"
"Le decisioni del Congresso Generale saranno obbligatorie solo per le federazioni che le accettano."

Congresso Antiautoritario Internazionale di Ginevra, 1873
"
 
\\ Home Page : Archivio : Commentario 2023 (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Qualche giorno fa il direttore del “Forca Quotidiano”, Peter Gomez, si domandava come mai la Francia scende in piazza mentre noi no. Gomez avrebbe dovuto indagare su se stesso. In Italia al primo accenno di movimento di piazza, si sarebbe già scatenata un’emergenza-terrorismo e quindi si sarebbe cominciato ad erigere la forca mediatica e giudiziaria. Qualcuno ricorderà che per qualche protesta contro il Green Pass, la Digos aveva già avviato operazioni di polizia contro una sorta di “Brigate No-Vax” o “Nuclei Armati Terrapiattisti”. Non ci si è fatti mancare nulla, neanche l’assalto alla CGIL con tanto di scorta Digos.
L’abolizione del Reddito di Cittadinanza fortunatamente non ha suscitato proteste, il che ci ha evitato che spuntasse qualcosa come le BFSD, le Brigate dei Fannulloni Sdraiati sul Divano. Questa non è una mera ipotesi, poiché nel dicembre scorso un disoccupato fu incriminato per violenza privata in seguito ad un tweet contro Giorgia Meloni; ciò con la tecnica mediatico-giudiziaria ormai consolidata, per cui l’assenza di concretezza della minaccia e dell’offesa viene surrogata con la suggestione e l’artificiosa indignazione. Se il popolare “va’ a morì ammazzato” e le sue varianti sono catalogati come reato, ciò vuol dire precludere la possibilità di esprimere il proprio disappunto a tutti coloro che non abbiano avuto l’occasione di dotarsi di un bagaglio di abilità retorica. Ma nemmeno la competenza retorica sarà sufficiente se persino la critica sarà considerata un movente terroristico.
Lo schema emergenziale è in gran parte lo stesso di mezzo secolo fa; infatti nel 1969 l’ondata di rivendicazioni salariali fu sedata con le bombe e con la fabbricazione del mostro mediatico-giudiziario; mentre tra gli anni ’70 e ’80 si poté avviare la deindustrializzazione dell’Italia grazie all’emergenza brigatista. Al Sud si fu più creativi, e si fece ricorso ad un misto di emergenza terroristica e camorristica. La novità è però che oggi la categoria di terrorismo si è molto dilatata, e ormai il concetto di attentato è diventato talmente labile da includere qualsiasi forma di “lesa Maestà”.
In un film anglo-irlandese del 1993, “In the Name of the Father”, ci hanno spiegato come si svolgessero le indagini sugli attentati, veri e anche presunti, dell’IRA negli anni ’70: le prove venivano fabbricate e le confessioni venivano estorte agli inquisiti con la minaccia di far del male ai loro congiunti. In tal modo furono incastrate anche persone che non c’entravano assolutamente nulla. Queste cose brutte ovviamente avvengono solo in Paesi arretrati e incivili come il Regno Unito, mentre da noi gli inquirenti sono al di sopra di ogni sospetto.

In Italia il sistema di controllo poliziesco è ben strutturato, per cui ci sono un livello legale ed un altro illegale che si completano a vicenda. Nella Sicilia degli anni’40 la polizia manganellava i contadini che protestavano, mentre il bandito Giuliano alle manganellate faceva seguire gli spari. Nella Sicilia degli anni ’50 i sindacalisti come Rizzotto e Carnevale (tutti socialisti) che organizzavano l’occupazione delle terre, venivano arrestati dalla polizia ma, una volta usciti dal carcere, finivano uccisi dalla mafia. Fortunatamente oggi in Italia non c’è più bisogno di ammazzare i sindacalisti e neppure di spendere per corromperli, poiché è sufficiente intimidirli con le inchieste giudiziarie per terrorismo. Una ventina di anni fa il segretario della CGIL, Sergio Cofferati, criticò il docente universitario Marco Biagi per la sua collaborazione con i progetti di precarizzazione del lavoro. Per quelle critiche Cofferati fu automaticamente sospettato di essere il mandante morale dell’omicidio di Biagi. Gli ingenui si aspettavano che Cofferati difendesse le buone ragioni della critica e del conflitto sociale contro l’uso pretestuoso dell’emergenza-terrorismo; invece Cofferati capì l’antifona e decise di riciclarsi anche lui nel sistema poliziesco, mettendosi a fare il sindaco sceriffo a Bologna. Per non scadere nel facile moralismo, bisogna anche dire che in certe situazioni bisogna trovarcisi, cioè sentirsi addosso la tenaglia mediatico giudiziaria e, nel contempo, quell’opinione pubblica che, pavlovianamente, comincia a sommergerti salivando odio. Per quelli che si illudevano di vivere in una società progredita ed in uno Stato di Diritto forse deve essere un risveglio troppo brusco. Stabilito che non ce ne frega nulla di mettere alla gogna Cofferati come persona, rimane però il problema della delegittimazione del sindacato, diventato un ambito in cui costruirsi un prestigio e delle competenze, da andare a rivendere poi al padronato. Già negli anni ’60 e ’70 c’erano tanti Walter Mandelli che passavano dall’associazionismo operaio all’associazionismo imprenditoriale; ma da un certo punto in poi si è “normalizzato” il meccanismo di porta girevole per il quale dei giuristi hanno usato il sindacato come trampolino e vetrina in modo da poter offrirsi come consulenti al governo o a Confindustria. Se poi questi giuristi sono fatti oggetto di attentati o di generiche “minacce terroristiche” e quindi il loro nome può essere usato per santificare leggi contro il lavoro (la Legge 30/2003 che diventa per i media “Legge Biagi”), allora il sindacalismo diventa solo un fraudolento prelievo dal salario del lavoratore; tanto più se chi, come Cofferati, avrebbe dovuto stigmatizzare il conflitto di interessi, diventa a sua volta un portagirevolista. Le motivazioni dei singoli portagirevolisti sono irrilevanti; potrebbero essere anche le più nobili, ma sta di fatto che il conflitto di interessi è diventato il contesto e quindi nessuna istituzione è attendibile.
L’imbecille professionista tradurrà sempre la questione del conflitto di interessi come “complotto”; in realtà il complotto, se c’è, è solo un accessorio; mentre quello che conta è il contesto ed il modo in cui agisce sulle persone; per cui il conflitto di interessi si concretizza in automatismo di comportamenti, che saranno percepiti come ovvi e dati per scontati. Se gli attentati santificano i loro bersagli, se possono essere usati addirittura per santificare delle leggi o dei business, allora il sistema di potere non avrà oggettivamente interesse ad impedire gli attentati. Se poi la porta girevole tra servizi segreti e mondo degli affari viene istituzionalizzata da una Legge (la 124/2007), allora gli attentati ed il loro effetto santificante saranno oggettivamente convenienti. Non ci sarà neppure bisogno di esagerare con gli attentati, col rischio di inflazionarli; basterà coltivare nell’opinione pubblica il rancore e il desiderio di vendetta per episodi di decenni e decenni addietro, tenendo sempre vivo l’istinto della “caccia”.
La serie televisiva “Il Cacciatore” (davvero ben scritta, ben recitata, ben confezionata) è diventata giustamente la nuova epopea dell’Italietta, la celebrazione del suo sistema di potere, che è appunto la “caccia” come strumento di una vendetta sociale; la caccia in se stessa, perché la preda è intercambiabile. Non è necessario dar sempre la caccia a mafiosi o terroristi, ci si può accontentare di dare la caccia anche solo a “evasori” o a “furbetti del cartellino”. L’importante è tenere vivo quel clima di regolamento di conti nel quale il potere si materializza.

Secondo alcuni analisti strategici americani, l’amministrazione Biden con il conflitto simultaneo contro Russia e Cina, ha imboccato una strada senza uscita, per cui di qui a poco la NATO e l’UE potrebbero essere a rischio di auto-estinzione, e l’Europa potrebbe addirittura ritrovarsi sotto l’influenza russa. Ammesso che questa analisi sia corretta, ciò cosa cambierebbe per l’Italia? Nulla, assolutamente nulla. Vedremmo gli stessi che oggi danno la caccia ai putiniani, trasformarsi in cacciatori di antiputiniani. Non sono i padroni a fare un sistema di potere, ma sono i servi. I Mentana, i Vespa, i Severgnini, i Parsi si riciclerebbero e ci farebbero il processetto alle intenzioni per scoprire se siamo abbastanza degni di Putin. Ci farebbero anche capire perché sarebbe giusto sacrificarsi per il nuovo ordine mondiale dominato da Russia e Cina. Dagli anni ’40 in poi, la mafia ha “convinto” i contadini siciliani a concedere spontaneamente i terreni per erigere basi militari USA, e un domani la stessa mafia potrebbe adoperarsi per allestire basi militari russe. L’imperialismo russo è piuttosto povero e non potrebbe permettersi più di una piccola base navale; ma non c’è problema, poiché, per compiacere il nuovo padrone anche oltre i suoi desiderata, si potrebbe sempre chiamare a pagare il contribuente italiano tenuto sotto ricatto con un’emergenza-terrorismo; oppure, meglio ancora, con un’emergenza mafio-terroristica, di quelle che ti infangano senza rimedio. Grazie all’esempio luminoso che proviene dall’Italia, anche Macron imparerà ben presto come sedare le rivolte in Francia. Se gli occorre, mandiamo in Francia qualche nostro agente dell’AISI o qualche nostro PM a fare corsi di formazione.
L’Italietta può salvare non soltanto la Francia, ma l’intera civiltà occidentale, che oggi è sotto una bufera finanziaria talmente grave da colpire la maggiore roccaforte del potere bancario, la Svizzera. Credit Suisse, l’Istituto svizzero di gestione dei fondi criminali di mezzo mondo, è riuscito a fallire. Eppure aveva tutte le carte in regola: i farabutti di ogni dove potevano contare su di un porto sicuro per i loro gruzzoletti. Tagliagole, trafficanti di organi, signori del narcotraffico, mafiosi e ‘ndranghetisti, ma anche soggetti ancora più loschi, come i dirigenti della Siemens e di altre multinazionali, avevano fornito depositi che si aggiravano attorno ai cento miliardi di franchi svizzeri, che corrisponderebbero a circa novantacinque miliardi di euro. Credit Suisse aveva subito anche un processo-farsa per riciclaggio di capitali mafiosi, cavandosela con una multa di due milioni di euro, cioè il prezzo di un paio di appartamentini di Zurigo.
Naturalmente, la Banca Centrale svizzera è intervenuta per salvare questi gentiluomini con un robusto sostegno. L’altro colosso svizzero, UBS ( cinque trilioni di franchi di capitalizzazione), si è fatto avanti per acquisire i cugini in difficoltà. Come ultimo regalino, Credit Suisse azzera miliardi di obbligazioni secondarie, lasciando in braghe di tela (si fa per dire) molti fan. Quindi il crimine, ovvero i criminali, non pagano; e, come sempre accade, coloro che dovrebbero far rispettare la legge, diventano invece complici. Il crimine invece salva, almeno parzialmente, gli azionisti. Sarà perché i primi due azionisti si chiamano Arabia Saudita e Qatar? Certo, perché pare che le due petro-monarchie si siano scaltrite dopo aver visto il sequestro dei depositi russi nelle banche occidentali; e, sebbene la Svizzera abbia cercato di preservare la sua neutralità bancaria, ora pretendono super-garanzie per continuare a fidarsi di interlocutori occidentali. A questo punto, lo Stato federale svizzero assumerà tutte le sembianze dell’UBS. Basti pensare che la struttura bancaria federale che dovrebbe controllare le banche ha solo cinquecentocinquanta dipendenti, contro i centoventimila dell’UBS, che però ora sfoltirà il personale a causa della fusione. Le sanzioni hanno reso il sistema bancario occidentale meno affidabile e pare che Cina e India siano pronte ad approfittarne. Visto che c’è poco da sperare in afflussi di capitali asiatici, la soluzione è una sola: sarà il contribuente europeo a dovere tenere in piedi la baracca; parliamo ovviamente dei contribuenti poveri, poiché quelli ricchi continueranno a mandare i soldi nei paradisi fiscali. Ma, per tener buone le masse da spremere, c’è il know how italiano a disposizione.
 
Di comidad (del 06/04/2023 @ 00:13:02, in Commentario 2023, linkato 9132 volte)
Le sortite comunicative del governo Meloni e del suo entourage non sono tutte riconducibili allo stesso calderone. Le provocazioni della Meloni sull’eccidio delle Fosse Ardeatine e di La Russa sull’attentato di Via Rasella sono del tutto organiche al repertorio fascio-nostalgico ed alle sue esigenze recriminatorie. La grande frustrazione che i fascio-nostalgici devono dissimulare con queste polemiche pretestuose, non riguarda affatto l’onta della sconfitta bellica; anzi, presentare tout court il fascismo come lo “sconfitto” della seconda guerra mondiale è una forzatura. Il sistema di potere fascista è stato infatti in gran parte metabolizzato e riciclato dall’antifascismo, ed anche le burocrazie fasciste si sono travasate in blocco nel regime cosiddetto “democratico” e nella NATO, a cominciare dall’OVRA, che fornì il personale ai servizi segreti della Repubblica “antifascista”. La vera e grande frustrazione che i fascio-nostalgici devono mascherare con il continuo stillicidio di recriminazioni e provocazioni anticomuniste, riguarda invece il 25 luglio, l’afflosciamento del regime fascista, cioè il fatto che il Duce sia stato liquidato politicamente da altri fascisti, ma anche da se stesso, oltre che dal re. Insomma, i fascio-nostalgici polemizzano tanto sul 25 aprile per non affrontare la vergogna del 25 luglio, nella quale Mussolini chiese lui stesso al Gran Consiglio di esprimersi con un voto, salvo poi considerare tradimento il fatto di non aver votato come voleva lui. E allora perché aveva fatto votare?
I misteri irrisolti sull’uccisione di Mussolini nel ‘45 e sulla squallida messinscena di Piazzale Loreto, non scalfiscono il fatto che il Duce fosse politicamente morto due anni prima. A prendere atto che il Duce fosse ormai un fantasma, fu il direttore del quotidiano “La Stampa” durante il regime di Salò, Concetto Pettinato, il quale rivolse a Mussolini un editoriale intitolato: “Se ci sei, batti un colpo”. Le recriminazioni anticomuniste, da Via Rasella alle foibe, sono l’alibi vittimistico servito a coprire anche altre magagne interne ai fascio-nostalgici; come ad esempio il fatto che l’Arma dei Carabinieri, tuttora stracarica di fascio-nostalgici, fosse stata responsabile nel ’43 non solo dell’oscuro assassinio di Ettore Muti (che era il “Duce di riserva” del regime fascista), ma anche di aver venduto Mussolini ai Tedeschi, con quella specie di pagliacciata consumatasi al Gran Sasso, consegnando così l’ex Duce ad un ruolo di fantoccio (ammesso che non fosse tale da sempre).
Questo meccanismo di frustrazione/recriminazione non è un accessorio del fascismo, bensì si è rivelato la sua intrinseca funzione e “missione” storica. Fallito nelle sue velleità imperiali, il fascismo si è dimostrato invece un prezioso fattore di intossicazione del dibattito politico, in modo da spingere a fraintendere il conflitto di classe come vendetta sociale e faida tribale. In questo senso qualunque decisione avesse preso la Corte di Cassazione francese sull’estradizione dei presunti ex terroristi, da noi il “lucro” sarebbe stato comunque assicurato: se l’estradizione fosse stata concessa si sarebbe celebrata un’orgia sfrenata di euforia vendicativa, come quando fu arrestato Cesare Battisti; dato però che l’estradizione è stata negata, si è aperto uno spazio enorme per coltivare rancori e processi alle intenzioni. La pantomima recriminatoria dei fascio-nostalgici ha potuto reggere in quanto ha trovato prima la sponda del Partito Comunista e poi dei suoi eredi, che avevano a loro volta le proprie vergogne da celare; per cui, pur nella contrapposizione polemica, si è stabilita una sorta di connivenza.

Un discorso del tutto diverso è invece quello riguardante le attuali smodate esibizioni russofobiche della Meloni, che risultano sgradite non solo alla base elettorale della Lega, ma anche ai militanti ed agli elettori di Fratelli d’Italia, che sono tutti un po’ innamorati del mito di Putin inventato dalla propaganda occidentalista a fini denigratori, cioè la figura dell’autocrate. I fascio-nostalgici sono sempre affascinati dalla leggenda del cosiddetto “uomo forte” (un freudiano direbbe che è il sintomo di tendenze omosessuali inconfessate e rimosse nell’inconscio). La stessa Meloni negli anni passati aveva offerto evidenti manifestazioni di russofilia e “putinofilia”, tanto da diventare bersaglio di critiche e preoccupazioni da parte dei media mainstream.
L’esigenza di sottomettersi ai voleri degli USA ed alla disciplina della NATO, può spiegare l’obbedienza, ma non gli attuali eccessi meloniani della propaganda anti-russa e filo-ucraina, tanto più che per respingere le querule istanze di Giuseppe Conte basterebbe ricorrere al banale dato di fatto , e cioè che se c’è oggi qualcuno che non ha alcun interesse ad un negoziato è proprio la Russia, che si è presa i territori che doveva prendersi. Non c’è bisogno di essere strateghi militari per capire che ora i Russi stanno solo difendendo i loro nuovi confini contro attacchi velleitari; e, dato che nessuna difesa può essere del tutto passiva, vengono ovviamente compiute anche delle incursioni per interrompere le linee di rifornimento ucraine. Neanche il regime ucraino potrebbe permettersi una fine delle ostilità, poiché quel sistema è ormai collassato e vive esclusivamente dei finanziamenti statunitensi ed europei, che cesserebbero in caso di pace. La cosiddetta “ricostruzione dell’Ucraina” è chiaramente un bluff, visto che i vari Goldman Sachs e Blackrock potrebbero comprarsi a prezzi stracciati quel che resta dell’Ucraina e farne quello che vogliono. Per salvarsi dalla miseria e dalla predazione, l’Ucraina può solo chiudere con l’esperienza unitaria, poiché esclusivamente attraverso una spartizione tra vari Stati, ognuno di essi potrebbe sostenere l’onere della ricostruzione dei singoli territori.
Anche nel valutare questo conflitto ci si è complicata inutilmente la vita con i processi alle intenzioni, quando invece all’inizio delle ostilità entrambi i veri contendenti avevano manifestato quali fossero i rispettivi obbiettivi. La Russia ha chiarito di mirare ai territori attigui alla Crimea, il Mar d’Azov e il fiume Don, considerati talmente strategici ed esistenziali da essere stati russificati a forza dopo la conquista ai danni dell’impero ottomano nel XVIII secolo. Nel corso degli ultimi due secoli l’imperialismo russo ha perso più volte questi territori contesi, e non ha badato ai costi pur di riprenderseli. Gli USA hanno dichiarato immediatamente che la loro intenzione era di trascinare la Russia in un nuovo Afghanistan, il che avrebbe comportato logoramento per la Russia e affari infiniti per le multinazionali americane delle armi. Il problema dei Neocon americani è che non hanno chiaro il confine tra strategia e imbonimento pubblicitario; infatti, a differenza che in Afghanistan, in questa circostanza la Russia, una volta occupati quei territori che le interessavano, ha acquisito il vantaggio della posizione difensiva; un vantaggio già ampiamente teorizzato dal solito von Clausewitz, in quanto consente di decimare il nemico e di circondarlo gradualmente. Oggi sono infatti i poveri ucraini a dover sacrificare molti più uomini e risorse per cercare di attaccare e riconquistare terreno.
Stando così le cose, la Meloni potrebbe benissimo continuare ad obbedire a Washington, tenendo però un basso profilo comunicativo per non bruciarsi i rapporti futuri con la Russia e per non irritare la base elettorale. Tanto a fare il lavoro sporco della propaganda ci possono pensare Mentana ed il “Corriere della Sera”, i quali, dicendo che Putin è fascista lo rendono pure più simpatico ai fascio-nostalgici. Il problema è che l’oligarchia italiana non è solo servile, ma usa anche il servilismo come paravento e alibi per dissimulare i propri interessi ed i propri affari. L’oligarchia nostrana per decenni ha dissimulato la propria avarizia scaricandone la colpa sulla Germania; ed oggi il nostro lobbying delle armi può nascondersi dietro la fedeltà alla NATO.

Molti commentatori stanno giustamente mettendo in evidenza che questa guerra è un affare colossale per le multinazionali americane delle armi, ognuna delle quali è ampiamente rappresentata al Pentagono ed al Dipartimento di Stato tramite la solita porta girevole tra incarichi pubblici e carriere nel privato. A riguardo c’è uno studio abbastanza grottesco di qualche anno fa, eseguito da ricercatori dell’Università di Harvard, nel quale da un lato si afferma che è un bene che gli USA siano sempre in guerra, perché così si tengono in forma; dall’altro lato si lamenta che il sistema delle forniture militari è completamente marcio e corrotto, soggetto a lievitazioni spropositate e ingiustificate dei costi. Per descrivere lo stato confusionale di quelli di Harvard, si potrebbe dire che vogliono la moglie piena e la botte ubriaca.
In Italia però non siamo da meno; anzi, la nostra piccola azienda delle armi, Leonardo SPA (l’ex Finmeccanica), è il paradiso della porta girevole e del conflitto di interessi tra affari, burocrazia e politica, ed almeno alcuni dei nomi sono arcinoti, come gli ex agenti segreti De Gennaro e Carta, i manager e ministri Profumo e Cingolani, e poi lo stesso attuale ministro della Difesa Crosetto. Che Leonardo SPA faccia blocco con Polizia, Guardia di Finanza, servizi segreti e governo, dovrebbe allarmare le autorità di controllo, che però sono a loro volta integrate nella lobby. Lo Stato rimane una fumosa astrazione, mentre i veri soggetti concreti in campo sono le lobby d’affari, che sono trasversali al pubblico ed al privato. Ma Leonardo SPA ha “intime” relazioni anche con i centri di ricerca, soprattutto con un prestigioso lascito del regime fascista, l’ISPI, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, dove venne elaborata la “Mistica Fascista”. Attraverso la facciata di progetti di ricerca in comune, Leonardo SPA in pratica finanzia l’ISPI, e ciò ne spiega certi ardori guerrafondai.
Il vero business di Leonardo SPA però non consiste nelle quattro carabattole che il governo sta fornendo all’Ucraina. In quel caso l’entità dei soldi in ballo non era tale da spiegare gli eccessi di russofobia governativa. Nel marzo scorso Leonardo SPA ha stretto accordi con una delle maggiori multinazionali statunitensi degli armamenti, la Boeing, per la produzione in comune di elicotteri. Il business è già importante in se stesso, ma l’aspetto più notevole sta nel fatto che rappresenta l’avvio di una partnership a tutto campo, di un’integrazione d’affari da cui possono sortire contratti sempre più ricchi.
Per non disturbare i rapporti d’affari di Leonardo SPA, dall’Italia non doveva provenire nessuna voce che potesse essere intesa a Washington come scarso zelo russofobico. Questo è il motivo per cui la Meloni e Crosetto hanno dovuto lasciare da parte le loro storiche simpatie per Putin e mettersi a dirigere coretti antirussi. Insomma, è l’eterno conflitto tra il cuore ed il portafogli. Peccato che vinca sempre il portafogli.
 
Pagine: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27

Cerca per parola chiave
 

Titolo
Aforismi (5)
Bollettino (7)
Commentario 2005 (25)
Commentario 2006 (52)
Commentario 2007 (53)
Commentario 2008 (53)
Commentario 2009 (53)
Commentario 2010 (52)
Commentario 2011 (52)
Commentario 2012 (52)
Commentario 2013 (53)
Commentario 2014 (54)
Commentario 2015 (52)
Commentario 2016 (52)
Commentario 2017 (52)
Commentario 2018 (52)
Commentario 2019 (52)
Commentario 2020 (54)
Commentario 2021 (52)
Commentario 2022 (53)
Commentario 2023 (53)
Commentario 2024 (17)
Commenti Flash (61)
Documenti (30)
Emergenze Morali (1)
Falso Movimento (11)
Fenêtre Francophone (6)
Finestra anglofona (1)
In evidenza (33)
Links (1)
Manuale del piccolo colonialista (19)
Riceviamo e pubblichiamo (1)
Storia (9)
Testi di riferimento (9)



Titolo
Icone (13)


Titolo
FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


03/05/2024 @ 11:41:13
script eseguito in 57 ms