzione tecnica pubblica, e ciò perché Confindustria ha anteposto gli interessi della sua Università, la LUISS, alla produttività che l’istruzione tecnica della Scuola pubblica determinava. Lo studente oggi deve pagare a prezzi sempre più elevati all’Università ciò che una volta otteneva gratuitamente dalla Scuola statale, quella stessa Scuola statale oggi invece costretta a sperperare i fondi per l’istruzione per mantenere la costosa farsa dell’alternanza Scuola-lavoro, che è una mera distribuzione di soldi pubblici alle aziende. La Scuola non svolge oggi più alcuna funzione sociale riconoscibile, anzi, costituisce un mero luogo di dissoluzione antropologica, sia dei docenti che degli studenti.

L’interesse nazionale quindi non ha mai sfiorato la mente di Confindustria, e tantomeno l’interesse produttivo, mentre quello finanziario sì. L’istruzione pubblica non era nata per “interesse nazionale” ma per la spinta sociale dei ceti lavoratori, che volevano un avvenire migliore per i propri figli. Il padronato si è giovato di questa spinta in termini di produttività del sistema, ma non ha gradito né favorito questa spinta. L’odio di classe anzitutto. Oggi Confindustria è preoccupata per le sofferenze bancarie determinate dalla austerità e spera in un salvataggio delle banche con denaro pubblico, ciò dopo il terrorismo del “Bail in”, che non avrebbe altro esito che la cannibalizzazione delle banche italiane da parte di quelle tedesche e francesi. Il quotidiano confindustriale “Il Sole-24 ore” sta quindi conducendo una campagna per indurre il governo a rifinanziare le banche. Il “Financial Times” ha diffuso la notizia secondo cui il governo Renzi sarebbe già pronto a foraggiare direttamente le banche, anche in presenza di un veto tedesco e della Commissione Europea. Renzi però ha smentito, e il quotidiano confindustriale spera che la smentita di Renzi sia solo tattica diplomatica.
In fondo si tratta dell’interesse nazionale. Ma “interesse nazionale” sarebbe stato anche evitare il “Jobs Act” con i suoi effetti depressivi sulla domanda interna; anzi, interesse nazionale sarebbe stato soprattutto impedire ad uno come Renzi di mettere piede a Palazzo Chigi. Il problema è che il padronato non ha una visione generale dei propri interessi, ed il suo riflesso condizionato è l’aggiotaggio sociale, cioè deprimere con ogni mezzo, soprattutto illecito, il valore della merce lavoro. Confindustria estende l’aggiotaggio sociale all’intera nazione, paventando il rischio del caos politico e persino dell’arretramento del Prodotto Interno Lordo in caso di vittoria dei no al referendum costituzionale di ottobre. Affermare l’insostituibilità di Renzi e presentarlo come l’ultima spiaggia suona assolutamente ridicolo e si risolve in un mero discredito nei confronti di un intero sistema istituzionale, anzi di un intero Paese. Siamo sempre nella “logica” del vittimismo padronale, cioè della convinzione dei sedicenti “imprenditori” di vivere in un Paese che non li merita, troppo arretrato per le loro lungimiranti visioni.

A proposito di persone di cui l’Italia non ha saputo dimostrarsi all’altezza, c’è l’ex Governatore della Banca d’Italia, ex Presidente del Consiglio ed ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il quale ha scritto un libro dal titolo in cui traspare tale delusione: “Non è il Paese che sognavo”. Ciampi è noto anche per la decisione, presa nel 1981 insieme con il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, del “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, cioè la cessazione dell’obbligo da parte della banca centrale di sottoscrivere i titoli di Stato rimasti invenduti. Grazie a quella eroica decisione il Tesoro fu costretto a cercare di vendere i suoi titoli sui “mercati”, facendo quindi schizzare alle stelle gli interessi da pagare agli investitori e facendo lievitare il debito pubblico. Il solito “Sole-24 ore” riporta le vanterie di Ciampi su quella sua storica bravata.
Risulta però chiaro che Ciampi si sopravvaluta, poiché ciò che Andreatta aveva fatto, un altro ministro del Tesoro avrebbe potuto poi disfarlo, magari senza neppure andare a bussare al portone della Banca d’Italia, ma semplicemente adottando, come già si era fatto nel 1977, i cosiddetti “prestiti forzosi”, magari pagando i fornitori della Pubblica Amministrazione e gli scatti di stipendio degli alti funzionari direttamente con titoli di Stato. Non si è fatto perché del cosiddetto “interesse nazionale” non fregava nulla a Ciampi ma nemmeno agli altri. Il colonialismo trova infatti il suo vero punto di forza nel collaborazionismo dei ceti dirigenti locali.

Molti ricordano il discorso di Craxi alla Camera nel 1993, quando chiamò tutti i partiti alla corresponsabilità nel fenomeno delle tangenti. Lo “statista” Craxi non trovò di meglio per giustificarsi che uno squallido “così fan tutti”. Eppure Craxi aveva ben altro da denunciare che gli spiccioli delle tangenti, poiché nel 1992, Ciampi, da governatore della Banca d’Italia, aveva sperperato migliaia di miliardi in riserve valutarie per sostenere un insostenibile cambio della lira, che all’epoca era sotto attacco da parte del solito George Soros. La lira poi fu svalutata ugualmente, ma giusto in tempo per consentire a coloro che avevano esportato i loro capitali di farli rientrare rivalutati del 30%. Ma forse Craxi aveva pensato che queste cose la “gente” non le avrebbe capite. In fondo si trattava di denunciare il colonialismo, e la “gente” pensa che si tratti di roba che riguarda l’Africa. Meglio ridurre tutto il dibattito all’infanzia della questione morale.
Ciampi ha sempre goduto di ottima stampa, “nonostante” che lo si trovi coinvolto spesso in vicende losche, tra cui anche il sacco del Banco di Napoli e del suo patrimonio immobiliare. Viene da chiedersi se esista una Scuola tecnica per formare Presidenti della Repubblica del tipo di Ciampi o Napolitano, o se invece le loro siano virtù innate.
 
Di comidad (del 14/07/2016 @ 00:35:00, in Commentario 2016, linkato 1886 volte)
La nuova ondata di omicidi commessi dalle polizie locali negli USA e la recente strage di poliziotti a Dallas hanno dato il via alla consueta serie di dotte dissertazioni, tra le quali si è distinta quella di Gianni Riotta a Rainews24. Riotta, da noto esperto (?) di cose americane, ci ha spiegato che la maggior parte dei reati è commessa da persone di colore ed è quindi ovvio che sia di colore anche la maggioranza degli uccisi dalla polizia. Ma il quotidiano britannico “The Guardian” ci fa sapere che negli USA la media dei caduti per mano della polizia è di circa mille all’anno, ed il numero di uccisi nel 2016 è già di circa seicento (cifre da far impallidire il Daesh). La maggioranza degli uccisi è certamente di colore, ma la questione riguarda ogni etnia, e potrebbe anche darsi che l’omicidio di bianchi faccia meno notizia perché i casi non potrebbero essere catalogati e banalizzati nella categoria del tradizionale razzismo americano.
La realtà sotto gli occhi di tutti è che negli USA bande di criminali stanno usando la divisa come copertura e si disputano il territorio con le altre gang. Gli omicidi non servono solo ad eliminare e terrorizzare i concorrenti nei traffici illeciti, ma costituiscono anche un modo per suscitare rivolte in cui far largo impiego dei mezzi militari forniti alle polizie locali dopo l’11 settembre. In tal modo dei territori vengono occupati e controllati da quelle gang che possono avvalersi dell’impunità poliziesca. Dovunque questa impunità si rende inattaccabile (e in Italia non siamo da meno, visto ciò che è accaduto dopo il massacro della Diaz), la polizia tende essa stessa a costituire il maggior problema di ordine pubblico.
Le opposizioni sembrano non porsi il problema di cosa stiano diventando le polizie: sempre meno meri apparati repressivi, sempre più organi di provocazione e di destabilizzazione. In Italia assistiamo da tempo al fenomeno delle “Carabinieri Productions”, cioè video prodotti in funzione della diffusione mediatica, tutti tesi a fomentare l’odio di categoria, con tanto di gag, ovviamente ambientate a Napoli, un palcoscenico dove ogni azzardo dell’immaginazione può essere tranquillamente offerto alla credulità dell’opinione pubblica.

Che il male sia spesso costituito dalla cura, è stato ancora una volta dimostrato dal vertice della NATO di Varsavia concluso qualche giorno fa, nel quale pare si siano scontrate le divergenti visioni della Polonia e dei Paesi Baltici da un parte e quelle dell’Italia e della Francia dall’altra. Polonia e Paesi Baltici sarebbero preoccupati della minaccia russa, forse dimenticando che il colpo di Stato nazista in Ucraina l’aveva organizzato la NATO. Che la Russia si riprendesse la Crimea era nell’ordine delle cose, visto che si tratta di una penisola strategica per il controllo del Mar Nero; ma appare piuttosto improbabile che la stessa Russia sia in grado di affrontare nuovamente i costi proibitivi di un impero nell’Europa dell’Est, nella quale preferisce clienti che paghino il suo gas, piuttosto che sudditi che consumino a sbafo come nella vecchia Unione Sovietica.
Tra l’altro la Storia è più complicata di come ci viene presentata dalla propaganda. Se è vero che i Paesi Baltici furono annessi illegalmente all’Unione Sovietica dopo la seconda guerra mondiale, è anche vero che il principale Paese Baltico, cioè la Lituania, era stato aggredito dalla Polonia negli anni dopo la prima guerra mondiale, e che la stessa Polonia in quel periodo combatté anche guerre per dispute di confine con la Cecoslovacchia e l’Ucraina. Il velleitario imperialismo polacco degli anni ‘20 e ‘30 fu uno dei fattori scatenanti della destabilizzazione europea, e non si può escludere che l’attuale protagonismo polacco sia dovuto più a mire espansionistiche delle sue oligarchie che ad effettivi timori circa le intenzioni della Russia.

Per quanto riguarda Italia e Francia, vi è anche nei loro confronti il legittimo sospetto che vi siano interessi coloniali ben precisi nell’enfatizzare la minaccia dell’espansionismo islamico a Sud. L’aggressivo colonialismo francese in Africa costituisce uno di quei dati di fatto su cui i media glissano in continuazione, mentre dal canto suo il governo italiano vorrebbe ristabilire il suo primato economico in Libia, magari con una patente NATO a fare da garanzia nei confronti di altre aggressioni anglo-francesi contro gli interessi dell’ENI. In base a testimonianze raccolte dalla Procura di Siracusa, nell’ENI si starebbe peraltro svolgendo una lotta intestina che avrebbe dovuto coinvolgere anche Renzi. Risulta per ora difficile capire se si tratti di realtà o di depistaggi, ma sta di fatto che dal 2011 l’ENI è in confusione ed il suo ruolo coloniale in Africa è rimasto zoppo.
Un altro dato di fatto è che le milizie islamiche in Libia sono nell’ordine delle poche migliaia di effettivi e che, se non si ristabilisce ancora un controllo da parte del governo centrale, è a causa delle ambiguità occidentali, per cui si lascia che un Paese NATO come la Turchia rifornisca di armi le milizie islamiche, mentre non si è consentito al governo di Tobruk ed al generale Haftar di condurre a termine la liquidazione di quelle milizie, forse nel timore che dietro di loro vi sia l’Egitto. Si parla spesso dell’atteggiamento ambiguo dell’Egitto di Al-Sisi, ma occorre chiedersi se invece l’atteggiamento ambiguo della NATO non rischi di aprire un fronte a Sud proprio con un Egitto sempre più costretto a diventare filo-russo, una circostanza che avrebbe ben altra gravità che la fittizia minaccia delle milizie islamiche .
Nella NATO attuale si scontrano interessi divergenti, ma con un denominatore comune, l’interesse a mantenere la situazione instabile sia ad Est che a Sud. Il vertice di Varsavia ha anche ribadito il patto d’acciaio tra la NATO e l’Unione Europea, la quale costituisce l’arma economica della NATO, cioè il fattore di stagnazione mondiale che frena lo sviluppo dei BRICS e della Russia in particolare. Come a dire che, come sempre, la vera minaccia viene da Ovest, per la stessa NATO; infatti una cosa è fingere che oggi vi sia una minaccia russa, altra cosa è rischiare di esasperare la situazione ad un punto tale da provocare davvero una reazione della Russia.
 
Pagine: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26

Cerca per parola chiave
 

Titolo
Aforismi (5)
Bollettino (7)
Commentario 2005 (25)
Commentario 2006 (52)
Commentario 2007 (53)
Commentario 2008 (53)
Commentario 2009 (53)
Commentario 2010 (52)
Commentario 2011 (52)
Commentario 2012 (52)
Commentario 2013 (53)
Commentario 2014 (54)
Commentario 2015 (52)
Commentario 2016 (52)
Commentario 2017 (52)
Commentario 2018 (52)
Commentario 2019 (52)
Commentario 2020 (54)
Commentario 2021 (52)
Commentario 2022 (53)
Commentario 2023 (53)
Commentario 2024 (10)
Commenti Flash (61)
Documenti (30)
Emergenze Morali (1)
Falso Movimento (11)
Fenêtre Francophone (6)
Finestra anglofona (1)
In evidenza (32)
Links (1)
Manuale del piccolo colonialista (19)
Riceviamo e pubblichiamo (1)
Storia (9)
Testi di riferimento (9)



Titolo
Icone (13)


Titolo
FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


19/03/2024 @ 10:31:15
script eseguito in 70 ms